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Recensione: “L’ordine della chiave”, di Virginia de Winter

Creato il 09 gennaio 2015 da Ceenderella @iltempodivivere

Mi prendo una (piccolissima) pausa dallo studio matto e disperato di queste giornate prima che ricomincino i corsi la prossima settimana, per scrivere la recensione a un libro che mi aspettavo bello – visto quanto ho adorato il suo predecessore – ma non così. Per evitarvi spoiler odiosi, vi avverto che, qualora non aveste letto L’ordine della spada (cosa state aspettando esattamente?), fareste bene a chiudere questa pagina, perché è vero che questo libro si colloca anteriormente ma svela e spiega tutti quei punti interrogati che nel primo volume rimanevano in sospeso e vi consiglio caldamente di rispettare l’ordine di pubblicazione; quindi, con questa premessa, proseguite a vostro rischio e pericolo…!

black_friars_lordine_della_chiave_de_winter_faziTitolo: L’ordine della chiave
Serie: Black Friars #0.5
Autrice: Virginia de Winter
Editore: Fazi
Anno: 2011
Pagine: 454

Axel Vandemberg, giovane erede al trono del regno più importante del Vecchio Continente, farebbe qualsiasi cosa per amore, anche picchiare uno dei suoi migliori amici. Imprigionato nel carcere degli studenti per una rissa, il suo unico, struggente pensiero è dedicato a Eloise Weiss, la ragazza cui ha consacrato la vita fin dall’infanzia. Axel non sa che il suo mondo sta per essere sconvolto dal fatale incontro con Belladore de Lanchale, una cortigiana dal fascino oscuro che ben presto imprigiona il ragazzo in una trama fitta di bugie e ricatti. Mentre Axel lotta contro la seduzione del male, la città pare farsi specchio dei suoi tormenti, trasformandosi in uno scenario di efferati delitti. Protetto dalla notte, tra i vicoli non ancora illuminati dalla luce a gas di una città ammantata di atmosfere gotiche, un assassino inafferrabile uccide giovani umane e bellissime vampire. Unica traccia utile alla Magistratura incaricata delle indagini è il macabro e accurato gioco dell’omicida, che ricompone i corpi delle vittime ispirandosi a celebri fiabe: Raperonzolo strangolata dalle sue lunghe trecce, la Bella Addormentata dilaniata dal morso del principe. Biancaneve avvelenata dalla mela…

Qualche mese fa, ero stata stregata dalla penna della De Winter e dal mondo che ha creato, a tal punto che credo di aver divorato il primo libro nel giro di un giorno o poco più e d’aver buttato giù una recensione entusiasta e entusiastica come mai prima mi era capitato, nonostante probabilmente fossi rimasta una delle poche a non essersi ancora addentrata nelle stradine della Cittadella e dintorni e ad aver conosciuto i suoi personaggi così straordinariamente tratteggiati da essere quasi reali, da balzare fuori dalle righe che danno loro vita e parlar di sentimenti che in fondo sono comuni, straordinariamente vicini a ognuno.
Raramente mi capita di amare un libro a tal punto da non sentire la necessità di cambiare qualcosa e ancora più raramente non riesco a trovar qualcosa da ridire – da persona estremamente critica verso tutto e tutti e gran rompiballe, ammettiamolo pure senza paura – sul successivo volume di una saga. Quel che, però, mi aveva affascinata nell’Ordine della spada mi ha conquistata follemente nella Chiave. A cominciare dallo stile: quella maniera di narrare poetica e suggestiva, incredibilmente pregna di descrizioni e metafore del primo volume che a volte sembravano richiedere uno sforzo eccessivo di comprensione, raggiunge qui un compromesso magistrale riuscendo a diventare di gran lunga più scorrevole e semplice da seguire senza, tuttavia, rinunciare a coinvolgere e incantare il lettore, a sorprenderlo con una raffinatezza linguistica squisita e ricercata, a calarlo nuovamente nel suo mondo come uno dei personaggi, obbligandolo a essere allo stesso tempo spettatore e protagonista, e sentire sulla propria pelle ciò che chi è coinvolto prova. Uno stile che dà voce ai personaggi e approfondisce ulteriormente i caratteri di ognuno per farceli conoscere, prima che quella splendida fratellanza che li lega nascesse, e renderli ben distinti l’uno dall’altro, per il loro modo di fare e quelle piccole manie e bizzarrie che li caratterizzano, ce li fanno amare ancora di più e sentire ulteriormente reali, come se alzando lo sguardo dalle pagine ed entrando in una camera potessimo trovarci di fronte Bryce intento a decidere i dettagli della propria bara funebre o Stephen appollaiato su una poltrona con la testa immersa tra le righe di un tomo polveroso e un ghigno soddisfatto in volto. E stile che getta una luce, grazie all’aver scelto il suo punto di vista, sui comportamenti di Axel che rimanevano oscuri e lo fa conoscere meglio, più in profondità, come probabilmente nemmeno lui avrebbe voluto esser visto, ma che irrimediabilmente rende lui più umano, più comprensibile quel suo altero distacco immotivato col quale ci si è presentato e più struggente il tenero legame che lo lega a Eloise e sfiora, è il caso di dirlo in questo caso, l’ossessione più buia.

