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Recensione: Il buio dentro di Suzanne Berne

Creato il 22 gennaio 2016 da Coilibriinparadiso @daliciampa

Con un po’ di ritardo vi lascio la mia opinione su questa bella sorpresa: un libro un po’ vecchio, che non conoscevo, ma che mi ha colpita. E che spero anche voi possiate riscoprire <3"><3"><3

Il buio dentro

  • Titolo: Il buio dentro (A crime in the neighbourhood)

  • Autore: Suzanne Berne

  • Casa Editrice: DeAgostini
  • Data pubblicazione: 1997
  • Prima edizione italiana: 2009
  • Pagine: 333
  • Genere: Thriller, Giallo
  • Trama: Nell’estate del 1972 Marsha è una ficcanaso di dieci anni che non ha ancora smesso di chiedere il perché di ogni cosa e Spring Hill un ricco, pacifico sobborgo di una città della East Coast, fin troppo noioso persino per i ladri di biciclette. Case di mattoni rossi a due piani e giardini impeccabili dove fare il barbecue la domenica. Ma improvvisamente l’ordine del quotidiano è spazzato via, una pennellata sbagliata guasta il quadro: un ragazzino viene seviziato e ucciso a pochi metri dal centro commerciale. E allora tutto cambia per sempre, anzi è già cambiato per Marsha che ormai adulta ricorda quell’estate oscurata dall’omicidio di Boyd Ellison e prima ancora dalla fuga, dall’abbandono del padre. È la scoperta del male, della fragilità, della sconfitta. È la perdita dell’innocenza di un’intera nazione, travolta dallo scandalo Watergate. Una serie di cerchi concentrici si stringono intorno alla protagonista. Marsha non smette di cercare l’assassino di Boyd, di raccogliere le prove, di inseguire un senso. Perché come tutti i bambini sa osservare. Sa cogliere le forze segrete che muovono le persone, i significati nascosti dei gesti, degli oggetti. E insieme a lei restiamo intrappolati nelle pagine di questo bellissimo romanzo, che ci porta dove non vorremmo mai andare da soli, dove la vita non è più quella cosa inoffensiva in cui avevamo creduto e il futuro diventa un ponte pericolante verso l’ignoto.

Opinione personale:

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Mi ci è voluto un po’ per elaborare questa lettura, o meglio, ciò che mi ha lasciato, e decidere quanto mi fosse piaciuto, perché il fatto che mi è piaciuto non era in discussione.
Marsha è una bambina di dieci anni e contemporaneamente una donna di età indefinita. Riesce ad essere entrambe le cose, perché si guarda indietro da adulta ma riporta esattamente ciò che pensava e provava allora, anche nel modo di ragionare. Ad ogni modo, in quell’estate si trova a dover affrontare la partenza, l’abbandono, di suo padre e l’omicidio di Boyd, ragazzino del suo quartiere. Attorno a questi due eventi che sconvolgono il piccolo universo, se non perfetto, almeno rassicurante, si muovono tante figure, tra cui quella di Mr Green, il nuovo vicino, e tanti eventi minori come lo scandalo Watergate e altre vicende politiche. Marsha attraversa quell’estate ricoprendosi di una sorta di corazza difensiva, forse involontaria, mentre l’innocenza dei suoi dieci anni, in qualche modo si corrompe.

Il modo con cui celebrava le cose essenziali e le piccole comodità della vita ti ricordava che tutto può essere coinvolgente, basta volerlo.

