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Recensione di Uscirne vivi di Alice Munro

Creato il 18 luglio 2014 da Leggere A Colori @leggereacolori

22 Flares 22 Flares × Recensione di Uscirne vivi di Alice MunroUscirne viviAlice Munro
Pubblicato daEinaudi
Data pubblicazione in Italia:
Formato:
Collana:Supercoralli
Genere:Racconti
Pagine:
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La trama:

Titolo in lingua originale: « Dear Life»Cosa ci si può aspettare da una formula epistolare il cui destinatario è alquanto desueto ed evanescente? Tutto e niente, ma quello che di certo si trova non sarà una delusione. Sono quattordici raccontini, quattro sicuramente autobiografici, permei di pensieri e di alcune verecondie conclusioni. Una resa dei conti di quanto sia avvenuto nell’arco di un tempo lungo, ottantadue anni, con gli occhi puntati sul mondo dal quale non lasciar andar via niente, per avere sempre un escamotage, onde uscirne vivi.

Non credo che all’Accademia di Svezia la formula per designare il Nobel sia :”The winner is …”,tuttavia un qualcosa di simile è stato pronunciato il 10 ottobre 2013 con, a completarlo,dopo breve pausa di suspance, un nome non troppo noto, Munro … una certa Alice, la signora della short story,la quale di certo fino ad allora non è vissuta nel Paese delle Meraviglie. Nata Laidlaw ( Munro è il cognome del primo marito Jim « Ho preso il suo nome e me lo sono tenuto perché è meglio del mio»* ) nella città di Wingham, Ontario in una famiglia di allevatori e agricoltori nel 1931. E’ cresciuta in un mondo isolato dalla comunità, in un “piccolo ghetto di contrabbandieri, prostitute e scrocconi,una comunità di fuoricasta”. Ha scritto un unico romanzo, “Lives of Girls and Women” (1970) anche se, ha dichiarato, “non intendevo diventare una scrittrice di racconti, cominciai a scriverli perché non avevo tempo di scrivere nient’altro, avevo tre bambine”,ed è stata proprio questa la sua fortuna ed originalità che le hanno permesso di essere insignita oltre che per tre volte del Governor General’s Award, il più importante premio letterario canadese,anche dell’epiteto di più grande narratrice vivente del Nord America e del supremo titolo di tredicesima donna e prima canadese a vincere il Nobel per la Letteratura. Non mi sembra male e dopo aver letto la tredicesima e, l’ultima, pare, raccolta di romanzi, il cui titolo originale è una quasi formula di congedo alla vita (Dear Life) mi avvolgeuna certa nota empatica malinconica.

In Uscirne vivi, edito nel 2014 dall’Einaudi, la scrittura è semplice, molto lineare seppur ricca e precisa e dalla forma lessicale a volte impreziosita che se nella lingua originale è merito della scrittrice («E’ un fatto canadese. La lingua è rimasta protetta in una capsula che non è tanto cambiata»*) nella traduzione,un grazie a Susanna Basso ci sta tutto . Ciò con grazia mi porta prima in storie di gente comune che affronta il tempo come può (« non cerco lo happy ending, perché scrivo per un momento di choc, di stupore, di rivelazione…parlo di cose difficili, di sofferenza, di come si sopravvive alla sofferenza»*) poi, non tanto a sorpresa perché c’è una nota definita dall’indice, Finale, trovo il capitolo a sé autobiografico nel sentire, le prime e le ultime cose, le più private, che la Munro ha da dire sulla sua vita. E allora come non farmi coinvolgere e comprendere com’è stata dura la sua infanzia e successiva adolescenza, attraverso gli ultimi quattro racconti. Come non adorare quest’arzilla vecchietta che giustifica il padre e i suoi principi educativi quanto meno discutibili, e dice “a dispetto di numerose circostanze avverse mi ritenevo una persona fortunata”. E ancora come nonesserle vicino quando con tenerezza parla della sua Sadie, baby-sitter sui generis, prematuramente morta, o della madre affetta da Parkinson e dice “ero la sua interprete, sono sempre riuscita a capire cosa diceva e mi sentivo disperata a ripetere frasi agli altri che in realtà morivano dalla voglia di andarsene”.

Bene le prime tre storie-biografiche messe a nudo su carta, ok. Ma alla fine, purtroppo, proprio sull’epilogo, dissento. Come conclusione, ultima storia, uscirne vivi (dobbiamo), quasi da epitaffio, la frase «di certe cose diciamo che non si possono perdonare, o non ce le perdoneremo mai, invece lo facciamo, lo facciamo di continuo» mi da -argh che dolore con questa!-un cazzotto in pancia. Spero e la accetto come sua consapevolezza forse da vecchia saggia che la Alice Munro è (« Come uso il tempo che mi è con­cesso? Voglio usarlo al meglio. Magari – sor­ride – per scri­vere della vita che è sem­pre molto dif­fi­cile, è dif­fi­cile attraversarla ed essere felici»*.) Che abbia raggiunto tanto equilibrio da potersi amare, accettare per com’è e di riflesso anche gli altri come sono stati? Come condono, pace … e non tanto è andata così, rassegnazione,solito leitmotiv come invece la leggo io? Sì sicuramente prima ipotesi, per questo la raccolta mi piace e ben per lei <3

*dichiarazioni Munro Repubblica 5 marzo 2005



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