Non era in programma una recensione oggi, ma ho così tanti libri da finire in questo mese che per forza di cose vi toccherà subire i miei deliri a ritmo serratissimo. Fortuna vuole che oggi vi parli di un libro che, se la sua autrice non me lo avesse proposto (Angelica, non finirò mai di ringraziarti per quest’onore), mi sarei persa e del quale mi sono perdutamente innamorata, ragion per la quale sono qui per consigliarvelo fino allo sfinimento.
Titolo: Il re di picche e la regina di cuori. Parte prima
Serie: Il re di picche e la regina di cuori #1
Autrice: Angelica Cremascoli (potete trovarla qui e qui)
Editore: Triskell Edizioni
Anno: 2014
Pagine: 439
Lo potete trovare in edizione digitale qui e qui
Los Angeles, California. La culla dei sogni, il seno a cui gli artisti impavidi e temerari si attaccano per succhiare fama e successo, l’abbraccio persuasivo della seduzione. È qui che Engie Porter, ballerina eclettica e donna paralizzata dalla paura d’amare, incontra un temibile futuro, riflesso negli occhi celesti e appassionati di Derek Heart. Con un risveglio turbolento, Engie cerca di sottrarsi ai tranelli della vita, malgrado il destino, incarnatosi in Brenda “Brownie” Brandi, la diva, la super star, la regina dello showbiz, colei che aleggia sulla storia, ne muova sfacciatamente le fila. Una storia d’amicizia, d’amore, d’orgoglio; un duello di menti e di cuori, coinvolti nell’aspra battaglia per la reciproca conquista. Riuscirà l’amore a farsi di nuovo strada nel cuore di Engie Porter?
Mi sento sempre in agitazione, quando un autore mi mette tra le mani una sua storia, perché ho paura di non saperla apprezzare e non riuscire a mascherare le mie impressioni dietro un’analisi che cerco sempre di rendere più razionale possibile, senza rendermi bene conto che tutto dipende da quel che provo e poco ne può il cervello se non seguire il flusso incondizionato di emozioni che mi pervadono durante la lettura e finisco poi per buttar giù sulla carta. L’ansia è una mia caratteristica, lo sanno anche i muri, e la paura di non essere all’altezza le fa da contraltare alla perfezione e, capirete, creano non poche aspettative di fronte a un libro che mi è stato donato proprio da chi l’ha scritto. Fortunatamente, immergersi in queste parole è stato un viaggio affascinante e rincuorante e tutte le insicurezze di cui sopra son sparite non appena ho aperto il libro e mi son addentrata tra le sue prime righe. Perché, sappiatelo, mi sono innamorata a prima vista di questo romanzo e, nonostante cerchi di razionalizzare quel che la storia di Engie, prima ancora di quella di Engie e Kay, mi ha lasciato addosso, non sono sicura che saprò dirvi quanto questo libro mi sia entrato nel cuore e, al tempo stesso, mi abbia conquistato la testa. È stata una resa totale, di cuore e mente, entrambe soddisfatte, appagate in una maniera insospettabile di quel che avevano ottenuto da semplici parole messe in fila a costruire frasi, discorsi, emozioni che balzano fuori dalle pagine e diventano tue e ti costringono a indossare i panni di chi le sta affrontando, a vivere in prima persona le paure di Engie, i dubbi di Kay, la splendida alchimia di due cervelli che sanno amarsi prima che i corpi riescano a dirlo e le voci ad ammetterlo. Ed il merito è tutto della penna che ha trapuntato quest’intreccio sorprendente e che ha saputo parlar d’amore e fiducia senza cader nel banale. Non è affatto semplice e ancora meno lo è parlar del terrore di mettere le proprie certezze in mano a chi potrebbe spazzarle via e lasciarti più distrutta di prima, perché rialzarsi da un dolore atroce è complicato ma ritornare all’inferno per la seconda volta e tentare di uscirne è quasi impossibile, per chi non ne può più di lottare controcorrente. Questa è, all’inizio del romanzo, Engie – ballerina e coreografa dell’eccentrica Brandi, raminga quasi per professione, animo tormentato incapace di metter radici, una valigia sempre stretta tra le dita di una mano e un biglietto aereo tra quelle dell’altra – quando incontra Derek, rockstar dall’aura di bello e dannato, che tutto sembra fuorché ciò che i rotocalchi dipingono e che riesce, tra battute sarcastiche e malcelate antipatie, a bucare la spessa corazza che indossa. A portar luce e tranquillità laddove l’ombra e l’insonnia regnavano sovrane.