Al contrario della maggior parte delle recensioni che scrivo, nelle quali la parte più facile è parlare della trama, e quella più difficile è spiegare cosa ne penso, qui sembra tutto il contrario: io stessa mi sono avventurata nella lettura senza sapere bene di cosa si trattasse. Sospettavo un giallo, dato l’omicidio, e l’ansia di scoprire il colpevole, sospetto alimentato dal fatto che Marsha, influenzata dalla lettura di Sherlock Holmes, comincia a raccogliere dettagli su tutto ciò che la circonda. Arriva a sviluppare quas

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i un’ossessione per l’abitudine, e arriva a notare particolari, quasi invisibili, che però vanno a modificare la routine. Però non è di un giallo che stiamo parlando: lo definirei quasi un thriller psicologico, dove ogni vicenda è al contempo indipendente e strettamente correlata all’altra: proprio come nei meccanismi della mente di un bambino.
Sin da subito ho apprezzato lo stile, semplice ma molto evocativo, proprio come qualcuno che si guarda indietro: ne è venuto fuori un bel ritratto di una famiglia, della sua storia, e poi una fotografi di un quartiere intero.
Allo stesso modo, sin da subito ho apprezzato Marsha, nella sua doppia identità: si avverte la sua mentalità, il modo in cui essa cambia e si evolve, influenzata dalla cornice, eppure c’è questa voce razionale, adulta, che mette ordine. Mi è piaciuto cogliere i meccanismi che scattano in una mente bambina che cerca di dare un senso alle cose e di sentirsi al sicuro. C’è questa frase che spero possiate capire e che mi ha colpita “E mentre indugiamo, la vita segreta dei sogni sguscia fuori piano piano, brancolando nel buio”.
Ma la cosa più divertente è stata vedermi comparire davanti una sfilata di personaggi, uno dopo l’altro: a partire dal nucleo familiare, fino ad allargarsi ad un intero quartiere, l’autrice ha introdotto identità uniche eppure accomunate dagli eventi, omologate nel terrore e nella curiosità.  Da considerare poi che lo sfondo dell’omicidio fa analizzare i personaggi in modo molto più accurato: la mamma, sola, giovane, buona ma anche furba; i suoi fratelli, gemelli tra loro, chiusi in mondo personale; le signore del vicinato con l’ansia di apparire. Non sto qui a elencarli, né tanto meno a spiegarli, ma valgono la pena in un modo che supera il giallo, ancora a favore di un thriller psicologico. Così come vale la pena lo sfondo anni ’70, l’atmosfera che non so neanche descrivervi.

Perché quando ti vedi fare a un’altra persona le peggiori cattiverie, almeno sai di cosa sei capace. Almeno hai il resto della vita per stare più attenta.

Quindi, tirando le somme, l’ho letto con molto molto molto piacere

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: ho apprezzato stile, personaggi, trama. Ho avuto i brividi nel provare ogni singola emozione: tanta solitudine, tanta forza e tanto coraggio per affrontare i propri mostri e ricominciare. Cosa mi ha lasciato interdetta? Il finale. Non me lo aspettavo affatto così, e non so come spiegarvi senza spoilerare nulla. Mi aspettavo, nonostante tutte le smentite che avevo già avuto, un finale da giallo, che non ho avuto. Ho trovato invece il finale di una vicenda strana: in cui una bambina capisce il significato del male, per averlo subito, per avervi assistito, ma soprattutto per averlo fatto. Perché? Forse per autodifesa, forse perché alcuni meccanismi scattano in noi nei momenti di difficoltà, forse perché si è così suggestionabili e alla ricerca di una fine, più o meno lieta. 
Insomma ho aspettato invano e non ero sicura di quanto questo mi fosse piaciuto. Ma la lettura è stata bellissima, e il messaggio fa riflettere, molto. E allena l’empatia, ve lo giuro. Quindi ve lo consiglio assolutamente!

È nell’errore che la vita si compie davvero, ecco qual è la verità. L’errore ci gioca un tranello e allora veniamo a sapere qualcosa che mai avremmo pensato di scoprire. Per questo motivo le storie si basano sempre su un’anomalia di fondo. L’errore è quando non sappiamo cosa ci accadrà dopo. Un pensiero spaventoso, ma eccitante. E mentre indugiamo, la vita segreta dei sogni sguscia fuori piano piano, brancolando nel buio.

Il mio voto: 

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L’autrice:
Suzanne Berne: Nata nel 1961 a Washington DC, è conosciuta negli USA per i suoi romanzi, incentrati sulla psicologia di personaggi coinvolti in vicende familiari e relazionali


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