L'autrice:
La mia recensione: Solo il figlio maggiore di un suonatore di târ può strappare lo strumento al lutto. È una regola immutabile da generazioni in Iran, una legge non scritta che i due figli di Barbe Blanche conoscono bene. Così quando l’anziano suonatore muore, lasciando che il tremito delle corde catturi gli ultimi palpiti del suo cuore, Hossein non ha dubbi: toccherà a lui l’eredità del padre in quanto primogenito. Nur non ha nulla da obiettare, conosce la tradizione e sin da piccolo ha vissuto all’ombra del fratello più grande, è indiscutibile che il prezioso lascito sia per lui.
Il târ, invece, sembra non essere d’accordo. Come fosse dotato di vita e volontà proprie, nel momento in cui Hossein lo impugna, si ribella. Nonostante il ragazzo abbia studiato musica potendo contare su un ottimo maestro, le corde non rispondono al suo tocco nella maniera sperata. Emettono rumori sgraziati, quasi che soffrissero al contatto con le sue mani, tanto che il giovane, sentendosi oltraggiato, le recide in un impeto d’ira.
A quel punto il mistero si infittisce perché lo strumento, lungi dal tacere, comincia a suonare da solo mentre la casa in cui Barbe Blanche ha vissuto seguita a manifestare segni della sua presenza. È come se lo spirito dell’uomo fosse inquieto e non riuscisse a trovare pace nel sonno eterno, quasi che avesse un conto in sospeso da chiudere al fine di poter passare oltre.
Hossein e Nur decideranno allora di partire per sottoporre il târ all’esame di un esperto liutaio. Forse farlo riparare sarà il primo passo per ristabilire l’equilibrio.
Parallelamente si snoderà anche la storia di Parvis, a sua volta figlio di un suonatore di târ: il cieco Mohsen, morto assassinato. Anch’egli è impegnato nella ricerca di una verità poiché è determinato a scoprire e punire chi ha ucciso suo padre.
I sentieri su cui si muovono i tre ragazzi, finiranno per intrecciarsi confluendo in unico viaggio.
La storia che ne scaturisce danza in bilico tra la favola e il giallo tenendoci stretti nella sua rete fitta di enigmi e magia.
È musica che si trasforma in prosa l’originalissimo romanzo di Jasmine Ghata. A caratterizzare la sua scrittura è uno stile elegante, armonico che risuona nella mente e regala forti suggestioni. Atmosfere surreali, avventurose, a tratti intimiste si alternano e si fondono generando una sorta di incantesimo che avvince dalla prima all’ultima pagina. Particolarmente suggestivo è il significato di cui si carica il târ, la sua valenza simbolica e la vitalità che lo caratterizza. Esso non è un semplice strumento nelle mani dell’uomo, ma un veicolo in grado di custodire l’anima di chi lo possiede, o lo ha posseduto. Non è solo la sua fattura e nemmeno l’abilità tecnica di chi lo maneggia a determinare la qualità del suo suono, ma anche e soprattutto l’interiorità di chi sollecita le sue corde, quasi che a sprigionarsi da esse fosse una sorta di musica interiore, in grado di rivelare ciò che si annida nel profondo del cuore.
Il racconto è corale e ci fornisce diversi punti di vista. Capitolo dopo capitolo si alternano le voci di Hossein, Nur, Parvis e di Forough, sposa di Barbe Blanche. Ciascuno racconta la sua parte della storia in prima persona contribuendo, non solo a svelare il mistero, ma a tratteggiare il ritratto complesso di due uomini vissuti in simbiosi con il loro strumento musicale.
L’immagine di Barbe Blanche, uomo accecato dall’ambizione e dal suo legame morboso con il târ, si contrappone a quella di Mohsen, il rivale di una vita osannato dal popolo perché ritenuto capace di dialogare direttamente con dio attraverso la sua musica.
Contemporaneamente si delineano i ritratti dei figli e della moglie di Barbe Blache ed emerge la griglia dei rapporti familiari. Per loro bocca, l’autrice ci racconta dunque anche la complessità e la conflittualità dei sentimenti, ci parla di amore e di solitudine, di ambizione e tradimento; lo fa lasciando correre la penna su ali leggere, colorate di fiaba e spiegate in un tempo indefinito, consegnandoci così un’opera senza età, che si legge in un batter di ciglia ma capace di riecheggiare a lungo nella mente al pari di una bellissima melodia.