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Titolo: Inferno – Canti delle Terre Divise Autore: Francesco Gungui Editore: Fabbri Numero di pagine: 430 Prezzo: € 14,90 Data di pubblicazione: 7 Maggio 2013 Sinossi: Se sei nato a Europa, la grande città nazione del prossimo futuro, hai due sole possibilità: arrangiarti con lavori rischiosi o umili, oppure riuscire a trovare un impiego a Paradiso, la zona dove i ricchi vivono nel lusso e possono godere di una natura incontaminata. Ma se rubi o uccidi o solo metti in discussione l'autorità, quello che ti aspetta è la prigione definitiva, che sorge su un'isola vulcanica lontana dal mondo civile: Inferno. Costruita in modo da ricalcare l'Inferno che Dante ha immaginato nella Divina Commedia, qui ogni reato ha il suo contrappasso. Piogge di fuoco, fiumi di lava, gelo, animali mostruosi: gli ingranaggi infernali si stringono senza pietà attorno ai prigionieri che spesso muoiono prima di terminare la pena. Nessuno sceglierebbe di andare volontariamente a Inferno, tranne Alec, un giovane cresciuto nella parte sbagliata del mondo, quando scopre che la ragazza che ama, Maj, vi è stata mandata con una falsa accusa. Alec dovrà compiere l'impresa mai riuscita a nessuno: scappare con lei dall'Inferno, combattendo per sopravvivere prima che chi ha complottato per uccidere entrambi riesca a trovarli... Il primo romanzo di una trilogia fantasy. La recensione Ho sempre amato molto la Divina Commedia. Da bambino, sentirne leggere qualche passo era come scoprire una nuova fiaba non contemplata nei libri per i più piccoli. Le parole non le coglievo mai tutte, tanti versi mi rimanevano oscuri, ma ne avvertivo la poesia, la passione divorante, la fantasia senza limiti. Crescendo, ho ritrovato Dante e il suo capolavoro in primo liceo. L'ho conosciuto meglio, l'ho studiato e approfondito, ma tutta la magia degli inizi, a una lettura più consapevole, svaniva ogni volta. C'era denuncia, impegno politico, voglia di arrivare con i propri scritti immortali a tutti – dal ciabattino al Gran Duca di turno – ma ogni filo dell'intreccio era nascosto dietro un velo più grande. Quello dell'allegoria. Inferno, Paradiso, Purgatorio: tappe di un viaggio dell'anima. Beatrice: la personificazione della teologia, l'espediente letterario di un grandioso poeta. Dante e Beatrice non si erano nemmeno mai conosciuti, nella vita vera. Lei, secondo molte fonti, si era spenta come un candela sotto un temporale quando il poeta fiorentino era appena un romantico, introverso adolescente. Non c'era stata nessuna storia d'amore, e la discesa infernale per salvarla era solo un'ingenua, frettolosa e sentimentale lettura della Commedia.Il mito di Orfeo e di Euridice non si era ripetuto. Che peccato, ho sempre pensato. Che occasione mancata, per certi versi. Per una volta, mi sarebbe piaciuto non sapere. O perlomeno sapere qualcosa di meno. Sarebbe stato più bello rimanere alla semplice fabula, senza conoscerne la genesi e i geniali ed audaci echi. Inferno – Canti delle Terre Divise è un romanzo distopico avveniristico ed originale costruito proprio su quella semplice, emozionante idea: su un sacrificio d'amore che sfida le autorità, le fiamme, la dannazione eterna. I Dante e Beatrice di Francesco Gungui, abitanti di un futuro non precisato e di una Terra irrimediabilmente smembrata, sono Alec e Maj ed hanno diciassette anni.La città di Alec ha le fattezze di un luogo rannicchiato sotto i bombardamenti: grigia, spoglia, squallida, con un proliferare di Casinò ad ogni dove e immagini infernali proiettate sulle pareti delle cattedrali. Riprese delle torture a cui sono sottoposti i dannati della prigione più spietata mai creata. Un memento mori capace di terrorizzare, di mantenere l'ordine. Dov'è cresciuta Maj, invece, le rose crescono senza spine, le spiagge sono sterminate e pulite, le villette bianche e accoglienti, le colline verdi per i fitti e rigogliosi ulivi, l'aria odorosa di salsedine. E' un paradiso, è il Paradiso. Vengono da realtà diverse, ma si incrociano a metà strada,“nel mezzo del cammin di nostra vita”. Maj vuole conoscere Alec e, attraverso le sue labbra, la libertà che il suo universo da sogno le nega. L'autore, ormai esperto in materia di adolescenti, sogni di libertà e bombardamenti di ormoni, descrive con delicatezza, ritmo e un pizzico di matura sensualità il loro scoprirsi: Maj che, con un cocktail in mano e un costume stretto nei punti giusti, lo guarda a bordo piscina; Alec che, con l'adorabile sorellina accanto e cattivi ricordi dietro le