Ecco il mio commento:
Non c’è pace per i vivi. Ma non c’è pace neanche per i morti, almeno stando a quanto ci racconta Gordon Houghton nel suo bel romanzo L’apprendista.
Un cadavere riposa nel ventre della terra. Non il migliore dei posti, ma ormai si è ambientato. E anzi ha sviluppato una strana forma di comunicazione con gli altri ospiti del cimitero: un linguaggio fatto di graffi sul coperchio della bara, di piccoli colpi. D’un tratto questa surreale quiete viene interrotta dall’arrivo della Morte. Proprio Lei, l’implacabile mietitrice, è stata incaricata di riesumare un cadavere. Il prescelto diverrà “l’apprendista” e dovrà superare una serie di prove. Trascorsa una settimana, se l’esito sarà stato positivo, potrà unirsi ai quattro cavalieri dell’Apocalisse. Altrimenti ritornerà nel sepolcro.
Per il nostro disorientato zombi comincia così una rocambolesca avventura. E assistiamo a una teoria di decessi, enumerati dallo stesso autore nei capitoli: morte per caduta da una altezza elevata, morte per cioccolato, morte per un’incredibile successione di eventi sfortunati, morte per macchinari, morte per animali feroci, morte per soffocamento. Sette diversi modi di concludere l’esistenza, per sette giorni di prova. Le vittime predestinate sembrano talvolta sul punto di sfuggire al proprio destino, ma alla fine Morte trionfa sempre. Il mondo degli zombi scorre parallelo a quello dei vivi. Anzi i cavalieri dell’Apocalisse si muovono quasi inosservati, nonostante le loro grottesche sembianze e gli abiti sgargianti da avanspettacolo.
Una favola, dunque, sospesa tra il tragico e il grottesco. Un po’ come La sposa cadavere del formidabile Tim Burton. E anche ne L’apprendista l’allegorico e il reale si intrecciano e si confondono, tanto che si perde il nitore del confine. Tutto è avvolto in una nebbia fantastica. Con funambolica abilità, Houghton riesce a mantenere sempre l’equilibrio tra i diversi registri, anche supportato da una prosa asciutta e nello stesso tempo altamente evocativa. Il sorriso maschera la lacrima.
Man mano che la settimana di prova trascorre, il nostro apprendista comincia a disseppellire brani della propria esistenza e ricorda, finalmente, la propria tragica morte. Ricorda anche la persona che ne è stata causa: Amy, il suo primo e unico vero amore. Una donna che lo ha portato a perdere la ragionevolezza, a dimenticarsi delle regole, e da ultimo lo ha lasciato cadavere, fatto a brandelli, con il pene mozzato, rimesso insieme dopo un’autopsia sommaria.
Ma in questo turbinio incessante, in cui eros e thanatos vanno a braccetto come nella migliore tradizione della tragedia greca, il volto di Amy è l’unica costante, è il punto fermo, il riferimento. Come a dire che, prima o dopo la morte fisica, solo l’amore, banalmente e universalmente cantato da tutti i poeti e in tutti i tempi, rimane la cosa più preziosa, il bene irrinunciabile. Per dirla con il nostro simpatico apprendista: “«L’amore è parte della vita che mi manca»”.
Per chi ha voglia di approfondire questo autore, ecco il link del suo sito personale.
Il tema mi ha ricordato la celebre canzone di Cranberries, di cui lascio il video con testo: