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[Recensione] Il paese dei poveri di Ivano Mingotti
Creato il 06 gennaio 2015 da Lafenicebook @LaFeniceBookUn grido d'aiuto che molti urlano ma che nessuno ascolta, perchè siamo tutti troppo immersi nei nostri problemi, nelle nostre necessità e nella nostra vita. Che poi tanto vita non è più, una vita di stenti e sforzi per ritrovarsi a mala pena quel piccolo gruzzolo che ci fa sopravvivere ogni giorno!
Una storia di dolore, camuffata da metafora . In un primo tempo sinceramente credevo davvero di essere in un lager, in uno di quei tremendi campi nazisti, dove il dolore di anime morte urla ancora oggi. Dove la strage di innocenti, ci frantuma ancora i timpani. In quei luoghi dispersi da Dio, che solo lui poteva innalzarsi a uomo e giudice e così non è stato. Chi siamo noi per giudicare? E invece ci ritroviamo in una sorta di "Comunità dei Poveri" dove i barboni vengono presi e tratati come nei lager; privati della loro identità, della loro dignità e della loro vita. Quella vita a cui tutti aneliamo, quella ricchezza che ci fa sopravvivere e loro hanno perso. Qui vengono rinchiusi i cosidetti "poveri", coloro che sono stati abbandonati dalla gente, coloro che sono stati abbandonati dalle famiglie e da tutti.
Il trattamento che gli viene riservato è atroce, la dignità bruciata e la vita soffiata via come una foglia caduta dall'albero. Nessun appiglio più, solo la volontà di trovare un lavoro e andare via. Nessuno può uscire da questa gabbia. Tutti indistintamente sembrano animali al macello. Un inno alla critica sociale, imperniato sul concetto della produttività, nonché una disamina, in un contesto distopico, del concetto dei lager e dei prigionieri. In un mondo in cui il guadagno e la produttività sono tutto ciò che conta, la popolazione è costretta a non essere povera: essere in miseria è un delitto, è rallentare la società, e dunque, per evitarlo, la società, sotto lo schermo dell’indifferenza dei suoi cittadini, interna, in grandi istituti chiamati ”paesi dei poveri”, coloro che vengono ritrovati in strada, nullatenenti e nullafacenti. In questo lager per “barboni” si ritroverà il protagonista, costretto a viverne le regole, affini a quelle dei famosi lager di Birkenau e Auschwitz, fino all’essere totalmente alienato dalla sua stessa condizione di umano.
La scrittura è fluida, disarmante, atroce e sofferente. Forse troppa minuzia nei particolari, che poi risultano pedanti e noiosi.Il libro ti catapulta a osservare l'uomo/protagonista che si ha davanti. Come se fossimo uccelli, corvi, che girano attorno a esso e lasciano che lui stesso muoia di stenti. La mente è malvagia, l'indifferenza peggiore di un malanno, solo tale può portare alla rovina della dignità. Alla ricchezza dei popoli e allo sfacelo dell'umanità. Un mondo marcio non può vivere per sempre. Buona Lettura.
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