Autore: Francesco Mastinu
Editore: Lettere Animate
ISBN: 9788897801429
Num. Pagine: 192
Prezzo: 13,00€
Voto:
Trama:
L’Eclissi è il buio, il mare silenzioso del dolore. Riccardo sa che si tratta del suo stato di sopravvivenza, per ovviare a quei ricordi che non osa riportare alla luce, ma a cui non può sfuggire.
Italia, giorni nostri: Riccardo e Alessandro, un incontro che si trasforma in un colpo di fulmine.
In un resoconto che dura dieci anni, Riccardo ripercorre la loro vita insieme, dall’innamoramento alla convivenza e ai compromessi dell’età adulta. Fra contrasti, l’assenza e il desiderio di riscatto, la loro storia verrà messa a dura prova.
Un percorso doloroso e toccante, nel quale Riccardo dovrà fare i conti con le illusioni e le scelte compiute, in un passato dove l’amore, a volte, rimane l’unica via possibile, ma che da sola non può bastare.
Un ritratto accorato, che ci insegna cosa significhi per due persone, ancora oggi, amarsi senza avere tutela del loro legame.
Recensione:
Un protagonista sgradevole che ha reso sgradevole l’intera lettura.
È da un po’ di mesi che mi chiedo per quale oscuro motivo alcuni autori LGBT tendano a scrivere insopportabili pezze di noia abissale incentrate su quanto la condizione di omosessuale in Italia sia difficile, sia devastata, sia ostracizzata… e i personaggi sanno solo piangersi addosso. Stereotipi lagnosi che non hanno un briciolo di carattere, di positività, di voglia di riscatto, no, si rinchiudono nel loro bozzolo di tristezza gridando al mondo quanto sia brutto e cattivo senza muovere un dito per affermarsi con orgoglio.
Questo, signori miei, si chiama vittimismo, e non serve a un tubo nella lotta per affermare i propri diritti.
D’altronde il vittimismo è il leit motiv di questo romanzo, che vede Riccardo – il protagonista sopraccitato – stare perennemente col piede in due staffe. È il classico personaggio politically correct: moderato, discreto, che si sforza di essere buono e gentile col prossimo, che sta bene attento a non ostentare la sua omosessualità per le strade perché metticasochecivedonoepoichissàchecifannoommioddio, che piange contrito perché vorrebbe tanto che i suoi genitori comprendessero il suo essere invece di prenderlo ripetutamente a pesci in faccia, che si sente terribilmente in colpa quando si rende conto che l’amore per il marito non è più florido e perfetto com’era sembrato all’inizio, che ha il cuore spezzato quando deve dare via i micini, che fa sempre la cosa giusta e ci rimane male quando gli altri non gliela fanno fare, che non pensa mai cose cattive.
In pratica non ha spina dorsale. È un’immagine standard, che s’immerge alla perfezione in una storia che è un immenso rincorrersi di luoghi comuni che a metà fanno ridere e a metà fanno piangere.
«Quello che abbiamo visto oggi mi sembra eloquente» ritornai al presente sentendo distintamente il turbamento trasparire dalla sua voce «e non comprendiamo cosa abbiamo sbagliato con te, ma soprattutto perché?»
E nell’aria sento quasi le parole Tu sei stata troppo donna con lui e l’hai cresciuto deviato! o Tu sei stato un padre assente, per questo è venuto su così! oppure ancora Cielo, povero caro, ti sei ammalato, non ti preoccupare che le seduto dallo psicologo ti aiuteranno!
Passi l’ostracismo dei genitori, ma a me questo è sembrato un cattivo modo di adoperare un cliché trito e ritrito col solo scopo di creare un conflitto che non potesse essere risolto. Drammaticità gratuita.
«Beh, lo status quo è sempre la scelta migliore. Tu starai a casa con i genitori fino a che morte oppure vecchiaia non vi separi. Potrai sempre occuparti di loro, tanto fare il fidanzatino con Ale per poche ore al giorno non sarà un problema. Solo che io ero convinta che questo tipo di destino fosse riservato per tradizione alle figlie femmine. Come cambiano i tempi…»
Ho trovato quest’affermazione di una tristezza infinita.
Chi lo dice lo fa con un chiaro intento sarcastico, ma nel contesto ha usato un luogo comune sessista per sfatarne un altro di natura generazionale.
Una scelta di argomenti veramente infelice.
«Ma come mai desideri così tanto fare il single?» intervenne mia madre, «che senso ha andare via di casa per vivere da soli? Di solito succede quando ci si sposa.»
Indipendenza. L’ho lasciata nell’altra giacca.
Parliamoci chiaro: i luoghi comuni sono così chiamati perché hanno sempre un fondo di verità, perché nascono da episodi reali, da esperienze vissute, da qualcosa che esiste davvero. Ma, porca paletta, mettine uno, non tutti quelli che hai trovato per strada dagli inizi del 900 a oggi.
L’andazzo è questo per tutte le 192 pagine, un insieme di banalità dette in modo banale, che ricalcano perfettamente la mentalità che ci si aspetta da chiunque non ha nulla di nuovo da dire, ma lo vuole dire lo stesso.
La trama, come potrete evincere, è quel che è, ovvero non particolarmente originale. È uno dei classici casi in cui se viene raccontata bene, può venirne fuori qualcosa di magnifico. Ho avuto sfiga e così non è stato.
Lo stile è meccanico, artificioso e per nulla sciolto, non coinvolge ma anzi, tiene il lettore lontano dalla storia e lo stordisce con un fiume di frasi involute e straripanti di virgole, che non aiutano a mantenere salda l’attenzione.
Il personaggio di Riccardo è stucchevole, di un’emotività plateale, che si prende troppo sul serio e che riesce a fare una tragedia di qualunque singola cosa gli accade nella vita, rimuginandoci per mesi interi (e non sto esagerando). I capitoli dedicati all’amore tra lui e Alessandro grondano di descrizioni surreali che avrebbero voluto essere romantiche, ma che sono risultate pura melensaggine, e i personaggi secondari – che di solito rappresentano importanti pilastri per la storia – non sono nulla, emergono soltanto quando il protagonista ha bisogno di loro e non hanno un’autonomia propria.
Per concludere, l’ho trovato un romanzo privo di significato. La trama non ha nulla di speciale, e nel complesso mi ha trasmesso solo un po’ di perplessità per il concentrato di cliché messi uno dietro l’altro.
Non saprei trovare un motivo per cui questo libro andrebbe letto.