La città ideale per Michele Grassadonia, originario delle terre di Sicilia, è Siena con i suoi caldi colori, con la sua dimensione a misura d’uomo, con il suo carico di storia e tradizioni che rende gustosa la vita. Un luogo in cui Michele intravvede la possibilità di realizzare il suo sogno ecologista, ossia vivere un anno in una casa senza sprechi, facendosi la doccia con acqua piovana o la barba pedalando per generare corrente.
Fissato con l’ambiente, il rispetto del pianeta e il riciclaggio, il nostro protagonista ha sviluppato una tale quantità di abitudini maniacali dall’essere diventato poco popolare tra i colleghi e, in generale, venir considerato “strambo” dai più.
Una sera il nostro “emarginato” (anche se per una buona causa), a bordo di auto elettrica (!), accetta – nonostante il turbolento meteo – di fare da chaperon a una collega che abita in provincia e mai idea fu più nefasta. Complice la scarsa visibilità, Michele prima colpisce un oggetto non identificato, poi va a sbattere contro la fiancata di un veicolo parcheggiato e alla fine presta soccorso a un uomo accasciato sul ciglio della strada, cosa che gli costerà nell’immediato la serata e l’automobile, quindi il sonno e infine la fedina penale.
Esatto, questo film sobrio, che è approdato qualche giorno fa quasi in punta di piedi nelle sale cinematografiche, mostra l’annientamento di una persona qualunque quando, dalla sera alla mattina, si trova a dover giustificare ogni azione e ogni lemma espresso difronte alle autorità, col risultato che in poco tempo distrugge con le proprie mani tutta la sua vita.
Il pubblico cade subito nelle maglie di questo racconto che inizia spensierato, passa ben presto al grottesco e approda al noir per chiudere drammaticamente: s’inizia la visione col sorriso, poi s’aggiunge lo stupore, si scivola nella tristezza e all’ultima scena siamo tutti ammutoliti e scorati.
La narrazione è semplice e al contempo efficace: dimostra come le azioni possano essere percepite differentemente a seconda del coinvolgimento, delle emozioni e soprattutto delle convinzioni; e come possa essere difficile (anzi, talvolta impossibile) provare in un’aula di giustizia le più diffuse e banali azioni (e sfighe!) quotidiane.
Da un certo punto di vista potrebbe apparire come la storia di un idealista che cade nel gorgo della giustizia e si ritrova a fronteggiare le inaspettate conseguenze negative di una buona azione, oppure come la dimostrazione che il non essere conformati al sistema sia pericoloso e possa mettere a repentaglio la nostra esistenza. Nei fatti però “la città ideale” non si presenta come un film sul lato oscuro della macchina giudiziaria, né vuole denunciare i limiti delle persone che rappresentano lo Stato, ma è solo un semplice e disarmante –molto kafkiano – così è se vi pare.
Questa intrigante storia di un uomo qualunque, che saggiamente mantiene le distanze dalla docu-fiction, merita una visione (e un commento).