Recensione: Fiore di fulmine, di Vanessa Roggeri
Creato il 13 giugno 2015 da Mik_94
Cari
amici, buongiorno a voi. Oggi, le recensione di un romanzo che ho molto apprezzato e che ha un solo difetto: io leggo
troppo! Ho avuto modo di conoscere l'autrice, persona carinissima, la
settimana scorsa – qui, le foto dell'evento – e,
passati ormai due anni dal Cuore selvatico del ginepro, tocca
ammettere che l'attesa è stata ripagata ad hoc. Augurandovi buona
lettura, vi abbraccio. Buon weekend – e, quando siete al mare,
abbiate un pensiero per me che, fino al 23, sarò chino sui
libri.
“Non
mentirmi. E' doloroso morire?”
“Vi
assicuro che certe volte vivere fa molto più male.”
Titolo:
Fiore di fulmine
Autrice:
Vanessa Roggeri
Editore:
Garzanti
Prezzo:
€ 16,40
Numero
di pagine: 280
Sinossi:
È
quasi sera quando all'improvviso il cielo si fa livido, mentre enormi
nuvole nere galoppano a oscurare gli ultimi raggi di sole. Da sempre,
la prima cosa da fare è rintanarsi in casa, coprire gli specchi e
pregare che il temporale svanisca presto. Eppure la piccola Nora,
undici anni e il coraggio più scellerato che la gente di Monte Narba
abbia mai conosciuto, non ha nessuna intenzione di mettersi al
riparo. Nora vuole sfidare il vento che soffia sempre più forte e
correre sulla cima della collina. È appena arrivata sotto una grande
quercia quando un fulmine la colpisce sbalzandola lontano, esanime.
Per tutto il piccolo villaggio sardo dove è cresciuta, la bambina è
morta. Ma non è quello il suo destino. Nora riapre i suoi enormi
occhi verdi, torna alla vita. Il fulmine le ha lasciato il segno di
un fiore rosso sulla pelle bianca e la capacità di vedere quello che
gli altri non vedono. Nella sua famiglia nessuno la riconosce più.
Non sua madre, con cui amava ricamare la sera alla luce fioca di una
candela, né i suoi fratelli, adorati compagni di scorribande nei
boschi. C'è un nome per quelle come lei, "bidemortos",
coloro che vedono i morti, e tutti ne hanno paura. Nel piccolo paese
non c'è più posto per lei. La sua nuova casa è Cagliari, in un
istituto per orfanelle, dove Nora chiude la sua anima in un guscio di
dolore, mentre aspetta invano che qualcuno venga a prenderla.
La recensione
La
scorsa domenica, noi, famiglia che non va spesso in giro, un po' per
nostra stessa colpa e un po' per colpa di città che offrono rari
stimoli, ci siamo ritrovati – come a dicembre, quando la venuta di
Donato Carrisi aveva generato l'esodo, ricordate? – presso quel
Centro Commerciale che, tutto gli si può dire, ma non si fa mancare
niente. Compresi i preziosi incontri con quegli autori che, al
massimo, avevo guardato da lontanissimo; sperato, un domani, di
conoscere. Agli inizi di giugno, così, mi sono trattenuto qualche
giorno in più a Chieti, sbarrato con una linea netta il primo esame
della Estiva, giacché a presentare il suo ultimo romanzo c'era
un'autrice che, due estati prima, avevo letto e consigliato
energicamente: Vanessa Roggeri, passata nelle vostre wishlist, sul
comodino di mamma e, una storia dopo, in Abruzzo, per parlarci di
un'ultima fatica che, fortunatamente, non si era fatta attendere
troppo. Il ritardo non è elegante, e ciò che non è elegante,
sapete, non le si addice. Non si è fatta aspettare nemmeno quella
domenica in libreria: puntualissima. Mi aveva riconosciuto lei per
prima, seduto in seconda fila, in mezzo a un pubblico ciarlielo e
vivace. Io non avevo domande, perché timidissimo, segretamente
allergico ai microfoni e ancora ignaro, se non nelle linee generali,
di una storia che avrei cominciato a leggere soltanto la sera dopo.
Al momento di firmare le copie abbiamo evitato le presentazioni di
sorta: mi ha abbracciato come tra amici, il nome tenuto
sorprendentemente a mente di colui che aveva recensito per primo Il
cuore selvatico del ginepro. La scrittrice che si accorgeva del
blogger in sala e, per un momento, gli sorrideva. Riconoscersi.
Proprio come ho riconosciuto, a pagina uno di Fiore di fulmine,
lei e le sue surreali storie di terre di Sardegna e donne magiche.