palpebre, ha paura di cedere ai suoi sentimenti; e il loro bacio proibito, che diventerà simbolo di ribellione e che, insieme a intrighi e tranelli, li condurrà insieme all'Inferno. L'idea è fantastica - internazionale, ma che più italiana non si può – e Gungui si dimostra davvero bravo nel gestire l'intreccio e gli sviluppi di una storia potenzialmente esplosiva. Tanto bravo.La stessa Fabbri che, quando io ero piccolo, aveva pubblicato Eragon e Le Fiabe Sonore, mostra il romanzo come un classico libro per ragazzi. Trama avventurosa, copertina a disegni semplice e suggestiva e, a firmare il tutto, uno degli autori adolescenziali più noti in Italia, con le sue storie colme di buoni sentimenti e gioventù. Il suo nuovo romanzo, da metà in poi, è stato una violenta, travolgente sorpresa. Crudo, drammatico, realistico. La sua scrittura è il lanternino che ha illuminato questa catabasi, con una prosa spesso rapida e semplice, ma con l'abilità di diventare tagliente ed incisiva nei passi più impervi e memorabili. Evocativa. Sembra di sentire l'odore di zolfo, il calore delle fiamme nel petto, i graffi e la potenza delle terrificanti creature nascoste dietro i coni d'ombra. Davanti alla scena dell'ingresso in quella reale grotta della paura, alla fame di sesso e droga dei lussuriosi, alle risate sguaiate e ai mugolii cacofonici, ho immaginato una telecamera che si staccava dai volti dei protagonisti in spettacolari riprese aeree che riprendevano la città di Dite sotto assedio. Una fortezza medievale con guerrieri ed eroine e temibili mostri alle porte: sciami di arpie, minotauri, cerberi, centauri. I singoli personaggi, sporchi di fuliggine e sangue, in cerca di compagnia per non attraversare da soli le fiamme e i portali della morte, cercano un senso al tempo, alla vita, all'amore, all'odio. Anime che si interrogano sulla precaria fugacità del tutto, nelle quali grande è la voglia di lasciarsi morire, ma ancora più grande è il loro animo. Anche nella disperazione, tra uomini primitivi e tribù di donne guerriere, con la terra che trema e con grotte di rocciose stalattiti, prevale il desiderio di fuggire chissà dove, di piangere, ridere e amare come se non ci fosse un domani. Esigenze fisiche, innegabilmente umane. Si continua a cercare l'amore, si continua a farlo nella quiete di un prato o sotto il gorgoglio di una cascata, si continua a costruire piccoli nuclei familiari. Come non pensare a ciò che Venerdì rappresentò per Robinson Crusoe o Richard Parker per Pi: umanizzare, educare, raschiare e tornare a costruire cose nuove sono presenti, nell'uomo, al pari del suo stesso istinto di sopravvivenza. Tutto pur di portare l'umanità in quel carcere di fuoco. In quei cerchi di dannati è contenuto il meglio e il peggio dell'uomo odierno. Un animale a sangue freddo, alla fine, che si adatta a tutto per farsi una nuova esistenza, per imparare – in situazioni estreme – ad apprezzare la vita per quella che è. Come un cactus che cresce in deserti mai baciati dall'acqua o un'edera rampicante che supera muri, limiti, confini. Di tasselli di umanità, nel corso della lettura, se ne incontrano tanti, ma su un comprimario in particolare mi è impossibile tacere: Jorgos. Per me, ha rappresentato il Virgilio personale di Maj e Alec. Un bambino nato e cresciuto lì sotto, nei meandri dell'Inferno, senza aver mai visto la diretta luce del sole o le stelle. Innocente, vestito di stracci logori, con la pelle arrossate e le gambe magrissime, ma con il coraggio di un leone; di un adulto vero. L'impresa portata a termine da Francesco Gungui, il suo “folle volo” dal tiepido inferno dell'adolescenza a quello dantesco, è stato un piccolo trionfo: il suo ultimo romanzo è un distopico vero, la riproposizione rivista e corretta dell'adrenalina travolgente di Divergent e del patos e della cupezza dei vari Hunger Games. Uno young adult decisamente valido, leggermente venato di sadismo e del tutto privo di consolatorie scenette all'acqua di rose che in molti - ok, forse sono stato l'unico! - hanno evidenziato perfinonegli acclamati romanzi di Suzanne Collins. Le terzine dell'Inferno difficilmente sono odiate e, perfino gli studenti più svogliati, non posso negare il mistero inquietante che sprigionano dopo molti secoli. Ma, se qualcuno non fosse d'accordo con me, dovrebbe necessariamente leggere questo romanzo. Scoprirebbe l'attualità e il sublime fascino di una storia che arde dentro. Il mio voto: ★★★★ Il mio consiglio musicale: Depeche Mode - Heaven
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