Magazine Cultura

[Recensione] Il Corpo Umano di Paolo Giordano

Creato il 23 giugno 2013 da Queenseptienna @queenseptienna

[Recensione] Il Corpo Umano di Paolo GiordanoTitolo: Il Corpo Umano
Autore: Paolo Giordano
Editore: Mondadori
ISBN: 978-88-04-61625-2
Anno: 2012
Numero pagine: 309
Prezzo: € 19

Voto:[Recensione] Il Corpo Umano di Paolo Giordano (Al suo primo libro, La solitudine dei numeri primi, avrei dato 5 stelle piene pertanto si è mangiato mezza stella. Ma il motivo di  questo ve lo spiegherò poi)

Innanzitutto Scrittevoli, vi segnalo un’intervista all’autore che ho trovato vagabondando per il web, perché l’ho trovata estremamente interessante e voglio condividere questa perla con voi. Basta cliccare qui e buona lettura.

Trama:

Si potrebbe definire un romanzo più “corale” rispetto al primo dello scrittore; tuttavia emergono ben presto i protagonisti della storia.
La vicenda si svolge in Afghanistan, più precisamente nel Gulistan, alla forward operating base (fob) Ice, un luogo ostile, riparato alle meno peggio dalle intemperie e dagli attacchi nemici . Per parecchio tempo, il plotone di giovani comandato dal maresciallo Antonio René e seguito dal tenente medico Alessandro Egitto, non incontrerà particolari inconvenienti, fino al giorno in cui saranno tutti costretti ad avventurarsi in territorio nemico: sarà allora che ognuno dovrà mettere in pratica ciò che ha imparato, facendo anche i conti con le proprie abilità e insicurezze. I reclutati infatti, in prevalenza sono poco più che maggiorenni; come il caporalmaggiore Roberto Ietri, che impacciato cercherà di prendere esempio da Francesco Cederna, il più risoluto e scafato del gruppo. Usciranno allo stesso modo molte altre voci dal coro che daranno vita a tensioni, drammi, amicizie, complicità, che corrono sul filo di una guerra più grande, che si combatte all’infuori del loro gruppo: quella crudele col nemico, ma anche quella con sé stessi.
La crescita  non sarà soltanto un concetto limitato ai ragazzini; anche gli esperti saranno chiamati a trovare una loro svolta, a stanare e sconfiggere le loro paure e risolvere faccende lasciate in sospeso troppo a lungo nella loro vita.

Recensione:

Dallo studio delle ossa, d’altronde, avrei imparato almeno una lezione: le fratture peggiori sono quelle che ci si procura da fermi, quando il corpo decide di andare in pezzi e lo fa, in una frazione di secondo si sbriciola in così tante schegge che dopo è impensabile ricomporlo.

Molte delle persone a cui lo scrittore aveva rubato il cuore col suo primo libro, hanno avuto problemi a comprare il secondo, o comunque forti e laceranti indecisioni. Perchè?! Perché qui ci si addentra presso lidi sconosciuti; da una storia di complesse e difficili dinamiche famigliari, si passa bruscamente a narrare di vicende di guerra. Di conseguenza i lettori si sono trovati un tantino spiazzati, confusi; abituati a mangiare carne, di botta si ritrovano in faccia un pesce. Io stessa non sapevo se ne sarebbe valsa la pena, così ho deciso di provare lo stesso, ed eccoci qui. Sciogliamo una volta per tutte il cosiddetto bandolo della matassa.
Tanto per “citarvi” Cuore Sacro (vedetelo davvero, che è un film stupendo) tutti si sono chiesti dove il Paolo Giordano dell’esordio sia finito… e lui con questo romanzo risponde “sono solo scivolato nella stanza accanto”: si è spostato, ma davvero di poco.
Tirate un sospiro di sollievo, perché il libro è decisamente molto bello ed ha soltanto una piccola pecca rispetto all’altro (ovviamente per saperla dovrete arrivare a fine recensione). E’ talmente gradevole che ho preso pagine e pagine di appunti (lo faccio ogni volta, ma qui praticamente ho annotato un blocchetto di frasi che mi hanno trafitta).
L’inizio è abbastanza lento: non ti butta giù drammi esistenziali da subito, anche perché i personaggi sono molti e parecchi di loro necessitano di una presentazione come si deve, che lo scrittore ci fornisce… e intanto tesse la trama, come una ragnatela cucita molto lentamente, ci lascia vivere i protagonisti, assorbire le loro ansie, le angosce, le loro emozioni; ci fa prima passare dalla loro parte, poi c’è la scomposizione, il crollo. Buona parte della narrazione è dedicata insomma alla conoscenza, al portarci in un mondo diverso dal nostro, in cui dobbiamo calarci, che dobbiamo ricostruire. Immaginate che ogni piccola sensazione sia amplificata, poi visualizzate le tempeste di sabbia, il cielo che occupa gran parte del paesaggio, il sole che diventa quasi un mezzo protagonista con i suoi tramonti. Il luogo già di per sé è una persona. Poi ci sono gli umani. Nella fob la vita è differente, e prima che accada qualcosa, Paolo Giordano ci lascia abituare alle liti, all’apatia, alle amicizie che si stringono con poco, alle delusioni, alla totale assenza di pudore. L’inizio, il racconto delle loro vite è un po’ una trappola: ti abitui a sentire familiari le persone raccontate nelle pagine, a volergli bene, a sentirle dentro, prima che il fragile castello di carta crolli.
D’un tratto ci si cala nella storia vera e propria e da lì si snoda tutta la sensibilità, l’esistenzialità. Gli interrogativi corrosivi sulla vita e la morte.

