Titolo: Frankenstein
Autore: Mary Shelley
Editore: Tascabili La Spiga
Collana: I David
ISBN Libro: 9788846813626
Num. Pagine: 142
Prezzo: € 3,00
Voto:
Trama: Se Prometeo ha regalato il fuoco agli uomini e per questo è stato incatenato e punito per l’eternità, Victor Frankenstein ha voluto impossessarsi di un fuoco ancora più sacro: il segreto della vita. Ha avventatamente creato un essere che ha abbandonato a se stesso. Il mostro che è uscito dalle sue mani non ha avuto quasi il tempo di aprire gli occhi che il suo creatore, pentito, l’ha rifiutato, maledetto. Victor ha commesso un sacrilegio che non resterà impunito: il conto che gli verrà presentato sarà molto salato.
Recensione: Ho riletto, dopo qualche anno, il Frankenstein di Mary Shelley. É un libro col quale mi sono confrontato molto tardi. Prima ci sono stati film, parodie, tanto che la lettura la ritenevo superflua. La storia di Frankenstein, pensavo, la conoscono anche i bambini.
La stessa cosa è capitata con Pinocchio. Alzi la mano chi ha letto il libro di Collodi. L’ho riletto l’anno scorso, credo dopo più di trent’anni. Sembrava la prima volta.
Lo stesso è capitato con il romanzo di Mary Shelley. Ho ritrovato e confermato le impressioni ricevute, ma anche altri spunti, elementi di cui non mi ero accorto.
Non è un capolavoro. Dal punto di vista letterario forse non è un granché, ma l’ho trovato coinvolgente. L’ho letto tutto d’un fiato, ho cominciato stamattina (è domenica) e l’ho terminato dopo pranzo. Sono scivolato pagina dopo pagina, cercando di non saltare niente. L’ho trovato notevole come allora. Ora vi spiego perché.
La storia in sé è intrisa di romanticismo, non può essere altrimenti. Segue un certo schema, vari cliché, un canone ben definito. In questo senso potremmo ritenerlo “datato” o scontato. Per esempio ha un inizio e una fine epistolare, in mezzo vi è il lungo resoconto delle traversie di Victor Frankenstein. Ciò richiama le ultime lettere di Iacopo Ortis, o I dolori del giovane Werther (quest’ultimo citato nel romanzo stesso).
Non si narra una sola storia, ma due se non addirittura tre:
1. si racconta l’ambizione del capitano Robert Walton che sogna di conquistare una nuova strada verso il Polo Nord. Nei toni (quasi melensi) e nelle parole è un eroe romantico, a tratti quasi una caricatura. Raccoglie in salvo un uomo, un certo Victor Frankenstein, dopo aver intravisto tra i ghiacci una figura gigantesca, mostruosa, inquietante.
2. si narra l’ambizione di Victor Frankenstein nel tracciare una nuova via nella scienza, oltre delle sue vicissitudini. Desideroso di impossessarsi dei segreti del cielo e della terra, scoprirà la filosofia naturale e con essa la possibilità di dare la vita a una creatura senza nome, che diverrà la sua maledizione.
3. si raccontano i primi momenti, i primi giorni, le traversie di questa creatura, da quando si accorge di essere viva fino ai suoi tentativi di entrare a far parte del mondo, prendendo contatto con chi crede simile a lui, cioè con gli altri esseri umani. All’inizio molto assomiglia al buon selvaggio di Rousseau (Mary Shelley l’ha letto). Innocente, puro e ingenuo, è capace di pietà, di immedesimazione e di commozione. Incarna l’Adamo non caduto. Sennonché è stato ripudiato da chi l’ha creato, senza aver commesso nulla.
Tra esse vi sono non pochi elementi in comune. Vi è in particolare il tema dell’amicizia, anzi, della necessità vitale di avere un amico fraterno con il quale affrontare le avversità dell’esistenza. Il capitano Walton lo vede nell’uomo tratto in salvo; Victor Frankenstein lo trova in Henry Clerval. Risponde a un consumato cliché il fatto che uno dei due sia sempre quello che tende la mano a colui che si trova nel bisogno, nella necessità. Walton tende la mano a Victor; la medesima cosa farà Clerval nei suoi momenti difficili.
La stessa creatura conoscerà il significato dell’amicizia: da lontano o da vicino spierà una famiglia oppressa dalla povertà. A suo modo – in incognito – si renderà utile, mitigando lo stato di bisogno dei suoi vicini. Per essi sarà (finché non lo vedranno) uno spirito buono e meraviglioso.
Ora arriviamo al dunque: la nascita della creatura, o mostro che dir si voglia.
Victor Frankenstein è uno scienziato, sì, ma non un illuminista, non ha il culto della ragione. É molto lontano, per intenderci, dall‘Ichabod Crane interpretato da Jonny Depp ne La leggenda di Sleepy Hallow diretta da Tim Burton. I suoi primi studi riguardano autori come Cornelio Agrippa, Paracelso, Alberto Magno. I suoi interessi vertono su la pietra filosofale, l’elisir di lunga vita. Solo dopo (e con questo bagaglio culturale) si avvicinerà alla scienza. Comunque si tratta sempre di conoscenze millenarie, rigettate dal pensiero illuminista (che di tutto tendeva a far tabula rasa) ma recuperate dal romanticismo. In questo senso può dirsi che Victor è romantico.