Fino a pochi giorni fa, non avevo una casa né affetti da cui fare ritorno, tutto ciò di cui avevo bisogno si spostava con me, era nomade come me, e andavo fiera della mia indipendenza. Ora a malapena riesco a vedere attraverso i vetri appannati della mia confusione.
Kay che mi studia da dietro i suoi onnipresenti occhiali da sole. Kay che si passa la mano sulla nuca sudata e che trattiene, orgoglioso, ogni lamentela di stanchezza. Kay che cammina nel mondo con gambe larghe e passo deciso. Kay che apre la porta della stanza, lanciandomi un ultimo carezzevole sguardo. Kay appollaiato sulla mia spalla, sopraffatto dalla bellezza di Marienplatz. Kay che allunga la mano verso i miei capelli solo per farmi andare di traverso la colazione. Kay che impreca, intento a cercare il verso giusto della cartina. Kay che mi ascolta rapito. Kay che rompe le sigarette di Cal e gliele ricompra. Kay che si china per allacciarsi una scarpa. Kay che si esercita con il tedesco solo per riuscire a ordinare una sacher. Kay che si stiracchia prima di abbandonare il Giardino Inglese. Kay che s’infuria quando gli nego l’accesso ai miei pensieri. Kay che mi ruba la valigia o lo zaino dalle mani. Kay che gioca coi i bottoni della mia camicia. Kay che si abbronza sotto il sole caldo di Monaco e ride dei miei rossori.
In pochi giorni ho assistito a due fenomeni spaventosi: la distruzione delle mie difese e la riscoperta di un’umanità che credevo fosse stata esiliata per sempre dal mio codice genetico. Quanto serve a una donna per rinascere? Cosa serve? Chi?
Forse solo ombre, per saper riconoscere la luce, e pioggia.
Con Engie è stato amore a prima vista. Comprendere la sua mente affollata di pensieri e l’innominato bisogno di essere amata mascherato dietro gli aculei di un’acidità esasperante, è fin troppo facile per una sociofobica cerebrale come me che non riesce a spegnere il cervello e, forse per questo, seguirne i rifrulli elucubrativi che costantemente la accompagnano non è assolutamente noioso, semmai tutto l’opposto. Mai stanca di analizzare situazioni e comportamenti, Engie ci obbliga a seguirla nei tortuosi meandri della sua mente, a cercare di capire dove l’ennesimo rimbalzo intellettivo la porterà e se saprà, alla fine di questo suo psichico viaggiar senza sosta, trovare il coraggio di aprirsi all’irrazionalità e lasciarsi travolgere da qualcosa per cui non è pronta e che non riesce a spiegarsi. Ma che non riesce a farmare, nonostante ce la metta tutta. Perché Engie, sappiatelo, è una testa dura, a tal punto che prima di ammettere una propria falla si strapperebbe un braccio a morsi e che nega fino allo strenuo anche il minimo provar sentimenti ai quali non vuol conceder vittoria, perché in passato l’han investita in pieno e lasciata senza forze, costretta a cavarsela da sola tra macerie e detriti che si le si sono annidati dentro e le hanno costruito un muro attorno contro il quale tutti sono destinati a sbattere. Ma non Derek, o meglio, Kay. Se il primo è la maschera impenetrabile che, complici un paio di occhiali, una cresta che cambia colore settimanalmente e la battuta sardonica sempre sulle labbra, calza alla perfezione sulla celebrità irraggiungibile, il secondo è quello che pochi conoscono e che fin dalla sua prima apparizione risulta essere non l’opposto di questa – perché questo sì, che sarebbe incredibile – ma semplicemente la figura a tutto tondo che si lascia scoprire da pochi e che, pur godendo dei suoi privilegi, rimane un uomo e, in quanto tale, vittima di osservazioni che ne stimolano e affascinano la mente, risvegliano i sensi e spingono alla caccia di qualcuno che di essere l’ennesima tacca su una cintura non si accontenta e, al tempo stesso, non riesce a dare un nome al loro rapporto. È un susseguirsi di piccole tappe, nel loro rapporto e geografiche, di percorsi lunghi mesi che tra Parigi, Madrid, Monaco e Londra sbattono in faccia un desiderio inconfessabile di scoprir cosa c’è al di là dell’interesse, vestono gli abiti di una tregua che sa di amicizia e ha il retrogusto della gelosia, rifiutano di abbandonarsi all’inevitabile.
