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[Recensione] La giovinezza malinconica e disillusa di Adolf Hitler ovvero come imparai ad amare la guerra di Michel Folco

Creato il 30 settembre 2012 da Queenseptienna @queenseptienna

La giovinezza malinconica e disillusa di Adolf Hitler ovvero come imparai ad amare la guerraTitolo: La giovinezza malinconica e disillusa di Adolf Hitler ovvero come imparai ad amare la guerra
Autore: Michel Folco
Editore: Leone editore
Collana: Orme
Traduttore: Gilda Trapani
Anno: 2012
ISBN: 9788863930825
Num. Pagine: 384
Prezzo: 14,00€
Voto: [Recensione] La giovinezza malinconica e disillusa di Adolf Hitler ovvero come imparai ad amare la guerra di Michel Folco

Trama: “È vero che le sue origini sono oscure. È vero, i suoi talenti mediocri. Certamente sua madre morì troppo giovane, ma le sue passioni non furono mai intense, né eccezionali. Forse proprio l’ordinarietà della sua giovinezza è la forza di questo romanzo, in cui, a mano a mano che seguiamo le disavventure del giovane Adolf, dalla nascita al periodo viennese, l’ostinata determinazione con cui persegue i suoi miseri obiettivi non può non turbarci, inquietarci, farci riflettere. Michel Folco non è un biografo, anche se la sua opera è accuratamente documentata, ma con la sua ironia tagliente e sottile come la lama di un coltello, ci narra in che modo la semplice banalità del male possa trasformarsi nel peggior incubo dell’umanità“.

Recensione: Si tratta di un romanzo che chiede la collaborazione del lettore. Il nome Adolf Hitler ci porta immediatamente alla mente il Führer per antonomasia, diretto responsabile di una politica discriminatoria e di sterminio a danno di ebrei e altre etnie, artefice della II guerra mondiale e causa della morte di milioni di persone.

Devo ammettere che sulle prime avevo qualche perplessità. Si tratta infatti di un romanzo difficilissimo da scrivere, nonché rischioso. Mi sono posto due domande: chi l’ha scritto e, soprattutto, perché. L’autore è il francese Michel Folco. Osservando le pubblicazioni precedenti, l’impressione è piuttosto rassicurante. La Jeunesse mélancolique et très désabusée d’Adolf Hitler, proposto da Leone editore, è la sua ultima fatica:

Ce roman s’intéresse à la jeunesse d’Adolf Hitler, de la rencontre de ses parents, Aloïs Schicklgruber-Hitler et Klara Pölzl, jusqu’à sa période viennoise. Le livre se demande pourquoi Hitler est devenu ce qu’il est devenu. Le livre met en scène certains personnages des livres précédents de Michel Folco tels que Marcello Tricotini, Aloïs Schicklgruber-Hitler, Klara Pölz ainsi qu’Hitler lui-même durant une scène qui était aussi dans Même le mal se fait bien.

Nel romanzo qui recensito (traducendo quanto si legge sopra) appaiono dei personaggi già contemplati nei precedenti, segno che vi è un discorso portato avanti nel tempo, un’analisi, non si tratta di un’improvvisata.

É stato fugato immediatamente il timore di avere tra le mani un racconto scritto per pretesto, per far sensazione (ne vengono pubblicati troppi di questo genere, cosa che spinge a essere diffidenti e accorti). Tra l’altro basta leggere il primo capitolo per rendersi conto che siamo di fronte a un lavoro serio, meditato.

E questo è un bene, perché la sinossi di per sé è molto ambiziosa, ci fa pensare (e sperare) che l’autore sia all’altezza del compito ripromesso. Affinché la sinossi sia veritiera, si presumono almeno due qualità molto importanti: una solida base storica e di ricerca, ma anche un talento non comune in grado di scavare a fondo e recuperare ciò che le fonti storiche lasciano inespresso, ricreando con l’immaginazione un mondo intero.

Quella che viene raccontata è una storia ordinaria. Tra i personaggi che irrompono nella scena, non ce n’è uno che brilli di ingegno, che emerga in qualche modo. Fanno parte di una generazione qualsiasi che vive in un momento di relativa pace. L’ultima guerra è stata quella franco prussiana del 1870, alla quale sarebbe seguito il I conflitto mondiale (1914).

