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[Recensione] L’ultimo graffio di Erna Marioni

Creato il 01 aprile 2013 da Queenseptienna @queenseptienna

[Recensione] L’ultimo graffio di Erna MarioniTitolo: L’ultimo graffio
Autore: Erna Marioni
Editore: Ciesse Edizioni
ISBN: 9788897277125
Anno: 2010
Formato: libro, disponibile in eBook
Lingua: italiana
Numero pagine: 200
Prezzo: € 16,00
Genere: sentimentale, erotico
Voto: [Recensione] L’ultimo graffio di Erna Marioni
Trama: Storia di Livia, donna forte e fragile allo stesso tempo e dei suoi rapporti combattuti con una serie di uomini sbagliati, dopo una sofferta separazione dal marito: Andrea, un ragazzo più giovane che le rimarrà vicino per un lungo periodo, Marco che le chiederà del denaro in prestito, Maurizio proprietario di un pub, Marcello che la coinvolgerà in una passione malata e distruttiva. Accanto alla protagonista emerge la figura di Aurora Zorzetto, amica con capacità sensitive e con un piccolo sesto dito nella mano. Eros e Thanatos sono elementi costanti all’interno del racconto, onnipresenti fili conduttori che accompagneranno il lettore sino all’epilogo del romanzo.

Recensione: L’ultimo graffio è stato il primo eBook in assoluto che ho letto, poco più di due anni fa, nonché l’opera che mi ha fatto conoscere Ciesse Edizioni. Sin da subito mi sono reso conto di avere tra le mani una storia delicata e dolorosa, pagina dopo pagina si percepisce l’angoscia di una immedesimazione e di un vissuto che va al di là della pura invenzione.

Il primo graffio è la morte di Messalina, la micina tanto amata. A Livia, la protagonista, mancano gli occhietti indifferenti e sornioni che l’accompagnavano ovunque, si sente orfana di una presenza che era una porta, un totem che le consentiva, bambina, di interagire con il mondo adulto.

Il secondo graffio è la morte di Miù, un micio che si sentiva re di un giardino alberato e di una vasca abitata da un rospo.

Giunge l’età adulta, la vita di coppia, il matrimonio. Ecco il terzo graffio: il tradimento del marito Andrea. Livia si separa non solo per la tirannia di un principio, ma soprattutto per il modo in cui esso è stato violato. Inizia un inquieto precipitare tra dubbi, insicurezze che discendono da una scelta doverosa, la quale però contrasta con la fragilità emotiva di lei.

Livia è di nuovo sola. Diviene una meteora dispersa, per sua natura non in grado di ruotare attorno a un centro. Incontra un’altra meteora, Maurizio, la prima delle sue tormentate storie.

Livia vede realizzarsi una speranza, quella di riuscire a essere un piccolo pianeta, ad avere un centro affettivo stabile intorno al quale trovare la sicurezza che cerca. Fino a ora non le è stato possibile. Come un personaggio di Salman Rushdie ha avuto ben tre madri: la mamma vera, la zia, la nonna, partecipando dell’affetto ora dell’una, ora dell’altra. Inevitabili il contraccolpo esistenziale, lo strappo, i piccoli traumi nel passare continuamente da un’orbita all’altra. Si ha l’impressione che viva in pianta stabile nel mezzo del palcoscenico di teatro. Tra il pubblico, che non si vede, ogni tanto emergono i suoi fantasmi, quelli che poi evoca e rievoca nello studio dell’analista, il chirurgo dell’anima.

Dopo un viaggio in India recupera una nuova pace, un rapporto più equilibrato tra lei e i suoi spiriti, un’altra misura delle cose. Vi è un secondo incontro, quello con un altro Andrea, il quale assomiglia a un folletto dispettoso che si è fatto strada tra il pubblico silente dell’immaginario teatro, uscendo dalla penombra. Ha un che di ineffabile, si pone su un altro piano, umano, decisamente più empatico.

Poi vi è Marco, tutt’altra storia: un essere volitivo, che si impone e impone la propria volontà a quella altrui. Più innocuo di quel che sembra, il lettore lo prende subito a sospetto. Grazie a lui, tuttavia, Livia farà conoscenza con Aurora, la sorella mancata, l’amica sensitiva. Aurora è il Caso, l’Avvertimento, la voce di chi le fila del tutto le tiene davvero, forse l’autrice stessa uscita allo scoperto che si sforza di indicare la via, di mettere in guardia la sua pupilla.

Livia tuttavia sembra girare a vuoto. La necessità di avere un centro affettivo la spinge a ignorare i consigli, ne scuote la mente e le membra, gettandola tra le braccia di chi potrebbe o dovrebbe rassicurarla.

Il destino imperversa crudelmente: la morte del caro amico Claudio, quella del padre, di Andrea, suo marito. Quest’ultima, verrebbe da dire, non è solo un graffio. L’uomo che conosceva è maturato a causa della sofferenza e della malattia, uscendo dalla sua crisalide. Ha acquisito tutto a un tratto una nuova dignità. Da qui il dubbio lacerante: allora Livia ha sbagliato a separarsi da lui. Ma chi può dirlo? Del senno di poi ne son piene le fosse, ricordava Manzoni.

Vi è, nel romanzo, una presenza silenziosa e costante: il mare che separa le terre, disegnando loro un confine. Il mare è nominato molte volte, in tutti i suoi aspetti: quieto, in tempesta, un luogo nel quale perdersi, ritrovarsi, lasciarsi abbracciare, la riserva di affetto e di affetti. Da esso Livia riceverà una rivelazione. Non è misurabile, l’orizzonte che si vede non è raggiungibile perché sfugge. Eppure è una medicina, quella vera, contro il batticuore e la terribile ansia di chi è consapevole di trovarsi in una prigionia senza apparente soluzione. Un po’ esprime la foga e la disperazione dei rapporti amorosi che sono un modo per stringere, non lasciar scappar via l’amato, per esorcizzare la paura e legare le comuni solitudini. Cose difficili, o impossibili, anche Eros, come il mare, ha altre leggi, altri principi.

Le soluzioni che disperatamente Livia cerca e alle quali si aggrappa, altro non sono che sperimentazioni dolorose e mai definitive. Livia teme la solitudine, e però cerca quella di cui ha bisogno, salutare perché provvisoria, precaria come una qualsiasi vita a due. Per la stessa ragione scopriamo nel finale che anche l’abbandono non è definitivo. Ciò aiuta a scorgere una linea nell’orizzonte, una luce, una speranza consolatoria, anche se pagata a caro prezzo.


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