Come funziona? Arriva prima il rumore dello scoppio o la pallottola? Di sicuro l’intervallo non basta per levarsi dalla traiettoria. Ma magari è sufficiente al cervello per capire, per dire al resto del corpo è andata, sei morto.

Insomma ragazzi, si temporeggia all’incirca fino a  pagina 190 per riconoscere il vero Paolo Giordano, che si fa attendere ma arriva. Quello che mette il magone, quello che per quanto rende bene il vuoto dell’esistenza, le lacune, risucchia la carta. Corrode.
Ogni scrittore ha delle costanti e le sue, quelle che tutti dopo aver letto quasi mezzo libro diverso dal precedente pensano che se le sia perse per strada, riemergono puntualmente. E forse ci sono anche da prima, ma sono sporadiche, un ricordo lontano e s’insinuano timidamente tra le righe.

Comunque. La statua ti guarda con questi occhi enormi dipinti di giallo e l’ultima volta io fumavo l’erba di Abib e guardavo la statua e lei guardava me e a un certo punto, BAM!, mi è salita la botta e ho capito che la statua era la morte. Stavo guardando in faccia la morte!>>
<<La morte?>>
<<Si, la morte. Ma non era la morte come te la immagini tu. Non era incazzata. Era una morte tranquilla, non ti metteva paura. Era come… indifferente. Non gliene fregava nulla di me. Mi guardava e basta.>>

Le parole sembrano sporcarsi via via di sentimento ed emerge uno di quei cambiamenti irreparabili o quasi che condizioneranno tutta la narrazione. Poi la sofferenza, il cercare un rimedio per anestetizzarla e non sentire, per non vederla aleggiare ovunque. La solitudine sulle facce e nei gesti degli altri, pesante eppur sottile. Una metastasi incomunicabile, che ciascuno cova con rabbia o avvilimento, senza avere il coraggio di confessare. Tornano tanti di quegli aspetti, in un libro che è solo mascherato in qualcosa di diverso dall’altro. Si ritrova la sospensione di quando si fa un’azione degna di un rimpianto e la si lascia sola così, sul foglio, la si usa per chiudere la pagina, senza aggiungere commenti, per darti la possibilità di rimuginarci sopra. Tornano le “raffinatezze”, le descrizioni nude e crude di vomito ed escrementi. Soprattutto, ricompaiono di nuovo le incomprensioni, i drammi di una famiglia corrosa, sfasciata. Si cade di nuovo nell’universo scomodo degli affetti che diventa invece una giungla ostile e ti dilania.
Ciò che ho apprezzato di più in assoluto sono i ricordi dell’infanzia, i racconti sulla sorella di Egitto, in cui genitori e figli fanno finta di non riconoscersi, si muovono come spettri nella stessa casa senza riconoscersi, sfiorarsi, parlarsi e vengono a mancare i gesti più semplici. Si sente una vera e propria fame di calore umano, in cui anche l’alleanza fratello-sorella, per quanto appassionata, contiene un’implicita tiepidità. Veramente, ci sono parti che per quanto simili, possono essere reincollate dentro “La solitudine dei numeri primi”. Proprio questi aforismi ponte tra i due libri, quelli che ti angosciano l’anima, quelli che generano pianto più della nuda, cruda, spietata guerra, sono quelli che ho gradito di più.

