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Titolo: Geek Girl Autrice: Holly Smale Editore: Il Castoro Numero di pagine: 324 Prezzo: € 15,50 Sinossi: Harriet Manners, quindici anni, ha una vera passione per le liste, gli schemi e le definizioni, ha un quoziente intellettivo fuori dal comune e mangia pane tostato solo tagliato a triangoli. In generale, si sente come un orso polare nella foresta amazzonica. Sarà per questo che tutti a scuola sembrano odiarla? Quando nel modo più imprevedibile viene selezionata da una prestigiosa agenzia per modelle, Harriet afferra l'occasione al volo: è il momento di cambiare! Anche se questo significa rubare il sogno della sua migliore amica e precipitare in un mondo vertiginoso fatto di set fotografici, vestiti incomprensibili e tacchi molto, molto pericolosi. Fra cadute rovinose, colleghi affascinanti e viaggi segreti lontano da casa, l'imbranatissima Harriet scoprirà che la vera sfida è una sola: capire ciò che conta davvero La recensione “Mi sento un po' come Sam nel Signore degli anelli, un attimo prima che Frodo tiri l'anello nelle fiamme del Monte Fato. Ma senza quell'atmosfera magica. E con i piedi un po' meno pelosi.” Raramente mi è capitato di commuovermi per un libro. Raramente mi è capitato, davanti a un libro, di ridere dalla prima all'ultima pagina. Oddio, sì, mi è capitato, ma per le ragioni più sbagliate. Non parlo, infatti, di un libro di barzellette sparse, né degli scritti di una Luciana Littizzetto a caso. Soprattutto, non parlo di un libro esilarante per la sua idiozia generale: quelli sono i peggiori, ma, per farsi due risate, sono i migliori in circolazione. Davvero. Ridicole acrobazie sessuali, linguaggio da dispensatore ambulante di parolacce, atroci freddure sparate a bruciapelo, errori, orrori. E dappertutto. Il romanzo di Holly Smale, sbucato dal nulla, con la sua copertina così gioiosa e colorata e quel titolo così diretto che è tutto un programma, mi ha fatto ridere – e tanto, tanto - ma per le giuste ragioni. E' il tipico romanzo su cui spendere parole superflue non è necessario. Importa sapere pochissimo, il giusto. E' simpatico, scorrevole, frizzante, con un intreccio un po' Disney e una protagonista un po' (tanto) maldestra. E' carinissimo, e cos'altro conta, quando si ha bisogno di allegria e spensieratezza? Non importa se la storia non sia delle più probabili: importa come viene raccontata, in questi casi. Tanto – in materia di young adult – tutto è già stato detto, tutto è già stato scritto. E Harriet Manners, la protagonista, è una strepitosa voce narrante: quindici anni, una testa piena di formule matematiche ed informazioni altamente inutili, gli interessi e gli hobby di una secchiona senza speranza di riscatto - passata dal laboratorio di scienze alle passerelle in un colpo solo, se si vogliono tralasciare, ovvio, gli scivoloni, e le gaffe, e i disastri epici trasmessi in mondovisione. Lei è una geek: la sua acerrima nemica da quando aveva cinque anni è stata così gentile da scriverglielo, con un pennarello indelebile, sullo zaino. Lei sa di esserlo, e ne va anche fiera. Nella sua stranezza ci sguazza, come una trota salmonata felice, lontana dal nostro forno, dalle pescherie e dalle ricette lampo di Cotto e Mangiato. Impreca nominando invano i sacri frollini al burro, ha una stalker preferito che ha la saggezza di Yoda e un nascondiglio d'eccezione nei cespugli del suo giardino, un quoziente intellettivo altissimo. Il suo posto preferito è la lavanderia a gettoni dietro casa: non proprio il luogo più esotico e pittoresco che ci sia, vero. Lì tutto è limpido e lei, con la testa appoggiata all'asciugatrice che borbotta e strepita, pensa che basti del sapone liquido, un po' di ammorbidente, il profumo genuino dei panni appena lavati per cancellare via il male dal mondo. Ama gli schemi, le liste, i post-it gialli. Tiene minuziosi schedari delle persone che la odiano e diagrammi a torta sulle bugie da tenere bene a mente. Appunta in segreto i suoi sogni, ma non li condivide con gli altri: troppo strani. Diventare una modella, invece, è una cosa da ragazze: un sogno normalissimo, per la quindicenne media. Peccato non sia il suo, ma quello di Nat, la sua migliore amica, che – da quando ha tipo dieci anni – ha rinunciato ai carboidrati e alle calorie in eccesso, sperando di calcare, un giorno, le passerelle più importanti. Ma il destino arriva quando non lo cerchi e la fama ti trova sempre, anche se hai fatto di un tavolo un improvvisato nascondiglio per non farti vedere. Sotto un tavolo lei conosce Nick – il “Ragazzo Leone” – e scorge le bizzarre scarpe pitonate e a punta di Wilbur: la versione maschile, più o meno, della Fata Madrina di Cenerentola.
