Dicesi “ossessione” quel pensiero che ritorna in maniera continua e tormentosa dal quale è impossibile liberarsi e al quale, bellamente, cedo senza opporre la benché minima difesa, per masochismo, assoluta mancanza di voglia di studiare e totale piacere nel farlo. Tre cose che costantemente mi riportano al mondo di Black friars, complice la scrittura della sua creatrice e personaggi così ben tratteggiati che – anche nel male – finiscono per conquistarmi e obbligarmi a comprenderli, se non proprio ad accettarli.
Oggi, neanche c’è bisogno di dirvelo, vi parlo di quel secondo volume che ho appena concluso e nel quale mi ritufferei immediatamente, se solo potessi: L’ordine della penna; al solito: proseguite a a vostro rischio e pericolo, non posso garantire l’assenza di spoiler dei due precedenti romanzi.
Titolo: L’ordine della penna
Serie: Black friars #2
Autrice: Virginia De Winter
Editore: Fazi
Anno: 2012
Pagine: 485
Altieres, una delle antiche dinastie regnanti del Vecchio Continente, si è estinta dopo la violenta morte di tutti i suoi discendenti, e a portare il nome della casata sono rimasti solo i vampiri Blackmore, creature immortali a cui regnare non è permesso. Ma qualcosa ora è cambiato: Sophia, unica erede ancora in vita, creduta morta da anni, è stata ritrovata e le già fragili dinamiche del regno sono vicine a spezzarsi una volta per tutte. Gli oscuri segreti di Altieres stanno tornando a celare ombre sulla Vecchia Capitale, fulcro del potere politico e religioso, e spettri senza volto si aggirano per le strade terrorizzando cittadini e studenti. Intanto Sophia sta imparando a conoscere la sua nuova vita. Essere una Blackmore infatti non significa solo indossare meravigliosi vestiti ed essere un giorno incoronata regina, come innocentemente credeva, ma evitare matrimoni politici e sfuggire a continui attentati alla sua vita, anche da parte degli stessi parenti. Eloise Weiss deve affrontare invece forze che nemmeno i suoi poteri possono governare. I morti non riposano più in pace nella Vecchia Capitale, disturbati nel loro eterno sonno da forze oscure e implacabili, forse collegate al ritorno dell’erede di Altieres e alle sconvolgenti verità che i vampiri Blackmore nascondono da secoli e sono ora sfuggite al loro controllo. Eloise, grazie al suo potere di dominare le forze oscure, sarà forse la chiave per riportare l’ordine là dove ormai esiste solo il caos.
Sto cercando le parole, da qualche parte dentro di me, per esprimere qualcosa di sensato che non sia un delirio di pensieri incoerenti pronunciati dalla fangirl che essenzialmente sono causati dalle tante cose che succedono in questo volume, ma non credo di avere speranza. Da un po’ di tempo a questa parte ho capito che più cerco di allontanarmi dalla carta per osservarla in maniera distaccata, più mi ci ritrovo immersa a tal punto da non riuscire a distinguere dove finisca lei e cominci io, cosa sia vero e cosa frutto soltanto di ciò che chi l’ha scritta ha saputo portare in vita. E ritrovarsi immersi nel mondo di Black friars significa sentire quel che i personaggi vivono e comprendere ogni loro atteggiamento, rimanendo intrappolati nella tela di un linguaggio raffinato ma mai pesante che tramite la sua bellezza dipana di fronte agli occhi un intreccio che continua a ingarbugliarsi, aggiunge pezzi al proprio mosaico confondendo ulteriormente le idee sulla notte da cui tutto ha avuto inizio e regala nuovi personaggi da scoprire – e amare – senza dimenticarsi di aggiungere qualche nuova sfumatura a quelli già in gioco.