Se guardava la propria mano aperta, disperatamente vuota, riusciva ancora a vedere quelle spesse ciocche simili a raso scivolargli tra le dita. Gli toglieva il respiro anche il solo ricordare la sensazione provata quando si attirava quei capelli sul petto e sul braccio nudo per sentirne l’effetto contro la propria pelle.
Se pensava al loro profumo, un fantasma così presente nel suo olfatto da riuscire a seguirne le tracce, la reazione del suo corpo era immediata e urgente, una dolce sofferenza.
Un unico istante d’incanto gli avrebbe ricordato, in maniera anche troppo dolorosa, che lei non c’era e che le mani delicate erano troppo lontane dal suo petto, dove amava sentirle quando lei lo avvolgeva tra le braccia prima di addormentarsi tra lenzuola che avrebbero conservato il loro profumo.
Staccò la mano dallo specchio per passarsela sul petto e sfregò la pelle ancora umida all’altezza del cuore, pensoso. Se anche avesse fatto l’appello di tutto – ossa, sangue e anima -, avrebbe soltanto potuto prendere atto che qualcosa mancava.

Axel, dunque. Principe ereditario per nascita e gentiluomo dalle maniere impeccabili per carattere, disposto a sacrificare la propria vita per coloro che ama o, semplicemente, per la giusta causa, capace di amare tanto, così tanto da diventare troppo in alcune situazioni. Potremmo stare qui a snocciolare i suoi titoli come fa Eloise nelle prime pagine della Spada e non riuscire lo stesso a inquadrare la complessità di quel che è o comprendere quanto esserlo gli procuri sofferenza e solitudine e lo spinga a rinunce e silenzi che niente gli valgono se non incomprensione e odio, di quello più nero perché proveniente da chi più ama ma a cui non può chiedere pietà per il terrore di perdere tutto. E forse niente avremmo mai compreso davvero di lui, se non avessimo avuto questo libro: mentre la Vecchia Capitale è infiammata da una serie di delitti inquietanti e dai contorni vagamente fiabeschi, in un gioco tra il sonno e la veglia nel quale il confine tra realtà e immaginazione diventa così labile da sfocare e apparire confuso, Axel cade vittima di Belladore, la vampira più antica e potente, amante di papi e principi, re e illustri personalità di Stato, che stavolta ha scelto l’erede al trono come ennesimo pupazzo da usare a suo piacimento. Belladore muove le fila dell’azione e muove Axel continuamente come la aggrada allo stesso modo in cui leggendo si cade nei tranelli della De Winter e si finisce là dove vuole che ci si ritrovi, intrappolati nella tela che ha intessuto sapientemente proprio sotto al nostro naso, ingabbiandoci nel dubbio di non riuscire a capire cosa sia vero e cosa l’opposto; si percepisce finalmente Axel perché quel che vive è quel che sperimenta anche chi legge, incapace di capire dove finisca il sogno e quanto di ciò che si vive sia reale, obbligato a indossare i suoi panni, talvolta scomodi, a sentire tutta la sua disperazione del non poter liberarsi dei suoi fardelli e il tormento dell’aver sporcato un sentimento puro. Axel che è protagonista assoluto di un cast corale meraviglioso – in cui i personaggi secondari non si accontentano del loro ruolo e si ergono a protagonisti delle vicende reclamando un posto per sé sotto i riflettori – e che mi ha costretta a divorare capitolo dopo capitolo gli eventi che si susseguivano a una velocità folle ma mai incontrollata, a cercare di connettere gli elementi a disposizione del macabro giallo che macchia le strade della città ma soprattutto ad accompagnarlo all’inevitabile conclusione per costruire assieme a lui la dolorosa gabbia di silenzi e solitudine nella quale si rinchiude, col respiro oppresso e la ragione offuscata e che rende la sua splendida bellezza un po’ più amara ma proprio per questo più adorabile, perché frutto di decisioni che ne macchiano il candore e infangano sentimenti che considerava puri, costringengolo a interrogarsi su ciò che di sé non riconosce, a domandarsi chi sia davvero, a guardarsi allo specchio e non riconoscersi più.

E fu allora che la vide.
Era seduta sui gradini in basso e aveva i piedi immersi nell’acqua, i capelli bagnati le ricadevano come un fiume scuro accanto al collo e sopra il seno.  Indossava soltanto una sottoveste bianca completamente fradicia, che le aderiva addosso in un modo che nessun uomo avrebbe mai dovuto guardare. Una spallina ricadeva sul braccio ricamando un motivo di pizzo sulla pelle brillante d’argento e oro alla luce della luna e delle lanterne (…) Si chiese se da quel momento in poi avere Eloise vicino avrebbe significato soltanto nascondersi e cercare il suo viso tra la folla di divise nere, per contemplare la vera forma di un’ossessione.

Tanto potrebbe esser detto di questa storia e probabilmente ancora di più. Ciò che sicuramente è palese è la capacità della sua autrice di raccontarci qualcosa di cui in fondo si potevano intuire i contorni e le inevitabili conseguenze e che, tuttavia, non manca di stupire e  far sentire come propri sentimenti prorompenti che travolgono come un fiume in piena, trascinano con sé incuranti di quel che trovano e ci portano all’esatto punto in cui non avrei voluto trovarmi, là a vedere nascere quell’odio furente di Eloise che tanto ci era familiare nella Spada, a scorgere le pene di Axel che lo attanagliano e che ce lo fanno perdonare per tutti quelle frasi taglienti e atteggiamenti distaccati che non capivamo, e a sospirare per un finale agrodolce di cui si conoscono gli sviluppi ma che, non per questo, ci fa soffrire meno per i cinque anni di bugie e angoscia che entrambi dovranno vivere. Il merito, semmai ci fosse bisogno di ribadirlo, è indubbiamente della sua grande scrittrice, che qui raggiunge la perfezione di stile, liberandosi di tutti quei vezzi che richiedevano uno sforzo doppio di attenzione nel primo volume, per concentrarsi sulla narrazione degli avvenimenti e sul turbinio di emozioni coi quali i suoi personaggi ci bombardano pur non perdendo il potere di stupire e incantare con una prosa a dir poco fantastica; lei che, già lo so, mi rapirà molto presto con la Penna.

Voto: ❤❤❤❤❤


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