Ruby Rousseau è una giovane donna, nel cui profilo, alla voce “segni particolari”, potresti leggere un'accozzaglia di strane passioni e un purpurì di unicità introvabili. Partiamo dall'allitterazione perfetta che è il suo nome: tradotto alla lettera, Rubino Rosso; specchio del suo aspetto esteriore, anticipazione precisa dei suoi fitti capelli ramati e del colorito di guance che, in un tempo non lontano, hanno conosciuto il pallore totale. La sua carriera scolastica: una raccolta di personali trionfi, fino all'abbandono degli studi, a qualche giorno dalla laurea. La fuga dall'esclusivo Tarble College, una tesi lasciata a metà: o quella, o la sua salute mentale. Cartella clinica: pulita, se non fosse per il soggiorno in un ospedale psichiatrico, a seguito di un mancato suicidio, indotto da sonniferi pesanti e ispirato dalla delusione di un amore che le ha dato tanto, ma le ha tolto tutto. Hobby preferito: la morte. In assenza della propria, quella degli altri. Ruby scrive necrologi per mestiere, Ruby vive con la madre e convive con l'assenza del padre, Ruby è una narratrice curiosa, inquieta e sfuggente. Il libro delle verità nascoste è la sua storia. Il suo mistero da risolvere. Ho idee confuse in merito. Non sapevo cosa aspettarmi, all'inizio, e non ho saputo a lungo cosa aspettarmi. Come per continuità. Mi affascinano immensamente i libri che parlano di libri – L'ombra del vento, La tredicesima storia – e, pur consapevole di quanto spesso siano veri specchi per le allodole, mi sono catapultato tra le pagine del romanzo d'esordio della promettente Amy Gail Hansen. E l'ho divorato, tutto in una volta. Conoscevo poco, conoscevo il giusto, ma ero sicuro non avrei incontrato i più vertiginosi dei ritmi: l'aria sofisticata della copertina italiana mi suggeriva capitoli lunghi, andamenti lenti, un intreccio patinato. Parquet, tendaggi pesanti, un'ambientazione anni '50. La personalità stilistica - e non solo – della Hansen è una piacevolissima scoperta. Lei sa catturare, come una di quelle professoresse universitarie che ti mettono a tuo agio, fanno strappi alla regola e ti danno del “tu”, mentre ti intrigano con parole d'altri tempi. Le rielaborano, le masticano e le digeriscono, le fanno irrimediabilmente proprie. Tanto che scordi a chi appartenessero, prima di allora, e il plagio non ti sembra un pessimo falso d'autore. Ti sembra vera arte. Al suo primo lavoro in ambito letterario, l'autrice dà un'impronta completamente personale: mette la sua passione per la poesia e i suoi demoni non detti. Quelli che nascono quando l'apprendimento supera talune soglie e quando la lettura e la scrittura ti fanno vivere in bilico, tra realtà e immaginazione.
Recensione: Il libro delle verità nascoste, di Amy Gail Hansen
Creato il 15 settembre 2014 da Mik_94Ruby Rousseau è una giovane donna, nel cui profilo, alla voce “segni particolari”, potresti leggere un'accozzaglia di strane passioni e un purpurì di unicità introvabili. Partiamo dall'allitterazione perfetta che è il suo nome: tradotto alla lettera, Rubino Rosso; specchio del suo aspetto esteriore, anticipazione precisa dei suoi fitti capelli ramati e del colorito di guance che, in un tempo non lontano, hanno conosciuto il pallore totale. La sua carriera scolastica: una raccolta di personali trionfi, fino all'abbandono degli studi, a qualche giorno dalla laurea. La fuga dall'esclusivo Tarble College, una tesi lasciata a metà: o quella, o la sua salute mentale. Cartella clinica: pulita, se non fosse per il soggiorno in un ospedale psichiatrico, a seguito di un mancato suicidio, indotto da sonniferi pesanti e ispirato dalla delusione di un amore che le ha dato tanto, ma le ha tolto tutto. Hobby preferito: la morte. In assenza della propria, quella degli altri. Ruby scrive necrologi per mestiere, Ruby vive con la madre e convive con l'assenza del padre, Ruby è una narratrice curiosa, inquieta e sfuggente. Il libro delle verità nascoste è la sua storia. Il suo mistero da risolvere. Ho idee confuse in merito. Non sapevo cosa aspettarmi, all'inizio, e non ho saputo a lungo cosa aspettarmi. Come per continuità. Mi affascinano immensamente i libri che parlano di libri – L'ombra del vento, La tredicesima storia – e, pur consapevole di quanto spesso siano veri specchi per le allodole, mi sono catapultato tra le pagine del romanzo d'esordio della promettente Amy Gail Hansen. E l'ho divorato, tutto in una volta. Conoscevo poco, conoscevo il giusto, ma ero sicuro non avrei incontrato i più vertiginosi dei ritmi: l'aria sofisticata della copertina italiana mi suggeriva capitoli lunghi, andamenti lenti, un intreccio patinato. Parquet, tendaggi pesanti, un'ambientazione anni '50. La personalità stilistica - e non solo – della Hansen è una piacevolissima scoperta. Lei sa catturare, come una di quelle professoresse universitarie che ti mettono a tuo agio, fanno strappi alla regola e ti danno del “tu”, mentre ti intrigano con parole d'altri tempi. Le rielaborano, le masticano e le digeriscono, le fanno irrimediabilmente proprie. Tanto che scordi a chi appartenessero, prima di allora, e il plagio non ti sembra un pessimo falso d'autore. Ti sembra vera arte. Al suo primo lavoro in ambito letterario, l'autrice dà un'impronta completamente personale: mette la sua passione per la poesia e i suoi demoni non detti. Quelli che nascono quando l'apprendimento supera talune soglie e quando la lettura e la scrittura ti fanno vivere in bilico, tra realtà e immaginazione.
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