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Titolo: L'amore involontario Autrice: Chiara Marchelli Editore: Piemme Numero di pagine: 280 Prezzo: € 15,50 Sinossi: Il giorno in cui Riccardo riceve la telefonata, per lui sua sorella è solo un pensiero fastidioso, un ricordo cacciato con rancore. Cresciuti vicini, stretti in un rapporto necessario e profondo, non si sentono più da anni: a Irene, scrittrice molto amata, Riccardo non ha mai perdonato di aver scritto di lui nel romanzo che l'ha portata al successo. Di aver parlato di quel dolore devastante che l'ha reso un uomo duro e cinico e che ha trasformato per sempre la sua famiglia. Ora Irene è in coma dopo un grave incidente e Riccardo si trova a doverle stare accanto. Da lui tutti si aspettano una pena che non riesce a provare, un amore che non sente più. Ma, un giorno dopo l'altro, accanto al corpo muto eppure così vivo di sua sorella, quell'amore torna a pulsare. Anche attraverso la lettura del libro di Irene, che Riccardo si era sempre rifiutato di leggere e che ora gli restituisce la sua vita in un modo che non era mai riuscito a vedere. Lentamente le parole di Irene riescono a scalfire il muro dietro al quale Riccardo si è nascosto per anni, permettendo al dolore di uscire, e liberarlo. La storia della trasformazione di un uomo, il racconto intenso e forte di un risveglio. Dei sentimenti, dei ricordi, di un possibile nuovo legame. Per trovare il coraggio di mettere da parte il dolore più grande e prendersi cura di ciò che resta La recensione Non l'avevo visto. L'aquilone arancio rimasto impigliato tra i rami. Guardavo a terra, invece era il cielo il segreto. Guardare il cielo per scoprire che il simbolo di un'infanzia, il tempo dei giochi e l'innocenza dei bambini non erano cose andate perse nel fuoco, per sempre. Gli alberi, come una soffitta, nascondevano l'importante. Non avevo visto L'amore involontario. Guardavo altrove: avevo la testa tra le nuvole, ma gli occhi da un'altra parte. Il mio sguardo scivolava su quel giocattolo sull'albero, ma non lo metteva bene a fuoco. Poi è accaduto. Una finestra d'ospedale dava su quel prato. Per una volta, a New York non nevicava. E ho sentito, dal posto in cui mi trovavo, un uomo parlare e imprecare, tutto solo. Le sue parole, intime, private, sbattere contro un muro e l'indifferenza del coma. Aprirsi all'amore, abbandonarsi alla speranza, sfumarsi nel ricordo di un'estate a Genova, ai tempi che furono. La storia di Chiara Marchelli mi ha portato lontano, tra i fiocchi di neve della Grande Mela e nelle profondità di due esseri umani che – nonostante l'odio, nonostante il rancore, nonostante i silenzi – sono rimasti quello che erano. Fratello e sorella, prima di ogni altra cosa. Avrebbero voluto negarlo, avrebbero voluto staccarsi da dosso il fardello immane di quel legame di parentela che si era fatto vergogna. Lui, avrebbe voluto. Il fratello. Riccardo. Nel momento in cui ha realizzato che non era possibile ripudiare Irene – la scrittrice che ha cambiato cognome, la professionista che si fa chiamare Nina e si fa egoisticamente beffe del dolore altrui, nei suoi tanto acclamati capolavori – ha smesso di parlarle, e ha smesso di parlare. E' nervoso. E' addolorato. Ma la pena inespressa sussurra al cuore di spezzarsi: il suo cuore non ha retto più. Diventato ghiaccio, si è sbriciolato. Sciolto, è finito nello scarico. Tirato lo sciacquone, addio. Lui perciò non ha cuore. Lui non ha più una famiglia. Ha un appartamento, certo. Una moglie premurosissima con cui fa sesso ma non l'amore e un figlio magrissimo verso cui ha solo parole cattive. Un appartamento, a un passo dalla City, che non è una casa: cornici a faccia in giù, foto usate come segnalibro, un nome che nessuno ha la forza di pronunciare. A questo pensa Riccardo, mentre guarda la flora e la fauna nelle stazioni americane. Le strane abitudini dei pendolari, l'indolenza dei ragazzini in cattività. Pensa a come sua sorella abbia rovinato quello che era già rovinato, girando dita nelle piaghe, vendendo lutti in cambio di contratti editoriali e premi. Va a trovarla e si dice che il Natale è vicino. E' vicina anche lei, ma non la tocca. I tubi che entrano ed escono ovunque, in quel suo corpo storto che è diventato un puntaspilli. La pelle livida, le ammaccature, i traumi più grandi che sono quelli che non puoi vedere. Dorme, Irene. Un taxi in corsa l'ha colpita in pieno