Il primo, un giovane modello che le fa venire gli attacchi di panico e fa schizzare alle stelle il suo personale contatore di figuracce; il secondo, un aspirante pioniere dell'alta moda che, con tutta la medesima naturalezza con cui un uomo di mezza età possa indossare un cappello a cilindro rosa, si rivolge ad Harriet chiamandola coi soprannomi culinari più vari: pasticcino, succosa pesca caramellata, fondo di melassa e altre amenità simili. Lui e i vocaboli che conia sembrano usciti in massa da una puntata in rosa del Boss delle Torte, ma Harriet ha il nome di una testuggine centenaria: non può lamentarsi troppo. Ho apprezzato moltissimo l'attenzione che l'autrice riserva ai suoi personaggi secondari: gli adulti della storia. Adulti - parola che, quando hai quindici anni, sta ad indicare orchi cattivi ed egoisti, nemici giurati dell'adolescenza, marziani approdati da un mondo di fumo e noia, ma non in questo Geek Girl. Di Harriet mi sono piaciuti il suo non fare drammi inutili, la sua assoluta leggerezza, la sua comica presenza. Le descrizioni piene di ritmo e ironia di modelle magre come grissini, compagne di classe invidiose, adulti piccoli e insicuri come bimbi all'asilo che, con fulminanti battute e toni scemi, mi diventano, nell'arco di poche pagine, memorabili creature mitologiche. Una matrigna premurosa e responsabile, che ha un debole per i tailleur eleganti, le cause giudiziarie e vasetti di marmellata, purché siano di pesche e fragole, non di mele avvelenate; una stilista dal nome impronunciabile che, nel suo metro e mezzo, è un concentrato di malignità e accidia, a metà tra Miranda Priestley e l'epica Edna degli Incredibili; un papà - molto entusiasta per le ammicanti avance del gaio Wilbur, tra l'altro - a cui la spumeggiante Harriet deve il nome nome della suddetta testuggine centenaria, un viaggio super-segreto in una Russia piena di neve e gatti odiosi, l'esuberanza che le manca. Geek Girl è un piccolo romanzo di formazione su un'adolescente che trova sé stessa nel più impensato dei luoghi. Una ragazza che gambia in nome della moda e che cambia il nome della moda, con i suoi felponi sformati di Winnie The Pooh, le invidiabilissime scarpe con le rotelle incorporate, i capelli biondo fragola – o rosso carota? - e il viso punteggiato di brufoletti e lentiggini. Brufoletti: eufemismo per indicare i crateri vulcanici che, nel giorno di un set fotografico all'ombra del Cremlino, hanno deciso di crescerle sulla fronte, per farla somigliare a un unicorno in lotta contro la pubertà e rendere memorabile la sua entrata in scena. Come se non avesse fatto già il suo, poi, il trionfale ingresso a bordo di una sedia a rotelle: camminare sui tacchi alti, e sulla neve, non è da tutti! La morale è semplice, ma mai banale, e la storia è meno paradossale di quello che sembra: Holly Smale e la sua Harriet hanno in comune tanto, compresa un'adolescenza scandita da sfilate impensate, libri di Tolkien, calcoli ed equazioni.
Nella biografia dell'autrice, infatti, si racconta come, a quindici anni, sia stata scoperta da un'agenzia per modelle, quando i suoi sogni erano soltanto mangiare cioccolato a volontà, giocare ai videogiochi, rimanere un brutto anatroccolo, ma con una sua personalità, in un lago di bianchi cigni bulimici. Ha conservato la sua voce, ha mantenuto sane e salve le sue origini nerd. Lo mostra in questo suo romanzo d'esordio, e ci farà ridere e riflettere ancora, sono sicuro, nei romanzi che seguiranno a breve. Perché la trilogia di Geek Girl, che appartiene a un genere di cui non conosco il nome, ha un suo perché: le disavventure di Diario di una schiappa, i colori dello chick-lit, la familiarità del più solare tra gli young adult. Non mi divertivo così dall'epoca di Mi chiamo Chuck. Ho diciassette anni. E, stando a Wikipedia, soffro di un disturbo ossessivo-compulsivo. O da The Vincent Boys, che Dio ce ne salvi. Prendetelo, insomma, come il test perfetto per scoprire quanto siete geek da uno a dieci. Io ho gli stessi identici occhiali del disegno in copertina, ma non so fare le bolle con la gomma da masticare o risolvere equazioni dall'aria piuttosto minacciosa e complicata. Ma, come Harriet, penso che i palazzoni russi abbiano la forma di tanti coni gelato, trovo rilassante il rumore di lavatrici e lavastoviglie in funzione, mi vesto affidandomi non al gusto, ma alle poche cose non chiazzate di dentifricio che riesco a trovare nel mio misero armadio. Harriet, sposiamoci. Sono uno geek. Ma si dirà “uno” geek o “un” geek, comunque? Domanda molto geek, già. “Il cuore umano ,a riposo, ha da sessanta a novanta battiti al minuto. Il cuore di un porcospino, nelle stesse condizioni, batte trecento volte. Sto per trasformarmi in un porcospino.” Il mio voto: ★★★½ Il mio consiglio musicale: P!nk – Blow Me (One Last Kiss)
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