Titolo: L’identità
Autore: Milan Kundera
Traduzione di: Ena Marchi
Editore: Adelphi
ISBN: 9788845916649
Anno: 1997
Numero pagine: p.176
Prezzo: € 8,00
Voto:
Trama: (da Wikipedia) Protagonisti di questo romanzo sono Chantal e Jean-Marc. Convivono da tempo dopo essersi innamorati a prima vista. Lui è più giovane e con un lavoro precario, lei è di poco più anziana, ha un buon lavoro in una agenzia pubblicitaria e guadagna mantenendo entrambi. Si sono conosciuti dopo che lei, in seguito alla morte di suo figlio di soli quattro anni, aveva deciso di lasciare il marito e di rompere con la famiglia di lui. Da sempre lei ha avuto fantasie sessuali ma che è riuscita a tenere sotto controllo. Il lettore è guidato nel romanzo da una voce narrante che alterna il punto di vista, anche temporale, dei due personaggi.
La storia inizia con Chantal che passeggia per una cittadina della Normandia. Girovagando, aspettando l’arrivo di Jean-Marc, improvvisamente si accorge, con un certo stupore, che gli uomini non si girano più a guardarla, certamente a causa della sua età, e fantastica di provocarli e sedurli con proposte oscene. Nel frattempo Jean-Marc è andato a cercarla, la vede da lontano ma quando si avvicina si accorge di averla scambiata per un’altra. Questo scambio di identità lo turba; come è possibile che non sia capace di riconoscere la figura dell’essere che ama più di ogni altro? La sera stessa Chantal confida a Jean-Marc la constatazione che essendo invecchiata non è più guardata dagli uomini.
Dopo un po’ di tempo Chantal riceve per posta un biglietto di un ammiratore segreto, in cui oltre a lodare la sua bellezza le rivela di seguirla, di spiarla (…)
Recensione: Sembra che tutti i romanzi di Kundera siano di per sé capitoli distinti di un unico romanzo. Essi infatti si richiamano, ciascuno condensa, prelude o conclude l’altro. Come ne L’insostenibile leggerezza dell’essere in questo romanzo non mancano i sogni. I sogni qui tendono a ignorare e a svalutare il presente, abolendolo, concentrandosi su un passato che lo nasconde. Forse è meglio non decriptare simboli che rischierebbero di catapultarci in una realtà che cerchiamo, inconsciamente, di non guardare in faccia. Da una parte si sceglie di risiedere in un luogo sospeso (una forma di leggerezza), dall’altra arriva il momento delle domande. Scoppia il dilemma della propria identità, si scopre di non averne una, che si sta divenendo trasparenti. Il presente si mostra arcigno e malevolo, e tutto perché abbiamo deciso di tenere i piedi per terra, recuperando una certa pesantezza dell’essere. Ne vale la pena? Questo il quesito di fondo.
Chantal, la protagonista di questa storia, improvvisamente apre gli occhi e si rende conto di una verità per lei sconcertante:
Vivo in un mondo nel quale gli uomini non si volteranno mai più a guardarmi.
Ciò è il segnale di un timore che si fa ossessione. Teme l’abbandono, di perdere Jean-Marc, di non saperne più nulla. Pure Jean-Marc è oppresso da un’identica preoccupazione.
Perché gli uomini non si voltano a guardarla? Semplicemente perché è invisibile, trasparente, priva di identità. Lo stesso Jean-Marc in lontananza non è in grado di distinguerla dalle altre, è incapace di riconoscerla.
Chantal è un personaggio indefinibile, composito fino all’inverosimile: al mattino è una persona, all’uscita dal lavoro un’altra, assume un tono di voce inconsueto, alto. Persino i gesti, in un dato contesto, diventano artificiosi, scissi dalla sua persona:
«Ho immaginato che tu eri un’altra.»
«In che senso?»
«Che eri diversa da come ti immaginavo io. Che mi ero ingannato sulla tua identità.»
Tuttavia è riduttivo condurre il tutto al fatto che Chantal abbia due volti: uno conformista e uno anticonformista, uno pubblico (tra colleghi) e uno privato, l’uno leggero e incosciente, l’altro pesante e problematico.
I due volti non si alternano affatto ma emergono di volta in volta seguendo alchimie indecifrabili. Il conformismo può confondersi nell’anticonformismo, il debole può mostrarsi forte, il forte può farsi debole. L’anticonformismo non sempre è un bene, il conformismo può permettere di recuperare l’identità perduta.
Forse si era sbagliato [Jean-Marc] quando aveva ritenuto che, fra loro due, lei fosse la più debole e lui il più forte.
Insomma: il problema dell’identità chi riguarda in realtà? Chantal o lo stesso Jean-Marc? Quest’ultimo sarà forte, ma è eccessivamente sensibile. Chantal sarà debole, ma è rivestita di una corazza, dimostra una vitalità sorprendente, soffocata a tratti nei segreti riposti in un armadio.
Se mi si permette di citare L’insostenibile leggerezza dell’essere, Chantal paradossalmente è il corrispettivo femminile di Tomáš: sogna l’avventura, ma a differenza di costui non ha il coraggio (la forza) di passare da un amante all’altro. La sua vaga e lirica fantasticheria inconfessabile è destinata a venir meno, salvo nei sogni.
Cosa distingue piuttosto Chantal dalle altre? La domanda è assai simile a quella posta da Tomáš, il quale riteneva che ciascuna donna si differenziasse dall’altra per un particolare, per una milionesima parte. E di questo particolare andava in cerca tra le sue amicizie erotiche, senza esserne pago fin tanto che non l’avesse trovato. Jean-Marc non distingue Chantal perché non è riuscito a scorgere in lei quel milionesimo che la identifica. Il problema dell’identità sembra derivare dal reciproco non conoscersi. La cosa è tanto evidente quando Jean-Marc sa di trovarsi di fronte Chantal, ma si rende conto che il volto, pur appartenendole, è quello di una sconosciuta. Allo stesso modo Chantal non riconosce subito Jean-Marc nell’ammiratore segreto che le scrive e la spia. Lo identifica di volta in volta nella sottospecie di un nobile decaduto, in un mendicante. Solo che costoro, nell’incontrarla, ignorano lo sguardo trionfante, non la vedono. Quando si rende conto dell’errore e di chi si nasconda dietro la sigla C.D.B, (che sta per Cyrano De Bergerac), rimane perplessa. Quella sorta di scherzo non corrisponde affatto all’idea che si era fatta di Jean-Marc.
C’è una soluzione a tutto questo, una strada da scegliere davanti al bivio? No. Perché l’una conduce all’altra. Lo si è appena detto: ciascuna porta in sé una verità precaria:
Non so se l’essere nata su questa terra sia una fortuna o una sfortuna, ma certo il modo migliore di passarci la vita è quello di lasciarsi trascinare, come sto facendo adesso, da una folla rumorosa e spensierata.
Ciascuno è libero di dissolvere la propria individualità nel pentolone della moltitudine provando o un senso di sconfitta o un senso di euforia.
Ma quanto è destinata a durare questa euforia? La risposta, in fondo, è già stata data: ci si trova in preda a una leggerezza insostenibile, senza appoggi, privi del proprio nome, senza identità, senza cittadinanza. Allora tutto assume i contorni di un sogno: Jean-Marc ha perso di vista Chantal, Chantal ha perso di vista Jean-Marc. Sognare il presente non si può senza che acquisisca i contorni di un incubo dal quale non si vede l’ora di ridestarsi.