Titolo: Ivan il terribile
Autore: Alcìde Pierantozzi
Editore: Rizzoli
ISBN: 9788817056021
Num. Pagine: 324
Prezzo: 19,00€
Voto:
Trama:
È la cattiveria di Ivan a essere così seducente? Oppure la sua tenerezza improvvisa, capace di annullare le barriere con cui gli altri ragazzi lo tengono a distanza? Di lui i coetanei sanno poco: solo che ha quindici anni ed è appena tornato in paese dopo sei mesi di carcere minorile. Ma tutti, maschi e femmine, osservando i suoi occhi di un verde magnetico, avvertono con timore l’attrazione che può innescare a suo piacimento. Soltanto in due a Roccafluvione hanno il coraggio di avvicinarlo, a poco a poco, al maneggio o a scuola: sono rivali, Sara e Federico, ed entrambi pensano di averlo conquistato, prima di scoprire la sua natura selvaggia. Sara è insicura, rabbiosa e sgraziata nonostante la passione per i cavalli; nasconde desideri feroci e una capacità di abnegazione fuori dal comune. Federico, appena arrivato dal Nord, ha un fascino irrequieto e parla come un adulto. Alle spalle hanno storie familiari dolorose e sogni tenaci, come quello comune di partire in viaggio con Ivan, anche a costo di allearsi a sua insaputa. Un van per cavalli, una notte umida, un sogno in lontananza, un’eccitazione e una violenza che non credevano di desiderare. Ivan scioglierà le loro asperità, facendoli sentire vivi e in pericolo. Alcide Pierantozzi ha scritto di un’adolescenza che spaventa perché è vera: scaltra ma capace di assoluto; spietata. Ivan il terribile ci educa a una crudeltà nuova, e ci accompagna in un viaggio struggente attraverso una provincia dimenticata, fino al cuore del disastro delle nostre famiglie.
Recensione:
Non ho ancora capito il senso di questo libro, e penso che non lo capirò mai, visto che ho l’impressione che sia stato scritto solo per far succedere cose e non per raccontare una storia.
Partiamo da ciò che mi è saltato all’occhio già dal secondo capitolo. Due dei protagonisti di questa storia sono quindicenni, ed entrambi fumano.
Ok, legittimo, c’è gente che a tredici anni si è già inalata di tutto e di più, quindi niente buonismo. Il fatto che ho trovato pressappoco allucinante è stato che nessuno dei genitori di costoro si indignasse, anzi, offrir loro una sigaretta sembra di dovere.
What? Seriously? Se io a quindici anni mi fossi messa a fumare in presenza neanche dei miei genitori, ma anche solo di un adulto, avrei ricevuto delle sberle, e francamente l’avrei trovato persino giusto. Ma forse sono io che tengo visceralmente alla mia salute, mea culpa, eh.
A ogni modo, già da quando l’ispettore di polizia offre una paglia a un’adolescente ho presagito che questo libro mi avrebbe lasciata perplessa.
Beh, in realtà l’ho capito dal primo capitolo, quando Federico fa un provino per Amici (!), ma volevo dargli il beneficio del dubbio.
Una trama costruita in maniera vera e propria qui non esiste. È un alternarsi dei punti di vista di Sara e Federico e del loro rapporto con Ivan, appena tornato dal carcere minorile, il classicissimo spaccone che ha solo un disperato bisogno di comprensione ma non lo vuole ammettere, che ha sbalzi d’umore peggio di una donna incinta e che non ha la minima idea di cosa voglia dire essere una persona coerente.
Federico e Sara sono personaggi studiati per essere agli antipodi l’uno dell’altra: Federico è ricco sfondato per via della madre, un’artista della pittura; Sara è povera in canna, una madre che si arrabatta per sopravvivere e vive in un casolare fatiscente. Federico è intelligente, filosofico e maturo; Sara è una ragazzetta ignorante che non conosce nemmeno i modi di dire, è infantile e incline a lasciarsi andare ai sentimenti (parentesi: Sara viene fatta passare per la stupidotta un po’ burina in quanto non conosce termini forbiti e frasi fatte, ma sa che gli insetti che volano sul pelo dell’acqua sono tricotteri).
Di questo libro non so neppure dire cosa io abbia apprezzato interamente. La psicologia dei personaggi è, come già evidenziato, ballerina: si comportano come se stessero seguendo un copione onirico, dicono e fanno cose inaspettate, colpi di testa privi di una qualsiasi logica, a volte hanno dei comportamenti per cui si può provare empatia, ma durano talmente poco che riescono a scatenare insofferenza nei loro confronti; gli unici che salverei sono alcuni dei personaggi secondari, Anna, Monica, il Moreno ed Edoardo, la madre di Sara e il padre di Federico.
La madre di Federico, che da un giorno all’altro decide di buttarsi in una spirale di delirio autolesionista, mi pare incommentabile.
Così come incommentabile è l’epilogo, incomprensibile, inventato per stupire, appositamente creato per far spalancare la bocca. Non nego che non sia stato sorprendente, ma ormai avevo già compreso che non avrebbe avuto nessun senso fino all’ultima pagina.
Mi rendo conto che il romanzo è stato scritto con la volontà di rappresentare le conseguenze dell’avere una famiglia emotivamente disastrata, del disagio di vivere, dei problemi da affrontare durante la crescita tra bulletti, inadeguatezze, sofferenza e desideri che si manifestano. Ma il modo in cui è stato descritto è penoso.
Siccome il romanzo è narrato soltanto dai due punti di vista di Francesco e Sara – al cui centro c’è Ivan – ci si aspetterebbe che poco a poco la psicologia di quest’ultimo venisse analizzata, che venisse spiegata attraverso gli occhi di loro due in modo che alla fine anche il lettore potesse comprendere le sue motivazioni, il suo dolore, il suo essere.
Invece l’autore si è accontentato di chiudere la faccenda una lettera di Faud, di qualche frase molto poetica ma che non ha nessunissimo significato concreto, e un finale veramente bambinesco in cui Francesco e Sara si manifestano per essere quei ragazzini sciocchi e sgradevoli che sono.
Cosa posso dire? Avrei gradito più chiarezza del testo, meno volgarità, termini gergali e dialettali, e soprattutto più maturità.