Tanti sono i dettagli che vorrei sottolineare, troppi per una recensione che non vi faccia cadere la testa sulla tastiera e dormire ma alcune caratteristiche devo metterle in rilievo perché, fidatevi, sapranno coinvolgervi e vi rapiranno gli occhi. A partire dal punto primo: il modo di scrivere della De Winter. Mi sono già dilungata a suo tempo sul suo stile – nelle recensioni alla Chiave e alla Spada – e sapete quanto l’abbia amato nel primo volume e me ne sia follemente innamorata di nuovo nel secondo, nel quale era evidente il raggiungimento di un compromesso tra poesia e scorrevolezza del testo, tra metafore all’apparenza ridondanti e la meraviglia che, anche grazie a queste, è capace di suscitare. È un testo sempre più leggero, quello che ne viene fuori, ma non per questo meno incantevole: è piuttosto semmai il contrario, perché proprio mentre le vicende si susseguono a un ritmo serrato che non dà tregua, lo stile col quale questo mondo esce dalle pagine per dispiegarsi di fronte agli occhi è qualcosa che prende per mano e guida nella storia stessa, quel filo conduttore che si sofferma a descrivere una colonna o un abito nel minimo dettaglio e che, allo stesso modo, sa mettere in luce i singoli personaggi con un’attenzione volta a far sentire quel che loro stessi provano; è ciò che tutto lega assieme e non è che un fiocco su un regalo ben confezionato dal quale non mi separerei mai.
«Vuoi una scelta?», le sussurrò prima di prenderle il viso con una mano e premere il pollice contro il suo labbro inferiore. Il bacio che le diede era profondo e possessivo, il suo braccio sinistro la strinse intorno alla vita obbligandola a sollevarsi sulle punte dei piedi e ad aggrapparsi ancora più forte a lui.
«Axel».
Affondò le dita nei muscoli duri delle sue braccia. La colonna gelida alle sue spalle e il corpo caldo del ragazzo premuto contro il suo la imprigionavano in una gabbia di sensazioni antitetiche. Era talmente assorta nell’abbraccio che, a tratti, dimenticava il contatto scomodo con il marmo intagliato che le premeva contro la pelle.
«Vuoi una scelta?». Le sussurrò quella domanda sulle labbra prima di spingerle con forza con le proprie. Allentò quella tensione squisita soltanto quando la sentì scuotere il capo in segno di diniego, allora rise, piano, facendole scorrere una mano tra i capelli.
«Non sarebbe stato giusto concedertela», le rispose. La sua voce soffice le solleticò la pelle arrossata del collo. «Io non ne ho mai avuta alcuna, dal momento in cui ti ho tenuta tra le braccia la prima volta».
Uno stile che affascina, anche, per la sua capacità di introspezione di personaggi che svelano nuove angolature e che non si finisce mai di conoscere, ma che si sentono, anzi, come degli amici dai quali non si vuol più separarsi – e se ve lo dice una che da quando, un paio di giorni fa, ha cominciato il quarto volume ha la sensazione di star per perdere delle persone vere, in carne e ossa, potete crederci. Questo per il semplice fatto che proprio quando credi di aver compreso appieno uno dei Vandemberg, Lady Wiess o anche i nuovi che si seguono più da vicino in questo capitolo, ecco che si scoprono lati di loro che non erano ancora spuntati che non fanno che accentuare il loro essere a tutto tondo, nelle loro virtù più ammirabili e negli sbagli che inevitabilmente si ritrovano a commettere. Complice una terza persona che scava nell’animo di colui o colei che stiamo seguendo, ci si ritrova a vivere le sensazioni di un’Eloise sempre con più cosciente dei propri poteri e del dover accettare le luci e le ombre del proprio innamorato, senza eccezioni, quel peso innominabile che gli legge negli occhi così come quella tenera risolutezza nel renderla il centro del proprio mondo; ad ammirare la forza d’animo di un Axel tormentato, quel suo essere il terrore evidente dei vampiri e, al tempo stesso, capace di sopportare in silenzio qualcosa dalla quale non riesce, né può, liberarsi; a guardare, con la stessa meraviglia di Sophie, Ashton, il