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[Recensione] La città dell’allegria di Stefano Lazzarini

Creato il 08 novembre 2013 da Queenseptienna @queenseptienna

[Recensione] La città dell’allegria di Stefano LazzariniTitolo: La città dell’allegria
Autore: Stefano Lazzarini
Editore: Cut up edizioni
Anno:
2011
ISBN:
9788895246161
Formato:
libro
Lingua:
italiana
Numero pagine:
215
Prezzo:
€ 15,00
Genere:
noir
Voto: [Recensione] La città dell’allegria di Stefano Lazzarini


Contenuto:
Un villaggio turistico d’estate. Un ragazzino che scompare tra i girasoli. Sotto un sole implacabile, davanti a un mare di cartolina, un musicista alla ricerca di sé viene trascinato in un gioco folle e crudele, tra vacanzieri annoiati e terribili segreti.

Recensione: Da qualunque parte si rivolti, il romanzo non convince.

È scritto in prima persona, a tratti si rivolge a un misterioso tu che non si capisce chi sia, se non molto più in là. Si tratta di un escamotage narrativo azzardato perché interrompe il ritmo e ingarbuglia la lettura e le idee.

Al piano bar incontriamo Enrico Vinci, proiettato in un villaggio vacanze (la città dell’allegria, una designazione data un po’ troppo per scontato), turbato da un sogno premonitore prima, travolto dagli eventi poi. L’intreccio si snoda in maniera troppo piana, priva di mordente, di un ingrediente fondamentale che lo carburi.

Il comportamento stesso di Enrico contribuisce a confondere le acque. Si costruisce addosso un ruolo non suo, creando un freno considerevole al ritmo del noir. Il coinvolgimento emotivo di Enrico manca di profondità, di tridimensionalità, ecco la parola giusta. Senza un perché si trasforma in un improvvisato detective e fa fotografie, cerca risposte, alla ricerca di una relazione tra luoghi, persone, fatti di cui è appena appena al corrente. Il racconto è soffocato dall’indagine di un dilettante, da un mistero che offusca ogni cosa come una patina; perde di autonomia, si frantuma negli elementi di un puzzle che si ricompone alla fine, cioè tardi. Indagine e storia non si amalgamano.

Per intenderci pensiamo a Sir Arhtur Conan Doyle, il quale aveva subodorato il rischio che le indagini di Sherlock Holmes potessero relegare in sottofondo la storia, Com’è noto alcuni suoi romanzi (Uno studio in rosso, La valle della paura) sono distribuiti in due parti per ovviare all’inconveniente. Vi è quella che tratta del mistero, dell’indagine e della sua soluzione, poi quella dedicata all’antefatto. Un modo per riequilibrare la dimensione stessa del racconto, quella che al narratore dovrebbe interessare di più. L’ideale sarebbe già da subito osservare dal di dentro e nel profondo cose, luoghi e persone di cui si indaga. Ma non tutti sono Georges Simenon.

Questo, in poche parole, l’impressione di fondo che ho tratto dalla lettura.


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