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[Recensione] Come rapinare una banca svizzera – Andrea Fazioli

Creato il 26 dicembre 2011 da Queenseptienna @queenseptienna

[Recensione] Come rapinare una banca svizzera – Andrea FazioliTitolo: Come rapinare una banca svizzera
Autore: Andrea Fazioli
Editore: Teadue
ISBN: 978-88-502-2287-2
Num. Pagine: 346
Prezzo: 9.00€
Voto: [Recensione] Come rapinare una banca svizzera – Andrea Fazioli

Trama:
Come mai un rapinatore pentito, un detective privato e alcuni distinti borghesi sono coinvolti nel progetto della più sofisticata rapina a una banca svizzera? Nella Confederazione elvetica delle banche silenziose, dei laghi calmi e dei prati ben curati può succedere di tutto. E per l’investigatore ticinese Elia Contini ricominciano i guai. Al suo fianco, c’è Jean Salviati, ladro a riposo che riprende in mano i ferri del mestiere per salvare la figlia, scivolata pericolosamente nella rete di un losco avventuriero che ha messo gli occhi su una favolosa transazione di denaro. Anche in tempi di crisi, una banca svizzera resta sempre sinonimo di forziere ben riempito e ben custodito. Svaligiarne una esige dal rapinatore la stessa precisione diligente e metodica applicata dai banchieri elvetici nella difesa della propria sicurezza: un piano dall’architettura raffinatissima, costruito come un puzzle geniale. Ma niente è mai come sembra in questo romanzo in cui i colpi di scena non smettono di agitare una superficie solo in apparenza ordinata e tranquilla.

Recensione:
Questo romanzo è stato un po’ una delusione.
Colpa mia, che fin da piccola ho associato la rapina in banca all’Arsenio Lupin dei cartoni animati, abituata quindi a espedienti innominabili e incredibili, simpatia e ironia, azione e fughe rocambolesche, invenzioni ingegnose e così via.
Come rapinare una banca svizzera invece è puro classico, che parla di minuziosi ed esaustivi piani per giungere all’obiettivo, è lineare e matematico dove ognuno dei personaggi fa la sua parte alla perfezione – o insomma, ci prova – tra sopralluoghi, recitazione della propria parte, adopero di telecamere e studio di direttori di banche e guardie, insomma, realistico e impeccabile, questo non si discute.
Ma il romanzo è piatto. I personaggi sono quelli che chiunque di noi potrebbe trovare in un qualsiasi giallo, seguono una linea fin troppo definita, non sono stereotipati ma semplicemente normali, il che dopo un po’ stanca: il classico amore che sboccia tra il lei e il lui di turno, la voglia di riscatto di un vecchio padre, una coppia prima emozionata dall’idea di trasgredire e che poi si rende conto di star violando la legge, è esageratamente normale.
Il finale lascia con l’encefalogramma piatto, nessuna amarezza, nessun sorriso, persino il cattivo di turno – perché serviva una terza fazione per movimentare un po’ la scena – lascia totalmente indifferenti, non lo si odia visceralmente né si prova comprensione per lui. Sono solo personaggi privi di una personalità autonoma, tutti si muovono intorno alla trama senza però esaltarla, è un unico filo che scorre in una sola direzione.
Per chi ama il genere credo sia un’opera degna di nota, ma personalmente l’ho trovato irrilevante, privo di momenti di stacco e del pathos che fa aumentare i battiti, noioso per certi versi, e la lettura prolungata dei capitoli che descrivono l’ambiente boschivo o i silenzi tra l’investigatore e la sua donna non vengono ricompensati in nessuna maniera.
Un classico fin troppo classico.


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