Dopo tutte le battaglie in cui lo ha coinvolto, l’affetto che Egitto prova per lei resta intatto, ma è come se riguardasse lui soltanto, è come una creatura alata, condannata a restare sempre in volo, senza posarsi.

Marianna non sollevò più, nemmeno una volta, il coperchio del pianoforte a coda Schimmel e attraversando il salotto se ne teneva alla larga, come se quell’animale l’avesse tormentata troppo a lungo e anche adesso, sebbene addormentato, le suscitasse timore e ripugnanza.

Nessuno si avvicinò a lei, nessuno le accarezzò il viso bagnato e sconvolto. La guardavo dimenarsi come un animale preso nella tagliola. Il suo dolore risuonava in me con eguale intensità, ma non sapevo fare nulla per lenirlo.

Paolo Giordano sul versante emozioni è fantastico: con la facilità di un battito di ciglia è riuscito a portare sullo stesso piano di gravità i conflitti sul campo di battaglia e quelli personali/famigliari. Così, l’ambiente che dovrebbe essere protetto, ovattato, si riduce ad essere un campo di battaglia ben peggiore di quello là fuori. Più insidioso, perché dagli affetti non puoi scappare e ti rincorrono, ti torturano. Sono nodi che continuano a tornare indietro fino a che non giungono al pettine. Nodi che non si sciolgono ignorandoli.
Così, dolori diversi solo in apparenza, ma simili in sostanza, si alternano, si fondono e quando non li si anestetizza più generano domande. Dubbi che si mettono a tacere per paura di trovare loro una risposta, o forse si acquietano proprio per evitare di scoprire che essa è inesistente.

Una pillola al giorno, ognuna per cancellare una domanda a cui nel tempo non avevo trovato risposta: che cos’è una famiglia?, perché scoppia una guerra?, come si diventa un soldato?

In un certo senso si potrebbe proprio definire Egitto il personaggio ponte per eccellenza, perché pur essendo in Afghanistan resta ossessionato alle incomprensioni del suo ambiente di partenza e combatte ogni giorno mostri differenti dalle bombe. In generale, però, tutte le storie sono molto belle, specie quelle di Cederna, Ietri e René. Per il primo in particolare, abituato a prendere l’esistenza di petto, a non tirarsi mai indietro davanti a nessuna difficoltà, a mostrarsi aggressivo, i fantasmi da affrontare saranno pesanti, duri, e l’obbligheranno a tirar fuori lati interessanti della sua personalità ed altri più oscuri, che molto probabilmente neanche immaginava di avere. Ietri e Renè, di età del tutto diverse, s’interrogheranno su cosa vuol dire davvero essere uomini: il ragazzo cercando la propria dimensione, i propri spazi; l’uomo meditando sulle responsabilità.
Ora veniamo alla mezza stella in meno, perché avevo promesso di spiegarvela. Facendo il confronto (direi inevitabile) col primo libro, ci sono infiniti lati che si discostano da esso, accompagnati da infinite similitudini di un certo spessore. La storia è ottima, profonda, con pochi avvenimenti significativi che ne sconvolgono il corso, che lasciano tutti sgomenti e costringono i lettori a farsi le proprie riflessioni. Ci sono nuovamente emozioni complesse, difficili da esternare, l’assenza di fame, le malattie implicite, il dolore come protagonista. Dialoghi pesanti e difficili da digerire, materializzazioni del tormento interiore che l’anima fa fatica ad assimilare.

<<Non riesci a dormire?>>
<<Non ci riesco quasi mai. Lo scorso autunno vivevo come se fossi in Afghanistan anch’io. ora credo di essere solo un po’ sballata.
Sai qual è il fuso orario dei morti?>>

E’ una narrazione che solo apparentemente si discosta dall’altra. Il problema è uno solo: il finale. Ebbene si, il finale si è mangiato ben mezzo punto. Sarà che da Paolo Giordano mi aspettavo troppo, ma, mentre con “La solitudine dei numeri primi” l’espediente “cosa accadrà? Boh” ha funzionato, forse qui sarebbe stato meglio chiudere i giochi. Accadono talmente tante di quelle cose, che era preferibile tirarne le fila in modo più corposo e concreto.
Indi per cui si, la parte terminale poteva essere cucita meglio, per evitare di lasciare insoddisfatti; però il libro è davvero bello. Uno di quei romanzi di crescita che non si dimenticano facilmente. Questo scrittore alla fin fine sa sempre come lasciare un solco nell’anima altrui. Perciò, un consiglio agli scettici?! Compratelo, che testa e cuore anche stavolta ce li ha messi tutti.

 


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :