Titolo: Gita al faroAutrice: Virginia WoolfTraduzione: Anna Laura MalagòEditore: Newton Compton
Data di pubblicazione originale: 1927Data pubblicazione di questa edizione: 2010
Pagine: 192
Prezzo: 6,00
Sinossi:Quando, nel 1925, Virginia Woolf si accinse a scrivere "Gita al Faro" era decisamente giunta alla soglia della maturità artistica: in questa sua opera riuscì infatti mirabilmente a mostrare il suo sapiente dominio delle possibilità del monologo interiore e la straordinaria capacità di muoversi liberamente tra il flusso delle coscienze dei personaggi. Con tutta la sua avvolgente bellezza, questo romanzo è una commossa elegia all'Assenza: assenza innanzitutto della madre, morta quando la Woolf aveva solo tredici anni, lasciandole un vuoto incolmabile. Ed è proprio tale immagine cara a legare le diverse solitudini dei protagonisti di questa rievocazione corale, tutti chiusi in un proprio mondo isolato da cui è difficile comunicare. Fluido e ritmato come il mare sotto il raggio ora breve ora lungo del Faro che fende l'oscurità della notte, il romanzo si impone al lettore con la forza della memoria, il fascino del ricordo, la voce struggente della nostalgia.
La mia opinione: Questo è il mio primo approccio con la Woolf e purtroppo non è andato a buon fine. Sono partita a leggere per primo questo libro, che viene considerato dai più come il più maturo e quindi migliore dell'autrice, ma spero davvero non sia così. "Gita al faro" per me è il risultato di un esercizio di stile esagerato ed assurdo, che esula da tutte le regole della scrittura. Ebbene sì... se un romanzo del genere fosse scaturito dalla penna di un autore esordiente qualunque non mi sarei fatta troppi problemi nel dire che la storia ha una struttura sintattica del tutto errata e che l'autore in questione avrebbe dovuto prendere ulteriori lezioni di scrittura, perché così proprio non va. Nel caso della Woolf sembra quasi brutto dirlo, anzi, tale caratteristica viene interpretata come sinonimo di genialità, anziché incapacità di esprimersi, ma, siccome nelle mie recensioni sono sempre stata sincera al 100% nel giudicare i romanzi e nell'esternare la mia opinione anche in questo caso non farò eccezione. Secondo me l'autrice durante la stesura di questo libro aveva troppe idee nella mente e non è riuscita a comunicarle in maniera coerente, il lettore fa fatica a capire OGNI elemento della storia, a partire dall'ambientazione, i personaggi, le relazioni che intercorrono tra loro. La prima parte del libro è sicuramente la più ostica da questo punto di vista, perché non vi è una minima introduzione che spieghi CHI sono i personaggi e DOVE si trovano. Sembra di assistere ad una scena di teatro quando lo spettacolo è già iniziato, sembra che manchi qualcosa di essenziale. E questo non è il solo problema, perché anche la struttura delle frasi è incomprensibile. Dialoghi senza precisare chi è che parla... e poi una raffica di pensieri che saltano da un punto di vista all'altro senza nuovamente precisare chi li esprime. L'esposizione del romanzo è infatti in terza persona ma il narratore è onnisciente, entra nelle menti dei personaggi e cambia punto di vista repentinamente, in maniera molto caotica, senza coerenza alcuna. Mi spiace ma non riesco a trovarvi genialità in tutto ciò.
Altra nota dolente è il contenuto del romanzo. Sapevo già prima di iniziare la lettura che non mi sarei ritrovata dinnanzi a una storia convenzionale, sapevo già che qui la storia è solo un sottofondo sbiadito e che l'elemento fondamentale è l'introspezione psicologica dei personaggi. Giuro, non era un problema, io AMO i romanzi introspettivi, ma in "Gita al faro" sono rimasta molto perplessa anche da questa caratteristica, che invece solitamente mi piace. Non ho mai assistito ad una introspezione così apparentemente complessa, macchinosa, ma che invece si rivela estremamente piatta e priva di contenuti interessanti. Non sono infatti rimasta per niente colpita dai personaggi e dalla loro caratterizzazione, ho trovato i loro pensieri estremamente banali, insignificanti, non mi sono piaciuti neanche un po'. Il personaggio cardine è la madre, la signora Ramsay, che viene vista da tutti (familiari e amici) come una donna carismatica, da amare e ammirare. Beh, io ho invece avuto la sensazione opposta, l'ho trovata scialba, una comunissima moglie e madre dai valori tradizionali, ma anche un po' ottusa e impicciona. (Vedi la scena in cui vuole per forza far fidanzare due dei suoi commensali solo perché la vita matrimoniale è l'unica prospettiva di vita che secondo lei ha un senso... mah!!!)
