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Recensione di Forse cercavi di Zero

Creato il 28 novembre 2014 da Leggere A Colori @leggereacolori

16 Flares 16 Flares × Recensione di Forse cercavi di ZeroVoto:
Informazioni sul libro
Titolo:Collettivo Zero
Pubblicato da:Mondadori
Collana:Arcobaleno
Genere:Narrativa Contemporanea
Formato e pagine:
in offerta
scontato
Trama:

Filippo è un giovane laureato in psicologia. Convinto che la sua vita non abbia senso, decide di farla finita. Ma per una motivazione che più futile non si può, posticipa la data del suicidio di dieci giorni...giorni durante i quali farà solo ciò che gli va di fare. Tra alcol, droga, notifiche di Facebook, trilli di Skype e spedizioni verso la Concordia, il ritratto di una generazione allo sbando.


Forse ho cercato invano di dare un senso alla lettura di questo libro fino a pagina 230. Poi l’ho trovato…nelle ultime due.
Filippo è un under 30 che lavoricchia come psicologo presso una cooperativa che si occupa di ragazzi problematici. Ma è stanco della sua vita e decide che è arrivato il momento di metterle fine; comincia quindi a cercare su Google tutti i metodi di suicidio esistenti e ne studia modi e tempi nei minimi dettagli, così da poter organizzare il tutto come si deve, senza rischiare di dover ripetere la procedura. Poi però, un giorno, mentre è lì lì per farla finita, vede un barattolo di Nutella e perde la concentrazione; decide perciò che si suiciderà tra dieci giorni esatti: il 21 Giugno.
Prende così il via il conto alla rovescia verso il giorno X, tempo che il protagonista trascorrerà tra chat, Whatsapp, seratone nei locali, emozioni sintetiche, blablacar, aperitivi e spedizioni verso l’isola del Giglio con l’inseparabile amico Saverio.
Filippo vivrà alla giornata, senza preoccuparsi di ciò che verrà, né delle conseguenze delle sue azioni. Dopo notti di sballo si ritroverà addormentato in posti impensabili, con i pensieri completamente offuscati; proverà sensazioni mai provate; giocherà a fare il grande da dietro al display, condividerà viaggi con sconosciuti, scoprirà e lascerà città. Ci saranno anche dei momenti in cui avrà la possibilità di fermarsi ed ascoltarsi, ma subito dopo verrà travolto da un’altra ondata di apatia e pessimismo nei confronti di un futuro precario.

Lo so, magari di primo acchito potrebbe sembrare un libro leggero, di quelli che si mandano giù in poche ore. Invece no, ci si impiega del tempo, va elaborato. Solo dopo averlo finito e averci pensato un po’ su lo si capisce e lo si apprezza.
Dà rabbia, a tratti, per quanto è scritto in stile 2.0. Dà un immenso fastidio il continuo interrompersi della narrazione per una inutile notifica su Facebook, un discorso lasciato a metà su WhatsApp, una chiamata su Skype. Filippo racconta, ma di tanto in tanto scatta il richiamo del social network, e noi siamo costretti a star dietro ai suoi pensieri (più o meno) sconnessi che viaggiano per la rete.
E’ come essere in sua compagnia e venire interrotti ogni due minuti per una notifica che gli fa squillare il cellulare. Lui risponde con calma, e noi dobbiamo riprendere daccapo il discorso. A dir poco snervante.
Sul serio, a momenti ho fatto fatica a proseguire la lettura.
Ma, arrivata a quelle due pagine finali, giuro, sarei anche stata disposta a rimangiarmi tutte le critiche, a riprendermi la mia sensazione di fastidio fino all’ultima goccia.
Perché in quella manciata di righe ci siamo noi. Perché è stato un po’ come guardarmi allo specchio. Perché quella è la fotografia più nitida dei (per lo più) trentenni di oggi.
Quella di chi si sente dire che deve ringraziare se ha un lavoro quando viene pagato due euro l’ora per ricevere insulti al telefono; quella di chi non sa – e probabilmente non saprà mai –cosa significhi avere una pensione; quella di chi non crede più in niente né in nessuno perché sono troppe le promesse che si sono perse nel nulla; quella di chi si esprime con il linguaggio dei social ed è ormai quasi convinto che la vita dentro l’Iphone sia meglio di quella reale. Quella di chi non sa più cosa sia un sogno, perché qualcuno gliel’ha calpestato senza farsi scrupoli, più e più volte. Quella di chi manda curriculum e festeggia se solo riceve un messaggio automatico di risposta.
Quella di si sente perennemente in guerra per la sopravvivenza, una guerra che spesso sembra anche contro ignoti, perché alla fine non si sa neanche più con chi prendersela.
Forse cercavi…forse cercavamo di riprenderci tante cose. Coraggio, dignità, sogni. Forse perché ci spettavano di diritto. Forse perché siamo arrivati allo zero, abbiamo toccato il fondo, e solo parole come queste possono darci la spinta per ripartire.

Approfondimento

Per chi non lo sapesse, gli autori di questo libro sono quelli del Collettivo Zero e, tanto per capirci, quelli dei video dalle infinite visualizzazioni.
I video di Campagna di sensibilizzazione per il rispetto dei lavori creativi: l’idraulico, il giardiniere, l’antennista.
Ricordo che quando ho visto il video dell’idraulico che non viene pagato e si sente dire che “Per questo progetto non c’è budget” ho pensato: “Finalmente qualcuno che ne parla”.
Per fortuna il tag “Freelance sì, #coglioneNO” ha spopolato in rete, per poi esser diffuso anche al di fuori. La frase: “E’ tutta esperienza..te lo metti nel curriculum” l’abbiamo sentita – e, ahimè, continuiamo a sentirla – talmente tante volte che ormai ci dovremmo quasi essere abituati. E invece no, ci dà sempre, ancora, pesantemente fastidio.
I ragazzi di ZERO sanno raccontare i trentenni di oggi, disperati, senza lavoro, senza un soldo in tasca, senza un briciolo di fiducia non solo nelle istituzioni ma, ormai, alla fine, spesso neanche più in se stessi, visto che gli hanno tagliato le gambe ancor prima di cominciare a camminare. Ragazzi spesso senza scelta, allo sbaraglio. Chi demoralizzato e incollato ad uno schermo, chi pieno di rabbia verso lo Stato, chi in fuga dall’Italia, chi alle prese con lavori indegni, pur di guadagnarsi un attimo di indipendenza. Ecco, in queste pagine c’è tutto il loro disagio, e più che un libro sembra uno dei vlog che vanno tanto di moda adesso, un video di intere giornate da trentenni stanchi e avviliti da tutto ciò che il terzo millennio gli aveva promesso e non gli ha dato.
Ripeto, a mio parere hanno esagerato con le interruzioni dovute a Facebook, WhatsApp e Skype, ma forse la loro idea era solo quella di rendere reale l’ambientazione della storia e, credetemi, meglio di così non avrebbero potuto fare.



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