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Titolo: Il manifesto degli attori anonimi Autore: James Franco Editore: Bompiani Numero di pagine: 298 Prezzo: € 19,50 Sinossi: Gli attori di questo romanzo d'esordio sono un commesso di McDonald's che trascorre i suoi turni provando e riprovando nuovi accenti; un ex bambino prodigio che ricorda un baccanale sulla spiaggia: volontari ospedalieri e esuli della provincia americana più profonda; l'interprete di film sui vampiri che scopre un oscuro testo scritto da un famoso attore, ormai scomparso nel nulla; per non parlare del fantasma di River Pheonix. Poi c'è lo stesso James Franco, che si aggira dietro le quinte occhieggiando tra le righe, prima di prendere la parola e affascinarci con meditazioni sulla sua arte, oltre che con inquietanti storie piene di eccessi. Spaziando tra i generi, dal saggio lirico alla testimonianza disarmante, da messaggi imbarazzanti a note fantasma, James franco ci fa entrare con leggerezza, humour e una buona dose di follia nel cuore oscuro della celebrità. La recensione Che strano tipo James Franco. Che bizzarro che è il suo Manifesto degli attori anonimi. A chi consigliarlo, come parlarne, cosa dire e cosa non dire. Soprattutto, che raccontare di un libro che non ha una storia né un senso, eppure si fa leggere in un giorno; e piace, perfino, come può piacere un libro bizzarro, illogico e insensato come questo? Trecento pagine in cui perdi il filo del discorso ma che vuoi che importi, venti euro che sono tanti soldi sprecati, l'alter ego dell'autore che, in una pagina sì e nell'altra pure, ti suggerisce che Il manifesto degli attori anonimi è l'opera prima di un egocentrico cronico che non sa scrivere – non una storia dotata di inizio, svolgimento e fine, almeno - e che, facendoti un astuto lavaggio del cervello, ti convince quindi un po' del contrario. Ha senso? Prima che lo scrivessi, comunque, ne aveva. Perché, vedete, nell'istante in cui si ammette nel libro stesso che si è alle prese con un libro sconclusionato e inclassificabile e che si sono persi, ormai, soldi, speranze e tempo, quel libro ti sta improvvisamente simpatico. E dici qualcosa come tò, guarda, ma è geniale; se non altro ti convinci a modo tuo che non è stato un acquisto scemo. L'improvvisato scrittore aveva senz'altro tutti i mezzi per scrivere un romanzo-romanzo, ma ha giocato la carta dell'originalità e si è visto pubblicare in tutto il mondo questo simpatico e improbabile pastrocchio perché è un attore che non ha bisogno di presentazioni; ma se ne scusa quasi. Mette le mani avanti e in faccia ti sbandiera il suo essere privilegiato, con un sentimento che somiglia a volte all'orgoglio, altre al rammarico. Che vuoi farci, amico: non è colpa mia. Per quello lo scritto arriverà in libreria, per quello i lettori lo compreranno. Per quello l'ho letto anch'io. Quando c'è un nome di richiamo in copertina, la storia di un successo è già scritta. Ma a James Franco non si può dare del raccomandato. Se lo avessi scritto io, per dire, non mi sarei mai aspettato un riscontro positivo da un editore, in questa vita e nell'altra. Io però non ho quella credibilità, quell'esperienza, quel background e quell'invidiabile faccia di suola che fa innamorare le spettatrici in sala. Non è come quando Pupo si è dato al giallo; capiamoci. Dietro al bel sorriso che ha passato anche al fratello minore e ai capelli arruffati, Franco – che fa lo scemo per non andare in guerra – lavora per il cinema e il teatro, recita e dirige, scrive poesie, ha qualcosa come due lauree. Ha una visione totalizzante dell'arte, tutte le capacità per osare e l'ambizione tramontata di diventare il nuovo James Dean - era troppo curioso per darsi ai soli ruoli impegnati e troppo intelligente per andarsi a schiantare a cento all'ora contro un muro. Gli piacciono la sua vita al massimo (e a chi non piacerebbe?), le donne (e anche qualche uomo?), i soldi facili (vi chiedete ancora perché prende parte a filmoni e filmacci, così, a periodi alterni?). Il mondo del cinema gli dà il più poderoso calcio nel sedere possibile e lui, graziato intruso nel panorama editoriale, parla di cose che conosce con un linguaggio personalissimo, a cui non ci si abitua mai del tutto. Non ci si poteva aspettare qualcosa di diverso da una specie di pazzo suicida che adatta Cormac McCarthy e poi, in un video parodia, cavalca una Harley e si limona Seth Rogen; pubblica ridicoli selfie su Instangram e, al Festival di Berlino, presenta due pellicole a cui ha preso parte non si sa quando. Il Manifesto degli attori anonimi – uscito prima di In stato di ebbrezza, ma giunto solo ora in Italia – ha quell'anima ridicola e i baluginanti sprazzi di onestà. Un Franco nella stanza degli specchi, in una Hollywood circo: a volte descrive ciò che ha dentro, altre quello che la superficie lucida riflette. L'attore e la maschera. Scrittori e attori sono bugiardi per professione. Abbinate i due mestieri e non ci cavere un ragno dal buco. Il manifesto degli attori anonimi lo scrive come gli pare, nell'ordine che gli pare e con quello che gli pare: racconti, riflessioni, esercizi in rima sciolta che rivoluzionano il concetto di licenza poetica. Episodi sconnessi e sconci di poca gente che sfonda e di tanta gente che molla. L'umorismo corrosivo dell'ultimo Cronenberg che gettava benzina sullo Star System e accendeva il fatale fiammifero; la volgarità e il sesso sporco dei peggiori glory hole e bar di Caracas. I danni da metodo Stanislavskij, gli enfant prodiges, i provini disonesti, un tentativo di antologia di River – ma River Phoenix l'attore, non Spoon River di Masters. L'autore attore per tutto il tempo c'è e non c'è: usa la prima persona e ci si nasconde dietro. In un capitolo è sé stesso, in un altro una sua ammiratrice fuori di testa, in un altro ancora un patricida mosso da mille velleità artistiche. Dove voglia andare a parare chi lo sa, ma si diverte parecchio e tu finisci per diverti con lui. Tipo quando un amico attacca a ridere e il vicino segue a ruota; come al gioco del telefono senza fili in cui si perde il perché e il per come ma chissene. Interessante, a tratti, per gli addetti ai lavori ma non abbastanza da diventare una guida affidabile in quel mondo di chiaroscuri che continua a chiamarti. Ricordo che le avanguardie storiche avevano bisogno di un manifesto e questo volumetto dai colori fluo, strutturato a mo' di confessione degli alcolisti – e dei cinefili – anonimi, è dadaista come Duchamp. Quello dei baffi alla gioconda e del cesso esposto al museo. Ma, caro James, Il manifesto degli attori anonimi sarà un murales o un muro chiazzato di vernice? Una fontana o un gabinetto rubato al centro commerciale e messo a testa in giù? Twittateglielo, taggatelo. Lui, conoscendo il tipo, il paragone con Duchamp e il suo orinatoio lo farebbe scrivere nelle fascette promozionali. Piaciuto, ma consigliabile a pochi. Fan(atici), radical chic, sballati di cellulosa. Il mio voto: ★★★ Il mio consiglio musicale: Lou Reed – Walk On The Wild Side
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