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[Recensione] L’armadio dei vesiti dimenticati di Riika Pulkkinen

Creato il 08 aprile 2012 da Queenseptienna @queenseptienna

[Recensione] L’armadio dei vesiti dimenticati di Riika PulkkinenTitolo: L’armadio dei vestiti dimenticati
Autore: Riika Pulkkinen
Editore: Garzanti
Prezzo: 16.40 euro
Edizione: hardcover

Voto

[Recensione] L’armadio dei vesiti dimenticati di Riika Pulkkinen

La stanza è invasa dalla polvere e dalla luce. Sono passati anni, ma a casa della nonna Elsa non è cambiato nulla: la bambola, il cavallo a dondolo e poi il vecchio armadio. Ad Anna, sua nipote, basta aprirlo per tornare di colpo bambina, quando insieme alla nonna giocava a vestirsi da grande. Gli abiti ci sono ancora tutti e Anna li riconosce: stoffe che sanno di festa, di ricordi e di risate. Eppure c’è un vestito che la giovane non ricorda: ha la gonna ampia e un nastro alto in vita. Uno stile molto diverso da quello della nonna. Anna lo prova. Basta quel semplice gesto perché il suo mondo cambi per sempre. Quando sua nonna la vede con quell’abito, bella come non mai, capisce che è giunto il momento sfuggito tanto a lungo. Ora che le rimangono pochi giorni di vita, non può più mentire. Lo deve a sé stessa ma anche a sua nipote, deve dirle la verità. Deve confessare a chi appartiene quell’abito, deve pronunciare quel nome taciuto da anni, Eeva. Un nome che Anna non conosce. Il nome di una donna dimenticata nel silenzio, di cui non esistono nemmeno fotografie. Un nome che affonda le radici in un segreto forse incomprensibile. Spetta ad Anna capirlo. Ma per farlo deve tornare indietro a un tempo antico, a una storia di perdono, di tradimento e di bugie. Ma soprattutto alla storia di un amore unico come quello che lega indissolubilmente una madre e una figlia, nel bene e nel male. Un amore in cui tutto, a volte, può essere perdonato. Un romanzo potente, il nuovo fenomeno editoriale dell’anno. Uscito in sordina in Finlandia, ha rapidamente scalato tutte le classifiche, dove è rimasto per molti mesi, consacrando Riikka Pulkkinen come la nuova regina del romanzo nordico e scatenando gli editori di tutto il mondo per l’acquisizione dei diritti. In uscita contemporanea in tutto il globo, sullo sfondo della capricciosa luce del Nord racconta una storia di perdono e amore, di memoria e di colpa, di menzogna e redenzione.

Tutto comincia da lì, da quel vestito estratto dall’armadio. Ma è un principio apparente: in realtà la storia risale a molti anni prima, ed è una storia torbida, confusa e persa tra le piaghe del tempo. Una storia che torna, nonostante si pensasse sepolta.

Funziona sempre così.

Si crede che certi episodi –certe persone- siano stati solo un sogno. Sfiorano di tanto in tanto la memoria, lasciando un’ombra fastidiosa, accennata. Ma basta poco per riesumarle. In questo caso, basta solo un vestito.

 

L’armadio dei vestiti dimenticati è un racconto corale, un intrecciato, affascinante gioco di voci, vite e piani temporali. Le sue protagoniste sono diverse e profonde, il riflesso l’una dell’altra. Portano con sé le sfaccettature e le movenze camaleontiche di donne forti e fragili allo stesso tempo, universi opposti che si scontrano in un punto in comune. Un uomo, ovviamente.

Il romanzo inizia in prossimità della fine: la settantenne Elsa, psicologa stimata, moglie e madre amata, si è ammalata di tumore e sta per morire. Sua figlia, Eleonoora, è un medico pragmatico e freddo. Sua nipote, Anna, è confusa e instabile quanto la sorella, Maria, è tranquilla e con i piedi per terra.

Il marito, Martti, è un uomo tenero e a lei complementare. Il loro matrimonio sembra felice, soprattutto in questi ultimi giorni in cui la vita di Elsa è appesa ad un filo che sta per essere spezzato. In realtà, ad un quadro che comprende pochi determinati attori, si aggiunge dopo pochi capitoli un elemento disturbante: Elsa non è stata l’unica donna di Martti. Eeva, una ragazza proveniente dalla campagna assunta come bambinaia quando Eleonoora aveva due anni e mezzo, è stata per la bambina la madre che mancava quando Elsa inseguiva la carriera con i viaggi all’estero, e per Martti un amore passionale sbocciato in tutte le sue sfumature, dall’atroce gelosia al possesso fisico. Eeva non è più da molto tempo nella vita dei coniugi. Ma adesso che Elsa sta per morire, la sua storia viene raccontata ad Anna. Ed Eeva rivive, in tutta la sua distruttiva e indimenticabile presenza.

 

Attraverso Anna, che indossa il suo vestito, Eeva prende infatti corpo, prende voce e azione. Ci ritroviamo nel 1964 ed Eeva ci parla in prima persona. Le sue emozioni e i suoi pensieri sono cristallini. I piani temporali si frappongono continuamente, febbrilmente, alternando il passato (raccontato al tempo indicativo presente) e il presente (raccontato al passato remoto). Non è un caso  che sia Anna a riportare in vita il ricordo di Eeva. Le storie delle due ragazze si intrecciano, combaciano, ed Eeva ed Anna si confondono. Magistrale il capitolo in cui i nomi dei personaggi si confondono, prendono prima i nomi del passato e poi quelli del presente. Anna ripercorre la storia di Eeva sulla propria pelle, dipanando poco a poco il mistero sul proprio assordante dolore che, negli ultimi anni, ha gettato un’ombra sulla sua vita. Un ombra che, quando si è infranta, l’ha vista distesa inerme sul pavimento per undici giorni. E’ in queste condizioni che la madre Eleonoora l’ha ritrovata, inconsapevole del dramma che stava vivendo la figlia.

E i rapporti filiali sono infatti un tema forte del romanzo, che abbraccia varie sfumature dell’amore e ripercorre abilmente i climi sovvertivi europei del ’68, in evidente contrasto con il paesino rurale natale di Eeva, Kumho. In Kerttu, con cui Eeva divide l’appartamento, ritroviamo l’ansia di rivoluzione, di libertà, di eccesso e ricerca di se stessi tipici della giovane età e in particolare di quel periodo. Eeva li condivide, ma nella sua vita c’è soprattutto l’amore. Quello con Martti, quello per Elsa che sa di ingannare e per cui ogni tanto si sente in colpa. Quello per la piccola Eleoonora, il cui distacco sarà doloroso e indispensabile.

Eleonoora è d’altronde un altro punto cardine della storia. Il contrasto tra l’adulta e la bambina stride e preme sugli egoismi “abusati” su di lei e che si ripercuoteranno nel futuro. Anche in questo caso la Pulkkinen ci riserva grandi spunti di approfondimento psicologico, gesti significativi che dicono più di mille parole.

La storia insegue quindi la dolorosa fine di Elsa raccontando la vita di Eeva, catartica per Anna e per  il suo percorso di uscita dal dolore. La sua vita speculare si reinventa nel finale, positivo e carico di speranze.

Lo stile di Riika Pulkkinen è ricco, descrittivo, prezioso. Le sue parole, così come i gesti e le abitudini dei personaggi, si ripetono imprimendosi nella memoria del lettore. E’ in questo modo che diventano parte di noi, un mosaico che luccica in alcuni punti e resta oscuro in altri.


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