[Recensione] Due piccoli passi sulla sabbia bagnata – Anne-Dauphine Julliande

Creato il 23 agosto 2013 da Queenseptienna @queenseptienna

Titolo: Due piccoli passi sulla sabbia bagnata
Autore: Anne-Dauphine Julliande
Editore: Bompiani
Traduttore: Sergio Arecco
ISBN: 9788845270987
Num. Pagine: 238
Prezzo: 16,50€
Voto:

Trama:
La storia ha inizio sulla spiaggia, quando Anne-Dauphine nota che la sua bambina cammina in modo un po’ esitante, con il piedino rivolto verso l’esterno. Dopo una serie di esami, i medici scoprono che Thaïs è affetta da una malattia genetica molto rara. La piccola ha appena festeggiato due anni e non le restano che pochi mesi di vita. Allora l’autrice le fa una promessa: “Avrai una bella vita. Non una vita come quella delle altre bambine o di Gaspard, ma pur sempre una vita di cui potrai essere fiera. E in cui non ti mancherà mai l’amore.” Questo libro racconta la storia di questa promessa e la bellezza di questo amore. E tutto ciò che una coppia, una famiglia, gli amici, una tata sono in grado di mobilitare e donare. Bisogna aggiungere vita ai giorni quando non si possono più aggiungere giorni alla vita.

Recensione:
Non è mai facile dare una valutazione a un libro autobiografico, soprattutto quando la vicenda che fa da perno è una sventura, un brutto avvenimento che tra le pagine viene sezionato e scomposto, analizzato con gli occhi dell’autore o dell’autrice e la cui percezione è quindi amplificata in alcuni punti e tralasciata in altri.
Anne-Dauphine Julliande è una giornalista francese, e assieme a suo marito un giorno, dopo aver notato alcuni problemi nel modo di camminare della sua piccola Thaïs, decide di sottoporla a qualche controllo di routine. Entrambi avevano pensato a qualche disfunzione dello sviluppo infantile, problemi di deambulazione correggibili col tempo e cure ortopediche, ma si trovano di fronte a una realtà che non si erano aspettati. La loro secondogenita è affetta da leucodistrofia metacromatica. Nessuna cura, mortale.
È un colpo duro, durissimo, che li getta nello sconforto e da quel momento in poi condizionerà le loro vite. E non solo.
Anne-Dauphine è incinta, la loro terza figlia nasce di lì a pochi mesi, e purtroppo il verdetto è lo stesso: anche lei è affetta da leucodistrofia metacromatica.
Inizia così il percorso di una famiglia, un percorso che si snoderà tra tante angosce, viaggi, ospedali, trattamenti, paure e sollievo.
Questa biografia è l’illustrazione emozionale ed enfatica di un periodo difficile, che molte famiglie – per motivi purtroppo molto diversi – si ritrovano ad affrontare. L’autrice ci racconta della disperazione, del vuoto che si ingrandisce sapendo che la propria bambina non arriverà a dare un primo bacio, del terrore che la stessa sofferenza debba essere riservata anche all’ultima arrivata, dalla desolazione del non sapere cosa accadrà, come, e soprattutto quando.
Ma questo libro è anche un diario di riflessioni, di coraggio, di voglia di continuare a vivere senza badare a quanto tempo resti. Sfruttare ogni momento, ogni giorno, ogni occasione per dilatare la gioia della vita, non lasciarsi abbattere e pensare che ogni individuo ha una percezione dell’esistenza differente, e che invece di piangere per ciò che si perderà, è bene concentrarsi su ciò che c’è ancora.
Una delle cose che ho apprezzato maggiormente è che questo scritto non è per nulla opprimente, né tragico, né trasuda sofferenza. È redatto con un entusiasmo che deriva dalla forza di volontà e dalla positività, dall’amore per le persone e dalla voglia di reagire di fronte alle avversità. Per nulla lacrimoso o vittimista, ogni parola esprime un’ammirevole coraggio, non si focalizza sui momenti bui passati dai genitori ma concentra l’attenzione su come Thaïs riesca ad adattarsi e a sorridere nonostante le menomazioni sempre più invasive della malattia, su come Gaspard – l’unico figlio maschio della coppia – non abbia perso il gusto delle piccole gioie, e di come Azylis risponda bene al trapianto che forse servirà a regalarle molti più anni di quanto le consentirebbe la genetica.
Le pecche dell’opera stanno invece nello stile, e qui mi rifaccio alla prima frase di questa recensione.
È evidente che l’autrice ha voluto scrivere un resoconto emotivo, un’agenda dei sentimenti che si sono mossi in lei in quegli anni; tutto è descritto secondo i suoi punti di vista, e ampio margine è stato lasciato alle sue riflessioni più intime, a quelle cui probabilmente si è aggrappata quando sentiva di star per vacillare.
Alcuni eventi sono descritti in maniera stucchevole, esagerati ed enfatizzati, filtrati attraverso il suo cuore materno ipersensibilizzato dalle circostanze. Tra le pagine ci ritroviamo a leggere concetti filosofici enunciati da un bambino di cinque-sei anni – palese che la madre abbia tradotto i suoi comportamenti in parole, che però risultano fuori posto – e molte ripetizioni dei medesimi concetti di energia e speranza.
Detto in parole povere: l’autrice non è una scrittrice, e si vede dallo stile. Caracollante, sentimentale, e soprattutto scoordinato. Salti temporali repentini, continui flashback, ricordi che si immettono nella narrazione di punto in bianco sorprendendo il lettore e facendogli momentaneamente perdere il filo del discorso, e a lungo andare anche la trama di fondo – gli ultimi mesi della piccola Thaïs – vengono offuscati da un manto di buoni propositi, aneddoti, parabole sul presente e sul futuro che addolcisce un po’ troppo.
In conclusione: degno di essere letto. Sorvoliamo sulla tecnica, sorvoliamo sulla forma non propriamente eccellente, ma il succo è quello che conta. Per quanto credenti siano Anne-Dauphine e il marito, Dio non è mai stato citato, né mi sono mai trovava di fronte a buonismo gratuito.
Si tratta di un libro che tende a guardare verso il cielo piuttosto che a terra, che vuole essere un tributo a Thaïs e si spera che diventi un elemento del passato di Azylis, una cronaca reale, soft e delicata di una vicenda che può distruggere così come può far rinascere.


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