È con le mani che si hanno le conversazioni più intime e profonde, incensurate e incensurabili, sincere e oneste; è alle mani che si affida il compito di parlare per noi, presentando la nostra concretezza, la nostra fisicità, il nostro essere. Ogni tanto si finisce anche per preferire loro a tutto il resto, loro che non pensano, non avendone la facoltà, ma che agiscono.
Quanto si può percepire di una persona attraverso il suo tocco?
Chiudo gli occhi e sono ricatapultata su un divano del The Heart, nella penombra serale di Los Angeles, accucciata accanto a un rigido Kay, nonostante i tremila piedi di altezza e un aereo che mi sta portando nuovamente da Brownie. Chiudo gli occhi e sento su di me le dita che hanno suonato sulla mia schiena, sulla mia pancia, sulle mie braccia, una languida e suadente ninna nanna. Chiudo gli occhi e mi sembra di avvertire un respiro caldo e cadenzato accarezzarmi l’orecchio e il collo (…) Engie Porte non è fatta di pietra. E, rannicchiata contro il torace marmoreo di Kay, in balia dell’audacia e della tenerezza delle sue mani, ha scoperto che il suo sangue è ancora capace di ribollire e di irrorare come una colata di lava le giuste parti del corpo.
Ma perché adesso e non quattro mesi fa? (…)
L’abbiamo camuffata, l’abbiamo controllata, l’abbiamo ignorata, l’abbiamo raggirata, l’abbiamo segregata. Tutto in noi ci ha tradito, tradisce e tradirà lo sforzo di beffarci della chimica.
Tutto, tranne le mani.
Grandi, sicure, agili, rivelatrici di un’esperienza che non ho mai faticato a immaginare.
Ma anche dolci, persuasive, delicate, garbate, affettuose. Una contraddizione che, invece, era al di là di ogni sensata e logica aspettativa.
Kay mi ha accarezzato con rispetto e consapevolezza di ciò che sono e di ciò che voglio, nonostante avesse potuto pretendere e ottenere di più.
Ecco perché adesso e non quattro mesi fa.
Affascinante, è il modo attraverso cui la Cremascoli trasporta dentro il testo e spinge a riflettere, ad accendere il cervello e obbligarlo a seguire i ragionamenti della sua protagonista, a gioire con lei delle improvvise epifanie che le aprono gli occhi e a sentirsi frustrati all’inverosimile quando ostinatamente li chiude e impedisce alla vita di attraversarla, alla coscienza che spesso prende il nome di Brownie di mettere al posto giusto i tasselli di un puzzle che è semplicissimo e che solo lei si sforza di non capire, a Derek di far crollare mattone dopo mattone la muraglia cinese di paure dietro alla quale si è barricata. A se stessa una possibilità di felicità.
Sorprendente, è il fatto che abbia apprezzato ogni singolo aspetto di questo romanzo, dalla prosa ironica che affida la narrazione a quel personaggio affascinante che è Engie e filtra attraverso il suo sguardo critico luoghi, situazioni, relazioni per smembrarli nel dettaglio e comprenderli appieno, fino alla caratterizzazione di ogni personaggio, persino quelli secondari, che splendono di luce propria e, anziché limitarsi ad essere sfondo dei protagonisti, si ergono a comprimari e tessono le fila di una storia destinata ad essere ma che ha bisogno di una spinta.
Consigliato, di cuore, a chi cerca una romance che sappia elevarsi dai cliché e parli di due persone che, pur nella straordinarietà della loro carriera, rimangono due qualunque, nei quali riconoscersi, per i quali fare il tifo e dei quali innamorarsi. Perdutamente.
Voto: ❤❤❤❤❤