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[Recensione] I dolori del giovane Werther di Johann Wolfgang von Goethe

Creato il 31 gennaio 2014 da Queenseptienna @queenseptienna

[Recensione] I dolori del giovane Werther di Johann Wolfgang von GoetheTitolo: I dolori del giovane Werther
A
utore: Johann Wolfgang von Goethe
Editore: Newton Compton editore
Prezzo: 0,99 €
Num. pagine:126
ISBN: 978-88-541-5259-5
Voto: [Recensione] I dolori del giovane Werther di Johann Wolfgang von Goethe

Trama:

E’ una narrazione epistolare: lettera dopo lettera, il giovane, impulsivo, passionale Werther racconta al caro amico Guglielmo di Carlotta; di come quell’amore acerbo, potenzialmente distruttivo e incontrollabile avrebbe potuto farlo impazzire. Lui ama lei, ma lei è di un altro e il povero Werther si ritrova a lottare contro la sua stessa passione; ad imbrigliare forzatamente un desiderio tanto straripante, quanto impossibile da arginare davvero.

Recensione:

Può considerarsi una lettura bitonale: piena di bianchi e neri che non ammettono pacate vie di mezzo. Ci si sente sempre strappati da discordanze.
Incominci a leggerlo distrattamente, finisci per non scollarti più. C’è questa Carlotta dall’animo così puro e innocente, eppur capace a modo suo di far del male; c’è questo Alberto, uomo stabile senza mai uno slancio; e poi c’è questo Werther, variabile impazzita di un sistema che in fin dei conti non può comprenderlo: è pazzo lui o la società e un serrato triangolo lo inducono a impazzire? E’ questo vagare fino a non trovare più nulla d’interessante a indurlo a credere che non ci sia più molto da cercare?
Accattivante da subito. Devo ammettere che già da quando lui incontra lei son morta di curiosità: ero lì sul treno che mi leggevo di questa discussione scorrevole e a una certa parlano di libri. Carlotta convintissima afferma che un certo libro non le piace… tranquillamente continui a scorrere parole e poi ti trovi questo:

Rimasi molto stupito quando, avendo chiesto di quali libri si trattasse, essa mi rispose: …².

Vado a cercare la spiegazione di ciò e insomma con un giro di termini scopro che il nome di tale libro è censurato. Colpa della versione? A quanto pare proprio dell’autore. Lo stesso Goethe utilizza queste soppressioni come espediente narrativo.
Ho apprezzato parecchio la critica al mondo borghese fatto di fittizie etichette, senza sostanza, che si regge in piedi sulla sola apparenza.

Dici che mia madre mi vedrebbe volentieri occupato in un’attività; mi fai ridere. Adesso, forse, non sono attivo? Non è la stessa cosa se sbuccio piselli e lenticchie? Tutto il mondo si dissolve nel nulla, e un uomo, che per la volontà altrui, ma senza un intimo interesse o un sogno, ricerchi affannosamente denaro, onori o altro, sarà sempre un pazzo.

Lo scrittore ha un modo affascinante di cambiare inquadratura: lo scorcio delle impressioni, delle frustrazioni del personaggio, da individuali diventano un quadro esaustivo atto a rappresentare le angosce dell’umanità intera.  Quanti come lui si son sentiti soffocare, hanno provato quel disperato bisogno d’incontrare sorrisi; di tornare a una semplicità che il mondo artefatto ha perso da tempo. Quanti non si sono mai persi dentro due occhi neri simili a quelli di Carlotta, quanti non sono stati mai così vicini al baratro da rasentare la pazzia?!
E’ un libro all’apparenza così semplice, che proprio per questo non poteva essere più complesso. Scritto con entusiasmo galoppante, sa condurre il lettore esattamente dove vuole che giunga.
Goethe si serve di discorsi apparentemente semplici per ricavare da essi una filosofia che gioca sul relativismo dei punti di vista. Una filosofia che definirei “del sentire”, in base alla quale non si può giudicare con esattezza ciò che potrebbe percepire un altro essere umano. E il veicolo di tutto ciò è dato dalla razionalità forte di Alberto, che non condivide il modo di sentire così viscerale di Werther e da quest’ultimo proprio per questo viene biasimato a più riprese.
Proprio verso la pagina 50 ha inizio un punto di non ritorno: la cancellazione più totale di ogni conforto e gioia; la convinzione crescente di abbracciare un più accogliente oblio. Il protagonista stesso, dal totale disprezzo per il malumore giunge ad esserne il maggiore esponente. Arriva a proclamare i mali dell’anima di eguale gravità rispetto ai mali fisici, sfogandosi con un Guglielmo le cui risposte non ci è dato di leggere.