Non trovate che la nascita del mostro abbia molto più a che fare con la pietra filosofale e l’elisir di lunga vita piuttosto che con la scienza illuministica? Durante la lettura precedente, di questo aspetto, non mi ero proprio accorto.
L’orrore della storia non deriva tanto dalle scoperte scientifiche alle quali si è giunti con il metodo ipotetico – deduttivo, ma a causa del coinvolgimento di forze oscure: i principi primi della conoscenza di cui le dottrine millenarie erano portatrici e delle quali, appunto, Victor aveva qualche infarinatura.
Victor appare in fondo riluttante ad abbandonare le sue antiche letture per le nuove:
Mi si chiedeva di cambiare chimere di infinita grandezza per realtà di poco conto.
Victor vuole essere grande. Troppo grande.
Insomma: il mostro creato da Frankenstein sembra anche il prodotto della vendetta di Paracelso, per dirla tutta. Dottrine che si consideravano uscite dalla porta erano rientrate silenziosamente dalla finestra. In questa chiave romantica, riprendendo gli antichi, Victor giunge a risultati straordinari e terrificanti: domina il segreto della vita, riesce ad animare la materia inerte.
Ha scoperto il fuoco, Victor Frankenstein è divenuto il Prometeo moderno.
Altro aspetto interessante è che a tratti Victor oltre che uno scienziato, si ritiene un artista. Il lavoro che dedica nel mettere mano alla sua creatura, tuttavia, assomiglia a ben altro, come egli stesso si lamenta:
Ma il mio entusiasmo era trattenuto dall’ansietà, e io sembravo più uno schiavo condannato a lavorare nelle miniere, o a qualche altro lavoro malsano, che un artista occupato nel suo lavoro preferito.
Nel comporre i pezzi della sua creatura perlustra tombe e scruta lapidi. La medesima cosa avevano fatto Leonardo e Michelangelo, anche se solo per trarre modelli e proporzioni per sculture e figure.
Victor è colto da uno stato febbrile. Potrebbe fermarsi ogni momento, quello che sta facendo va oltre l’umano. La sua natura umana – è lui a confessarlo – si ritrae da questi studi e dai suoi traffici. Eppure, come se nella mente si nascondesse un Mr. Hyde, procede.
Dà l’idea di essere preda di un vizio, tanto è soggiogato e drogato dalla sete di conoscenza e di studio. Prima ancora che l’essere mostruoso apra gli occhi, ha distrutto la propria esistenza, è diventato l’ombra di se stesso. E i suoi famigliari sono preoccupati.
Come accennato sopra, Victor rifiuta la sua creatura. Questo il ritratto che ne fa:
Buon Dio! La sua pelle gialla copriva a malapena il lavoro dei muscoli e delle arterie sottostanti; i suoi capelli erano fluenti, neri, lucenti; i denti erano bianchi come perle; ma questa rigogliosità formava solo un contrasto ancora più terribile con i suoi occhi timidi, che sembravano quasi dello stesso colore smorto delle orbite bianche in cui erano inseriti, la sua pelle era raggrinzita e le labbra erano nere e diritte.
Appena la sua creatura apre gli occhi, nascono l’odio profondo e la paura di Frankenstein. Non sopporta l’orrore del volto di quello sventurato.
Un enorme peso viene posto su quella strana creatura che, senza preavviso, senza ricordi, si ritrova viva.
La creatura mieterà vittime, diverrà presto malvagia e crudele, adempiendo il suo destino e la fatale simmetria tra la psicologia e il suo aspetto.
Gravi e atroci saranno i delitti commessi dal mostro. Ma di chi la colpa? Victor ha giocato con lui, dandogli la vita. È stato abbandonato a se stesso, si è sentito perso, privo di radici. Si sente escluso dalla felicità che è riconosciuta a tutti gli altri, non vede via d’uscita.
Ricorda che io sono la tua creatura; dovrei essere il tuo Adamo, ma sono piuttosto l’angelo caduto che tu allontani dalla gioia, senza alcun crimine. Ovunque vedo felicità, dalla quale io solo sono irrimediabilmente escluso. Io ero benevolente e buono; la sventura mi ha reso un demonio. Fammi felice, e io sarò di nuovo virtuoso.
La creatura è malvagia perché è sventurata, allontanata dal consorzio umano e dalla felicità senza colpa. Perché, domanda, dovrebbe avere nei confronti dell’umanità maggior pietà di quella che essa gli dimostra?
Se egli è Adamo, Victor non è Dio (non può salvarlo) ma, come si è detto, Prometeo, un Prometeo incatenato a un terribile destino. E l’angelo caduto è diventato un diavolo maligno.