sostegno di tutti gli altri nei momenti di crisi che, nonostante i secoli che ha attraversato e quelli infiniti che lo aspettano, continua a mettere a repentaglio i propri sentimenti amando chi sa che prima o poi lo lascerà. E poi Bryce, di una tenerezza inaudita nel prendersi cura della principessa trovatella inesperta e a caccia di guai, Stephen, la mente più brillante dello Studium che ancora non sa leggere quel che prova, Gil che riceve porte in faccia una dopo l’altra da Lara… Potrei continuare fino a domani, elencarli tutti e annoiarvi, ma non lo farò: quel che mi preme è riportare l’attenzione sulla vera protagonista della Penna, Sophie Blackmore, la principessa di Altieres perduta e ritrovata che è, insieme, l’irrequietezza dei suoi anni – che la porta a correre dritta e a braccia spalancate verso il pericolo a dispetto di ogni raccomandazione o tentativo di tenerla al sicuro – e l’insicurezza del dover ricoprire un ruolo del quale non conosce niente, a partire proprio da quelle tradizioni e costumi di cui sembra prendersi gioco perché incomprensibili per lei. Ma ben conosciute a chi le fa da co-protagonista: esasperante, arrogante e per la maggior parte del tempo insopportabilmente stronzo, Gabriel Stuart Sinclair è l’erede al trono di Altieres scalzato dalla sua ricomparsa, disposto a tutto pur di renderle palese la sua incapacità e il suo essere diversa, persino sfiorarla e lasciarla svenuta ai suoi piedi; una figura tanto sfocata in precedenza che lentamente si lascia osservare da più vicino, per scoprire un ragazzo dall’animo di guerriero, determinato e valoroso, di cui, lo ammetto senza vergogna, è facile innamorarsi – cosa per la quale se la gioca con Axel ad armi pari in una lotta che li vedrà, inevitabilmente, entrambi vincitori, perché io, di sceglierne uno solo, non mi accontento.
Vide, nitido, qualcosa spezzarsi nello sguardo del ragazzo; poi le sue mai sollevarsi e si preparò all’impatto bruciante del suo potere.
Era sopravvissuta una volta, poteva resistere ancora.
Tutto il suo corpo si tese in attesa del dolore quando avvertì la stretta delle sue mani su entrambe le braccia.
Un momento di vuoto completo, come carta bianca davanti agli occhi spalancati, poi lui abbassò il volto e posò le labbra sulle sue.
Lo so, è una recensione insensata e interminabile, questa, dalla quale risulterà solamente l’incontrastato amore che provo per questa saga, nella quale – terzo e ultimo punto – è facile rintracciare tutto ciò che si può volere da una storia di questo tipo: in un’atmosfera cupa e dai rintocchi gotici, coperta dalla fitta cortina di nebbia che non lascia intuire cosa si cela al di là di quel che l’autrice sceglie di farci sapere continuando a tessere una ragnatela nella quale si finisce incastrati nel tentativo di conoscere qualcosa di più degli intrighi di potere che han portato alla nascita della tregua tra Presidiales e umani e dei misteri che aleggiano attorno alla notte nella quale l’intera famiglia Blackmore – fatta eccezione per Sophia – è stata sterminata, Black friars sa parlar d’amore in tutte le sue forme, senza apparire scontato o melenso. Dalla malinconica, tormentata relazione che legava Eloise e Axel che li porta ancora a rincorrersi ben sapendo di essere legati a doppio filo l’un l’altra, alla nuova complicità nata tra l’erede al trono di Aldenor e il vampiro più affascinante che possa esistere, fino ad arrivare alla nascita di un amore improvviso che si preferisce attribuire a errori e bugie e a un rapporto consolidato di cieca fiducia tra cinque fratelli non di sangue ma per scelta disposti a rischiare la propria vita l’uno per l’altro. Affetto e amore, nelle loro tinte più scure e inquiete, mai paghe, mai sazie, sempre arricchite di nuove pennellate che ne mettono in luce lati insondati dei quali stancarsi è impossibile, ve l’assicuro: non fate caso al mio vomitar frasi senza logica, lasciatevi rapire e non ve ne pentirete. Questo è un viaggio che dovete fare.
Voto: ❤❤❤❤❤