Tu dici: <<O hai una qualche speranza per Carlotta, o non ne hai del tutto. Bene: nel primo caso, cerca di agire per realizzare il tuo desiderio; nell’altro, fatti forza, e cerca di liberarti da una penosa passione che consumerà tutte le tue energie…>>.
Hai detto assai bene mio caro, ma si fa presto a parlare! E tu potresti chiedere a un infelice, la cui vita si strugge lentamente per un male insidioso, potresti chiedergli di porre fine al suo tormento con una pugnalata? Quel male che logora le sue forze, non gli toglie nello stesso tempo il coraggio di liberarsene?
E’ vero che tu potresti replicare con un paragone analogo: chi non preferirebbe farsi tagliare un braccio piuttosto che rischiare di perdere la vita per esitazioni e timori?

Dalla più sgargiante felicità si cade a piombo nelle più caotiche esplosioni di pessimismo. Morbo che avvolge, minaccia nel profondo e prepara insieme alla cocente passione che non trova sfogo, il terreno alla contemplazione di neri propositi. Come se questo male accecasse ogni cosa, portando il protagonista a scorgere ovunque sempre e solo morte:

Mi sembra che un sipario sia stato tirato dinanzi alla mia anima: ecco che la scena della vita sconfinata mi si è mutata davanti in quelle dell’abisso della tomba eternamente scoperchiata. (…)
Non trascorrere un solo istante che non distrugga te e i tuoi cari, non uno in cui tu non sia, non debba essere un distruttore; la più innocente passeggiata costa la vita a mille sfortunati insettucci, un passo distrugge le opere faticosamente compiute dalle formiche e riduce quel piccolo mondo in una tomba scura, senza significato.

E’ una vicenda che procede secondo step ben precisi: l’ottimismo slitta verso la relatività filosofica e infine sprofonda nella più pura poesia, che non fa prigionieri. E ciò che imbroglia il lettore e lo induce a piangere è proprio questa poesia. L’amore platonico trascina e porta a scoprirsi: si segue la vicenda dapprima con una certa lontananza, coperti dalla propria identità; ma è solo questione di tempo. Il nervo scoperto toccato dalla storia in un modo o nell’altro ti raggiunge: perdi distanza, finché il macigno non ti crolla addosso. Finché non senti le vertigini e stai per affogare. Goethe attraversa gli strati e poi colpisce con tutta l’intensità possibile le più piccole crepe dell’anima, al fine di attanagliarti.
Lo scrittore evoca momenti di struggente amore dalla unicità indicibile, che sciolgono le calotte più dure. Personalmente, in un passo così puro e sensibile, credo si possa solo piangere al cospetto di un amore così brutale, che rende ormai accettabile qualsiasi tortura.

Lei non vede, non si accorge che sta preparando un veleno che ci trascinerà entrambi in un abisso; mentre io con tutto il mio desiderio, bevo fino in fondo il calice che mi offre per la mia fine.

E’ annientante. Da pazzi come dire: mi stai tranciando l’anima, ma ti perdono! Poi ti ricordi che non si tratta di pazzia, ma di una passione così forte da strappargli di dosso il senso di sé. Una passione che stare senza di lei è come non avere identità; una passione che smetteresti d’esistere, pur di vedere l’altro continuare a vivere. Un amore che ti avvelena, una droga così intossicante da toglierti per sempre lucidità. Un veleno che si beve con sorriso e lacrime di commozione per la gioia.
E prima o poi, stanne certo, finisci per giustificarlo e il “non desiderare la donna d’altri” diventa un semplice dettaglio, che sbiadisce di fronte a quella sfolgorante dipendenza. Lei è di un altro, ma quasi nessuno se ne accorge.
In conclusione, “I dolori del giovane Werther” è un’opera straziante, graffiante, affascinante e ipnotica. Un burrone senza scale per risalire. Non profanatene la delicatezza se cercate qualcosa di leggero, perché spalancherà le fauci e v’inghiottirà.
Indicato per chi cerca comprensione, vicinanza nel dolore; una riflessione sulla vita, sulla morte e sui fragili equilibri umani compromessi dall’amore.


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