Titolo: Delitto al trentunesimo piano
Autore: Per Wahlöö
Editore: Einaudi
Traduttore: Renato Zatti
ISBN: 978-8806209155
Num. Pagine: 215
Prezzo: 13.00€
Voto:
Trama:
In un futuro non lontano in cui lo Stato si fa carico di risolvere i problemi di tutti – abitazioni, disoccupazione, iniquità sociali – qualcosa inaspettatamente sfugge ai controlli. Una lettera minatoria viene recapitata nel palazzo dell’editoria, sede delle centinaia di testate del Paese, tutte scrupolosamente depurate di qualsiasi notizia possa turbare la serenità dei cittadini. Il caso viene affidato al cupo ispettore Jensen, che non appena inizia le sue indagini si trova invischiato nel misterioso trentunesimo piano di un palazzo che ne conta solo trenta.
Recensione:
Un romanzo interessante, ma non sviluppato nel modo giusto, a parer mio.
Ci troviamo in una cittadina di un non meglio identificato paese in un futuro non troppo lontano, in cui la censura regna sovrana: il potere di informazione è nelle mani della Casa, una casa editrice universale che ha il compito di pubblicare tutte le riviste di cui la popolazione ha bisogno per andare avanti giorno dopo giorno, anche se con la peculiarità che nessuna critica può essere smossa verso nessuno.
Esatto, nessun commento negativo nei confronti di chicchessia, toni smorzati e sempre equilibrati, le pagine delle riviste presentano ai lettori articoli privi di sostanza pura, che mettono in risalto i successi, belle foto patinate, eventi allegri e che evidenziano in tutto e per tutto il benessere della società. Anestetizzano con parole vuote, stampano pagine e pagine di nulla assoluto allo scopo di impedire alla gente di ragionare, soffocano le polemiche, le critiche, i commenti, i confronti, tutti quegli espedienti che di norma accendono la mente degli esseri umani spingendoli a pensare, a litigare, a giungere a compromessi, a raffrontarsi con altri al fine di giungere a stadi di intelletto sempre più elevati.
È proprio in una società abulica che lavora l’ispettore Jensen, un personaggio non troppo caratterizzato, una marionetta cupa quanto ogni altro del libro, una sagoma di carta che si muove tra piccoli misteri e dialoghi surreali, attraverso i suoi occhi e le sue azioni ci troviamo immersi in palazzi e strade piene di gente che non sa cosa farne della propria esistenza.
Obiettivamente il world building – una distopia che ricalca velatamente 1984 di Orwell anche se non così esplicitamente drastica – è molto ben costruito, e offre degli spunti di riflessione davvero intriganti, una critica sociale attuale (come la stragrande maggioranza delle distopie) che prende di mira le riviste da due soldi che impestano le edicole, facendone un ritratto serio, realistico e mai portato all’esasperazione, trattato con molta destrezza.
La sufficienza rasentata è data da tutto il resto. La narrazione è piuttosto scialba, sintetica fino allo stremo, i personaggi si limitano a essere voci che rispondono a domande, appaiono sullo sfondo senza lasciare granché al lettore, e lo stesso protagonista – Jensen – è solo un poliziotto che non trasmette nulla, un cittadino modello che denuncia gli infrange la legge ma che non ci rivela nessun suo pensiero, e questa cosa mi ha lasciato un po’ l’amaro in bocca.
L’indagine che fa da trama non prende, non coinvolge, è poco chiara e si rivela solo il pretesto per mostrare i risultati di una politica narcotizzante, e il finale non è nulla di speciale, anzi, ben presto si rivela essere una conclusione naturale.
Da quel che ho letto, questo dovrebbe essere il primo capitolo di una serie che vede sempre protagonista l’ispettore Jensen, anche se non penso proprio ripeterò l’esperienza. Non perché questo libro mi sia dispiaciuto particolarmente, ma uno stile più a contatto con il lettore non sarebbe stato sgradito.