Titolo: L’uomo di fiducia
Autore: Herman Melville
Editore: Feltrinelli
Collana: Impronte
A cura di: Sergio Perosa
Anno: 1984
EAN: 9788807050190
Pagine: 285
Prezzo: € 6,97
Voto:
Trama: Qual è il miglior luogo, per un truffatore, di avvalersi delle proprie arti se non a bordo del Fidèle, il battello che solca le acque del Mississippi?
Sembra di trovarsi sopra la barca che attraversa lo Stige. E’ stata tolta, forse, la porta d’ingresso, il cui avvertimento spaventava Dante nel III canto dell’Inferno (Per me si va ne la città dolente,/ per me si va nell’etterno dolore, / per me si va tra la perduta gente…)
Il truffatore si confonde nell’umanità che lo attornia, nel caleidoscopio di tipi, volti, caratteri. Egli non ha le insegne di un’autorità ma un aspetto innocente, bizzarro, sempliciotto, a volte ha figura di agnello. Indossa via via varie maschere, rendendosi irriconoscibile. Si insinua tra una varietà di mortali che mischiano i volti, gli abbigliamenti diversi e pittoreschi, in un’unica marea cosmopolita e fiduciosa.
Assume all’inizio le sembianze di un nero sciancato di nome Guinea, che chiede l’elemosina. Strappa un sorriso, col suo tamburino, anche ai più seri. Cerca di attirare l’attenzione, raccoglie le monetine che gli sono lanciate, neanche fosse un cane, tra la bocca e la chiostra dei denti. Guinea dà scandalo per la sua presenza, tanto che si insinua il dubbio che si tratti di un impostore. Si instaura tra i presenti una sorta di giudizio, dove l’imputato è la carità stessa, dissacrata e derisa.
La situazione si fa subdola: Guinea si sta prendendo gioco degli astanti simulando un bisogno che non ha, oppure instilla deliberatamente (diabolicamente) nel cuore degli stessi un dubbio che spegne sul nascere ogni sentimento di solidarietà, di fiducia verso il prossimo.
Simili a questo saranno gli altri ruoli impersonati dall’uomo di fiducia (che dà il titolo all’opera). Lo scopo è sempre lo stesso, far cadere l’interlocutore.
Un altro disagiato, una volta ricevuto l’obolo, propone al benefattore un investimento finanziario profittevole, tanto da insinuare un dubbio: Perché – avutone sentore – non ne avete approfittato già voi? In questo modo si dissacra e si profana la buona azione compiuta.
Ci sono altri casi in cui le arti di questo “confidence man” non sono necessarie, perché alcuni cadono da sé: è il caso di un arguto filantropo e finanziere, fautore di un programma di Carità Universale, però forgiato dallo spirito di Wall Street. Intende debellare la fame una volta per tutte e allo scopo ritiene sufficienti Ottocentomilioni di dollari (un dollaro a testa: che sarà mai?)
Entrambi, fidandosi l’uno dell’altro, per un attimo si tolgono la maschera. Si mostrano uno di fronte all’altro per quel che in realtà sono: il primo è l’uomo che si è lasciato traviare, il secondo è il Maligno al quale ormai si appartiene, o si apparterrà a tempo debito. Le sue parole hanno instillato un veleno, quello della fiducia malamente carpita, quella che non unisce ma separa, divide ulteriormente.
Recensione: Si dice spesso che il diavolo non è brutto come si disegna. Si può persino urtare con dispetto, “calargli con destrezza il cappello sul capo”. Se è così, è subdolo, non appare mai come tale, si fatica a riconoscerlo o lo si vede dappertutto. Di fatto è un forestiero, nel senso più completo del termine. Non può essere altrimenti, gli risulterebbe difficile ghermire, sedurre le anime. La via che traccia dietro di sé è ottimistica, brillante, piena di luci e festaiola, dà e ottiene impunemente confidenza e non ci si domanda il perché. Parla a bambini, ed è proprio dei bambini avere fiducia, farsi accalappiare. E’ un Mefistofele in cerca del suo Faust.
Li conosce tutti, tanto da chiamare ciascuno per nome. Mirando all’anima del proprio interlocutore, conosce le corde giuste, sa come farle vibrare. Non si può dire lo stesso del malcapitato: il maligno agisce indisturbato, al suo fianco. Si offre, si presenta eppure non si rivela, ma tenta l’ignaro chiedendo fiducia in maniera equivoca, ad esempio domandando a bruciapelo del denaro in prestito. Che fare? Manifestare sfiducia negli uomini e quindi assecondare la separazione, la divisione, la diffidenza e la grettezza dello spirito (Vada al diavolo, signore, mendicante, impostore)? L’allegro compare cessa di apparire tale, Cadmo si trasforma in serpente. L’alternativa è fidarsi, concedersi tutto in un colpo, elargire la propria anima senza remore, senza vie di salvezza, in una parola stringere il patto, l’affare, apporre una firma, come Mefistofele con Faust. Eva, se non si fosse fidata del serpente, né lei, né Adamo avrebbero mangiato la mela, quella volta. Ne avrebbero mangiato più tardi, il giorno dopo o, se non essi, i loro figli.
Dunque: da una parte pretende, vuole, chiede fiducia e dall’altra rimprovera chi non la concede. Chi ha fiducia nel tentatore cade nella sua rete, ma può cambiare strada, salvarsi all’ultimo momento, dando fiducia all’avversario del Maligno. E’ quanto accade al Faust di Goethe che, come ha riposto la sua fiducia nel diavolo, si affida successivamnte a Dio, pronto ad accogliere la sua anima in cielo. Diversamente avviene nel Faust di Marlowe (nella tragedia del 1590) che, preda della disperazione, non capace di fiducia, cadrà definitivamente nelle grinfie del Demonio.
La soluzione sta nell’essere accorti, dotarsi dell’istintiva sagacia che impedisce di cadere nel tranello, permette di riconoscere l’inganno e lo respinge con le stesse armi. Insomma: se ti si offre pane, obietta che non di solo pane si vive.
In chi si deve riporre, allora, fiducia? In colui che chiede denaro in prestito trovandosi nel bisogno o a colui che lo presta al bisognoso, però a usura?
Il dilemma sembra essere sciolto da un racconto nel racconto, dalla storia di China Aster: “Rovinato per essersi lasciato persuadere a dispetto del buon senso a indulgere liberamente alla fiducia e a una visione ardentemente luminosa, eludendo quella cautela che nasce dalla considerazione della versione opposta”.
L’uomo di fiducia non è un libro facile. Solo al terzo tentativo sono riuscito a comporre il quadro che qui ho riassunto. Devo ammettere che non ho portato a termine nemmeno Moby Dick, mai andato oltre la metà.
Il motivo è presto detto: Melville non va letto velocemente, né preso sotto gamba. Occorre procedere con attenzione, lentezza, meditando su ogni scena, se non su ogni frase. E vi assicuro che ne vale la pena. Veramente.