In conclusione, lo avrete capito, mi sento di bocciare questo libro nella sua totalità assoluta. Sarà anche un capolavoro del novecento... sarò io che non l'ho capito... ma per me è soltanto un romanzo scritto male e dai contenuti ancora peggio. Ciò nonostante leggerò qualche altra opera dell'autrice perché voglio comunque capire se sono io che non riesco a relazionarmi a lei o se è questo libro in particolare a non essermi congeniale.
E ora, per dare una migliore panoramica, passiamo a esaminare bene le varie parti che compongono il libro:
Cover: Di cover per questo libro ce ne sono tantissime, sia italiane che estere, quella italiana riferita alla mia edizione è davvero molto bella, mi piace sia per l'accostamento di colori e sia per l'immagine in alto. Tra le cover straniere quella che preferisco è questa edizione inglese del 1989:
Stile di scrittura: Lo stile di scrittura è... è... assolutamente assurdo! Esente da qualsiasi regola di scrittura. Ok che è la matematica a non essere un'opinione e nella letteratura invece ci dovrebbe essere più libertà di espressione, ma qui si sta davvero esagerando. Frasi "normali", con costruzione di soggetto, verbo, complemento oggetto "normali" ve le potete scordare. Le regole della sintassi sono un optional e nonostante ami gli stili sperimentali questo mi è sembrato tutto tranne che piacevole. La lettura che ne deriva è tremendamente ardua e lenta, occorre rileggere le frasi più volte per riuscire a capirle. Per me questo non è genio, è incapacità.
Idee alla base della storia: E' risaputo che la storia di questo libro sia scarna, proprio perché non è la cosa più importante, mentre lo sono i personaggi e la loro introspezione. Ma anche guardando il libro da questa angolazione non riesco a cogliere nulla di interessante. Non sono rimasta colpita da NULLA di ciò che accade, di NULLA di ciò che avviene anche internamente nella psiche.
Caratterizzazione dei personaggi: I personaggi inizialmente non si capisce nemmeno chi sono talmente è confuso lo stile di scrittura. Poi, dopo svariate decine di pagine, si riesce finalmente a conoscerli, ma la loro caratterizzazione per me è stata deludente al massimo. E sì che questo sarebbe dovuto essere un libro totalmente introspettivo e quindi mi sarei aspettata delle caratterizzazioni ottime in tutto e per tutto. Invece non ho provato la minima empatia per nessuno, anzi, i pensieri di questi personaggi sono talmente poco interessanti (danno quasi l'idea di artificio) che anche la loro caratterizzazione risulta più piatta che mai.
Editing e traduzione a cura della casa editrice: Non ho notato refusi, ma per quanto riguarda la traduzione non posso esprimermi, perché non sono ancora riuscita a capire se è colpa di una cattiva interpretazione traduttiva se il romanzo appare tanto confuso ed assurdo.
voto:
Mi spiace dare un voto così basso, ma è quello che penso, spero che coloro che hanno amato questo libro non se la prendano.
Acquisto consigliato? Io ovviamente non posso consigliarne la lettura dato che a me non è piaciuto minimamente, e non vi ho trovato nemmeno un aspetto (dico, nemmeno uno!) valido, ma essendo stato scritto da un'autrice di fama internazionale ormai scomparsa penso sia comunque da provare. Io proverò infatti a leggere in futuro qualche suo altro romanzo, non mi sembra giusto depennarla senza aver tentato nuovamente.