L'accortezza di non deluderci un po' a vicenda. Lei, me lettore. Io,
lei lettrice. Di cose diverse, opposte, ma – nell'arco della
lettura chi di un romanzo, chi di un post – quasi sullo stesso
piano. E Fiore di fulmine, come mi avevano assicurato in
tanti, nonostante qualche piccolo “ma”, mantiene le promesse. Io,
chissà, le manterrò?
Dopo Lucia e Ianetta, sorelle separate dalla
superstizione e legate dal più involontario degli amori, Vanessa –
fresca di ricerche, passeggiate tra antichi cimiteri, indagini da
scrittrice – non si sposta troppo dall'incanto in cui aveva mosso i
primi, timidi passi. Siamo nella sua Sardegna: vietato abbandonarla
per il Continente. Siamo in un piccolo mondo antico tutto
al femminile, scosso dai tuoni e popolato da donne parafulmine per
ogni crudeltà. Sulle miniere di Monte Narba – così
familiari che strizzi gli occhi per mettere a fuoco il panorama e per
scorgere l'aliena Ianetta nel cuore secco della natura – infuria
una tempesta, preludio dell'estate che sarà. Ma Nora, che urla
contro il cielo e il temporale sperando che le sue parole, in tal
modo, arrivino prima al padre che è volato lassù, non ha mica
paura: con la sfrontatezza e la curiosità dei bambini disubbidienti
prende il pericolo di petto. La luce del fulmine la trapassa e lei
muore e rinasce, anche se a chiamarsi Lazzaro è uno dei suoi tre
fratelli maggiori. Segno del miracolo – o della maledizione? - una
cicatrice che, come un'edera in attesa di fiorire, le solca il corpo;
le anime dei defunti che, al suo risveglio, fino alla giovinezza,
vedrà chiedere aiuto al piedi del letto. C'è una parola per chi è
come lei e, tanto quanto coga,
in paese fa paura: bidemortos.
Trait d'union tra l'esordio e la gradita riconferma, dunque, le donne
– diverse, ma ugualmente tribolate -, lo sfondo storico e quel
caratteristico sentore crepuscolare.
Le leggende che nel sud dello
Stivale hanno radici profonde. Immaginavo, in realtà, basandomi
almeno sulla prima metà, che i punti di contatto sarebbero stati di
più; nella seconda parte, invece, con Nora adulta e il lavoro
malpagato di domestica presso la magione della facoltosa Donna
Trinez, Fiore di fulmine imbocca
altre vie. I sentieri d'ombra dei giardini in rovina, delle case
infestate, del romanzo ottocentesco. Chi è la ragazza dalle lunghe
trecce che Nora vede vagare al buio e che nessun altro sembra vedere?
Cosa fanno i proprietari della villa, il venerdì sera, dietro la
segretezza di una porta che la servitù non può violare? Nel darci
le risposte, benché guidata da un'autrice operosa e intelligente che
vede e provvede, la misteriosa Nora – che a furia di vedere i morti
ha perso il contatto coi vivi; che ha sviluppato un cuore duro come
un osso di pesca ma che, all'improvviso, inizia a battere per i
fratelli Alagon, giovani e dai corpi fragilissimi, peggio di quanto
lo sia il suo, marchiato per sempre a fuoco – a volte dà
l'impressione di perdersi nello schematismo delle gotici britannici:
da Jane Eyre al
recente Il miniaturista,
ragazza nuova, stanza segreta, amori al cianuro. Colpo di
scena conclusivo, inoltre, che si presagisce e smorza, purtroppo, la vivacità
del giallo. Per forza di cose, volendomici qualche tempo affinché la
ghost story sarda rimpiazzasse nel mio immaginario quella inglese e,
a lungo andare, scoprendosi un romanzo d'interni, ho immaginato la Londra vittoriana, così diversa
dalla Sardegna brulla e indomita del Cuore selvatico del
ginepro, qui guardata attraverso
una finestra che dà sul cortile. Si vede, ma questa volta si tocca
di sfugitta. Abbastanza per potere giurare, come se la storia fosse
un esclusivo souvenir, di esserci stati? Questo il soggettivo “ma”
a cui alludevo, in una delicatissima vicenda fluttuante tra fantasia
e realismo, altrimenti tanto ben scritta da sembrare – e più del
primo, che comunque ho preferito, nella sua vaga crudezza – a
disegni. Uno di quelli di Giaime, tutto anima e occhi grandi. La leggerezza delle linee a matita, l'ombreggiatura, il calacare la mano giusto al momento dei dettagli da sottolineare, i
personaggi prodigiosi che solo nelle fiabe popolari. E nella fantasia di autrici che
sanno renderli autentici.
Il mio
voto: ★★★★
Il mio
consiglio musicale: Lana Del Rey – I Can Fly
“I
had a dream that I was fine
I wasn't crazy, I was divine."
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