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[Recensione] L'insostenibile leggerezza dell'essere di Milan Kundera
Creato il 18 agosto 2014 da ChiaradmAUTORE: Milan Kundera
CASA EDITRICE: Corriere della Sera
COLLANA: Romanzi d'Europa
ANNO DI PUBBLICAZIONE: 2014
PAGINE:272
TRAMA
"Protetto da un titolo enigmatico, che si imprime nella memoria come una frase musicale, questo romanzo obbedisce fedelmente al precetto di Hermann Broch: << Scoprire ciò che solo un romanzo permette di scoprire>>. Questa scoperta romanzesca non si limita all'evocazione di alcumi personaggi e delle loro complicate storie d'amore, anche se qui Tomàs, Tereza, Sabina, Franz esistono per noi subito, dopo pochi tocchi, con una concretezza irriducibile e quasi dolorosa. Dare vita a un personaggio significa per Kundera <<Andare fino in fondo a certe situazioni, a certi motivi, magari a certe parole, che sono la materia stessa di cui è fatto>>. Entra allora in scena un ulteriore personaggio: l'autore. Il suo volto è in ombra, al centro del quadrilatero amoroso formato dai protagonisti del romanzo: e quei quattro vertici cambiano continuamente le loro posizioni intorno a lui, allontanati e riuniti dal caso e dalle persecuzioni della storia, oscillanti fra un libertinismo freddo e quella specie di compassione che è <<la capacità massima di immaginazione affettiva, l'arte della telepatia, delle emozioni>>. All'interno di quel quadrilatero si intreccia una molteplicità di fili: un filo è un dettaglio fisiologico, un altro è una questione metafisica, un filo è un atroce aneddoto storico, un filo è un'immagine. Tutto è variazione, incessante esplorazione del possibile. Con diderotiana leggerezza, Kundera riesce a schiudere, dietro i singoli fatti, altrettante domande penetranti e le compone poi come voci polifoniche, fino a darci una vertigine che ci riconduce alla nostra esperienza costante e muta. Ritroviamo così certe cose che hanno invaso la nostra vita e tendono a passare innominate dalla letteratura, schiacciata dal loro peso: la trasformazione del mondo intero in una immensa <<trappola>>, la cancellazione dell'esistenza come in quelle fotografie ritoccate dove i sovietici fanno sparire le facce dei personaggi caduti in disgrazia. Esercitato da lungo tempo a percepire nella <<Grande Marcia>> verso l'avvenire la più beffarda delle illusioni, Kundera ha saputo mantenere intatto il phatos di ciò che, intessuto di innumerevoli ritorni come ogni amore torturante, è pronto però ad apparire un'unica volta e a sparire, quasi non fosse mai esistito".
Roberto Calasso
Visto che i miei ormai ex compagni di classe l'avevano letto prima di me, ero già preparata a trovarmi una frase di Nieztsche all'inizio del libro, ma non mi aspettavo comunque un romanzo dal taglio così filosofico. Non è un libro di filosofia, questo no, ma più volte si ha l'impressione che al di là del fatto concreto, Kundera abbia voluto approfittarne per delle riflessioni (pseudo?)metafisiche, talvolta profonde, talvolta addirittura così inusuali da sembrare al tempo stesso ridicole e talmente complesse da rimanere stupiti di questa complessità che si cela dietro la "stupidaggine".L'insostenibile leggerezza dell'essere è il filo conduttore di tutto il libro, che non ha una trama vera e propria. Ci sono dei protagonisti, Tomas, Tereza, Sabina e Franz, ma le loro storie, che si intrecciano e si separano, non seguono un ordine cronologico vero e proprio. E' possibile ricostruire le grandi tappe della loro vita, ma queste si dipiegano nell'arco di anni, anche se il libro non è un mattone di pagine e anzi, l'ho letto appena in un paio di giorni.
Anche se non c'è una storia vera e propria, per essere un"classico" è stato piacevole da leggere, a dispetto del titolo altisonante, non è stato noioso nè pesante, anzi, la divisione in capitoli molto brevi costitusce, come sempre, un incentivo alla lettura, perchè anche chi non ha molto tempo a disposizione per leggere riuscirebbe ad andare avanti di un po' ogni giorno. Personalmente, sono sempre più sollevata quando trovo capitoli brevi rispetto a quando i capitoli ocuppano pagine su pagine a non finire.Dietro le vicende dei personaggi, a tema prevalentemente "amore e tradimenti", si scorge la situazione della Boemia durante l'occupazione comunista. Senza nulla di documentario, senza accuse o risentimento, senza nemmeno entrare nel particolare, l'occupazione fa da contesto allo svolgimento della storia, ma, sebbene influisca in più di un modo sulla vita di Tomas, di Tereza e di Sabina, sembra restare sempre in secondo piano, perché l'attenzione è concentrata sui personaggi, e non sulla storia.
L'insostenibile leggerezza dell'essere altro non è che la superficialità, la venialità degli uomini, la facilità con cui tradiscono e con cui si ostinano a non tradire: è un titolo particolare, che probabilmente si apre a un'infinità di interpretazioni.Un aspetto che mi ha colpito parecchio, è stata la presenza dell'autore, che ogni tanto si intromette in prima persona e parla dei suoi "personaggi", senza alcuna pretesa che il lettore possa pensare che essi siano davvero persone in carne e ossa, che è l'obiettivo che di solito uno scrittore cerca di raggiungere.Il finale mi ha lasciata un po' perplessa, più che altro perché non l'ho trovato un vero finale.A distanza di mesi, non so quanto mi resterà di questo libro, perché non ci sono colpi di scena o personaggi indimenticabili. Probabilmente ricorderò Tomas per i suoi continui e seriali tradimenti, ma credo che quello che più mi rimarrà impresso sarà il taglio filosofeggiante, e la chiara sensazione che questo sia un libro che si presterebbe molto bene ad un'analisi più approfondita. Chissà, magari, più vanti, potrei anche farci un pensierino...
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