E’ un equilibrio delicato quello su cui si regge un quartetto d’archi; il reciproco rispetto è fondamentale quanto la quotidiana disciplina delle prove, e non c’è posto per le prime donne. C’è il primo violino, che incanta e magnetizza gli ascoltatori. C’è il secondo violino, che aggiunge equilibrio e passione. C’è il violoncello con la sua profondità e il suo calore. E c’è la difficilissima viola, che non deve essere serva di tre padroni ma fare da ponte tra i compagni. A LATE QUARTET ruota proprio intorno alla violista Juliette e al suo rapporto con il violoncellista Peter, che da quando rimase orfana l’ha cresciuta come una figlia; e con il primo violino Daniel, rigoroso e perfezionista, suo primo corteggiatore. A lui Juliette preferì Robert, suo marito da molti anni e secondo violino del quartetto; e hanno una figlia, la promettente violinista Alexandra, allieva prediletta di Daniel.
Photo NICOLE RIVELLI © 2011_A Late Quartet
Nel mondo della musica classica ci sono stati e ci sono ancora molti esempi di quartetti incredibilmente longevi, quattro persone che per 20, 30, 40 anni hanno condiviso non solo il palcoscenico, ma l’intera vita. E’ quello che accade ai componenti del The Fugue Quartet: insieme da 25 anni, hanno festeggiato da poco i 3.000 concerti. L’ormai 70enne Peter si sta riprendendo dalla morte della moglie, trauma che solo la rete di affetti della sua “famiglia allargata” e la musica lo hanno aiutato a superare, quando gli cade addosso una diagnosi di Parkison, che impone la sua sostituzione all’interno del quartetto. Di colpo tutto va storto: Robert non vuole più essere “il secondo” e fa riaffiorare un’antica gelosia verso Daniel, che invece si ritrova travolto da un’imprevista, autunnale passione per Alexandra. Sarà il saggio Peter, con paterna, dolce fermezza, a rimettere in riga i colleghi, in nome del Bene Supremo della Musica.
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Il cuore del film è l’op.131 in Do diesis minore, che Beethoven scrisse sei mesi prima di morire. La composizione presenta numerosi aspetti rivoluzionari: è stata scritta in sette movimenti quando lo standard era quattro, ognuno con una forma, una lunghezza e un tempo differenti. Lo sceneggiatore e debuttante regista Yaron Ziberman ha cercato di mantenere la stessa struttura nella sceneggiatura del film. Beethoven decise inoltre di scrivere il brano senza pause, così i musicisti non possono fermarsi per accordare gli strumenti. Nel corso dell’esecuzione quindi gli strumenti stonano, ognuno alla sua maniera: è una metafora della vita e delle relazioni che a un certo punto, inevitabilmente, risultano scordate, specialmente le relazioni di lunga data. Che cosa fare per tornare ad un rapporto che funzioni?
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Ottimo nelle intenzioni, purtroppo il film è teatrale all’eccesso e cinematograficamente inconsistente: la trama è elementare ma ostica, somiglia per metà ad una soap opera, mentre nell’altra metà mostra prove di concerto e lunghe discussioni eminentemente tecniche, infarcite di termini sconosciuti ai più. Si regge fondamentalmente sulla bravura degli interpreti: Christopher Walken (Peter) è un composto pater familias, autorevole e rispettato; recita di sottrazione un personaggio davvero commovente per gentilezza e dignità, soprattutto nelle parti dedicate alla malattia. Il russo-israeliano Mark Ivanir (Daniel), troppo spesso in parti di caratterista sia al cinema che in tv, finalmente ritorna in un ruolo di grande spessore, al livello de IL RESPONSABILE DELLE RISORSE UMANE. Philip Seymour Hoffman (Robert), come spesso accade parecchio invecchiato per motivi di copione, interpreta con sapienza un uomo di mezza età che vorrebbe, per una volta, essere protagonista nella vita e sul palcoscenico. Catherine Keener è un’equilibratissima Juliette e l’inglese Imogen Poots l’esuberante Alexandra.
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La colonna sonora, curata dallo storico sodale di David Lynch Angelo Badalamenti, è composta da pochissimi brani originali e da ripetuti frammenti di varia lunghezza del magnifico Quartetto op.131 di Beethoven; nel finale è eseguito quasi integralmente dal Brentano String Quartet, che nel corso del film “doppia” gli attori. Anche per questo UNA FRAGILE ARMONIA è raccomandabile esclusivamente ad autentici appassionati di musica classica: tutti gli altri purtroppo, come i miei pur laureati vicini di posto all’anteprima, non solo rischiano di non capirci un accidente ma anche di annoiarsi a morte.
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