e, da trenta giorni, dorme in un letto d'ospedale, evitando discussioni con un fratello che la evita; negandosi; rifiutando di svegliarsi. Scappa, l'ha sempre fatto. A diciotto anni è andata in Islanda. A trenta, più o meno, ha firmato il primo libro ed è andata in giro per le librerie del mondo. A quarantasei ha pubblicato il secondo ed è finita in coma a tempo indeterminato. I suoi fan pregano, i suoi studenti la invocano, la gente – con striscioni, fiori, messaggi – ostruisce l'uscita principale dell'ospedale. Riccardo non fa niente. La guarda e vorrebbe essere altrove. Vorrebbe che quel compito non spettasse a lui: sorvegliarla, custodirla. Irene emana un cattivo odore, Irene ha i baffetti che stanno ricrescendo, Irene ha fatto una cosa brutta. Però il bene si riaccende. Naturale, involontario. Come i movimenti di lei, che strizza gli occhi e muove la dita, fa pipì e stringe le mani di chi le sta accanto. Riccardo allunga un dito, vagamente schifato. La infastidisce, la scosta come fosse un animale morto sull'autostrada. Lei lo afferra. Questione di nervi, questione di testa, questione di cuore. Questione di sangue. L'amore involontario è un libro forte, intenso, in cui ogni pagina strappa un brivido. Ha il sapore forte delle storie di casa nostra. Vero, anche quando è scomodo. Onesto, anche quando è indelicato. Ho pensato alla crudezza della Mazzantini, alla limpidezza della Rattaro. A Non ti muovere e a Un uso qualunque di te. Ho riconosciuto all'istante la bravura pazzesca della Marchelli. La storia appassiona perché è semplice, ma molte scelte – tutte – rivelano una perizia da chirurgo, una maturità da artista vero. Non ha una voce comune e non parla di persone comuni. I protagonisti, italiani emigrati all'estero, sono tra i pochi fortunati a potersi permettere un'assicurazione sanitaria senza sforzi, in un'America splendida e splendidamente contraddittoria. Alto-borghesi; donne che vivono di sola scrittura e uomini che si danno a investimenti di cui tu, cresciuto in una famiglia umile, cogli assai poco: il necessario. L'autrice – viaggiatrice instancabile, insegnante d'oltreoceano, newyorkese d'adozione - parla di meccanismi di cui, per professione, fa ormai parte. Premi letterari, lezioni di scrittura creativa. Spezza la narrazione come pane all'ultima cena, come una merendina che due fratelli bambini si dividono prima di fare un tuffo a mare, senza aspettare le proverbiali tre ore e l'approvazione degli adulti. Troviamo le parole di Riccardo, noi. Quelle di un giornalista che di Irene era perdutamente innamorato. Quelle di Irene stessa, che parla attraverso le pagine del suo romanzo più recente: You are my sister. Il presente sfocia nel passato, l'odio nell'adorazione, il colloquio in un brano di prosa. Bello, davvero. Tutto. Soprattutto, umano. Quella narrazione spezzata che tanto amavo, alla fine, mi ha distratto un po': non lo nascondo. Diluisce il dramma - scelta volontaria dell'autrice. E io avrei voluto sentirlo tutto intero, il dramma. Pesante e scomodo. Una palla da demolizione contro le ossa. La Marchelli prende un'altra strada, ma arriva dove era inevitabile che arrivasse. Riccardo parla a Irene. Lei parla a te. Delle tue vecchie estati, delle sfide a nascondino, delle crudeltà dei sei anni e delle lucertole catturate per gioco nei barattoli. Chi ti stava accanto? Un prolungamento di te stesso; un altro seme diventato erba, fiore. Un compagno o una compagna di giochi con cui hai condiviso il letto e le coperte. Quelle coperte che tirava e tirava, lasciandoti mezzo nudo contro il freddo. Non lo facevo da anni. L'ultima volta avevo finito di vedere La custode di mia sorella. Abbracciare una persona senza motivo, abbracciare mio fratello senza motivo. Ho chiuso il libro e sono andato da lui. Era al computer, il tatuaggio nuovo fasciato nella pellicola, la maglietta buttata su una sedia che era diventata un nuovo armadio. E l'ho abbracciato. Non tutto quanto. Solo la testa. Una mano sul suo collo, l'altra nei capelli. Testa sua contro petto mio. Sangue mio. Ma che cazzo vuoi, mo', mi ha detto? L'amore involontario era anche questo, ho pensato. Una battaglia contro i Che cazzo vuoi di fratelli che - come nel bel film con Germano e Scamarcio - sognano di essere figli unici. Fingono di farlo. Il mio voto: ★★★★ Il mio consiglio musicale: Adele - Turning Tables
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