Dalle pagine traspira l’attesa di un evento, di qualcosa di nuovo, che si alterna a momenti di inquietudine, di promesse non mantenute. La giovinezza malinconica e disillusa di Adolf si rispecchia quindi in quella vissuta da chi lo circonda: suo padre Aloïs, sua madre Klara, i fratellastri e i fratelli.

Vi è una carrellata di personaggi che non sono di contorno, ma ben caratterizzati. Piuttosto è Adolf che è di contorno, non si sa cosa voglia, quali siano i suoi disegni. La sua assomiglia troppo a una volontà senza progetto.

Il primo personaggio che entra di prepotenza nella scena è il vecchio Nepomuk. Desidera sbarazzarsi di Rolfie, un cane che, ormai vecchio, non era più in grado di cacciare:

«Lo butto nello stagno. Lo mangeranno i pesci, così alme­no servirà a qualcosa (…)
[Klara] rabbrividì al pensiero che se un giorno anche lei non fosse più servita a nulla, sarebbe stata picchiata a morte nello stesso modo.

Poco dopo incontriamo il misterioso Aloïs, il padre di Adolf:

Nepomuk stava per assestare un ultimo colpo quando Aloïs lo allontanò in maniera decisa: «Spostatevi, zio, lasciate fare a me». Con un colpo di sciabola abbreviò le sof­ferenze dello sventurato animale e spezzò la lama Solingen su una grossa pietra sottostante.

Aloïs è un ufficiale doganale dell’impero, uomo mediocre e tuttavia volitivo. Si è fatto da sé, non deve niente a nessuno. Tra i suoi parenti (ma lo sono veramente?) si sente estraneo: detesta in cuor suo “quella gentaglia invidiosa, avara, malevola, il cui svago principale era quello di spiarsi, farsi invidia l’uno con l’altro, odiarsi generazione dopo generazione con una perseveranza degna di ammirazione…”

La necessità e l’interesse soltanto li avevano riuniti nello stesso borgo, ma al minimo prete­sto erano pronti a tutto per farsi del male. Era come se la sfortuna degli altri fosse il loro unico divertimento. No, no, assolutamente no, non li amava per niente.

Non è uno di loro, non lo è mai stato. La sua volontà lo spinge a primeggiare, a emergere. Eppure, pagina dopo pagina, l’indole che salta all’occhio Il mondo come volontà e rappresentazionenon è difforme, non si differenzia da quella comune, si disvela via via la sua pochezza. La volontà, sia pure la più determinata e decisa, non fa altro che nascondere la mediocrità. Perché la volontà deve avere pur un oggetto, non può bastare a se stessa, non può essere cieca. Diventa una lezione male appresa da un filosofo in voga a quel tempo: Arthur Schopenhauer, autore de Il mondo come volontà e rappresentazione. La volontà, ecco, vista come un tutto, un assoluto.

Si tratta di una lezione che (mal) apprenderà lo stesso Adolf, come la generazione del suo tempo, e quelle di là da venire:

(…) Adolf aveva cercato di leggere l’immensa opera di millequattrocentouno pagine. Dopo aver letto e riletto e ancora riletto con risolutezza le dieci frasi iniziali del primo capitolo, senza mai capire la stes­sa cosa (in verità, riconosceva le parole, ma non ne afferrava la disposizione nella frase), Adolf ci aveva rinunciato, riman­dando un nuovo tentativo a data da destinarsi.

Come avrebbe potuto dimenticare… perché ciò che conta non è la verità, ma il trionfo… o ancora… perché molto spes­so, un’oncia di volontà pesa più di un quintale d’intelligenza e di certezze… ovvero… molti passaggi dell’opera erano del tipo in cui l’autore dà le parole e il lettore deve cercarne il significato. Quest’ultima frase riassumeva alla perfezione quello che aveva passato durante il coraggioso tentativo di leggere e capire Il mondo come volontà e rappresentazione.

Sarà proprio quella volontà cieca e inarticolata a spalancare le porte dell’Europa verso la I guerra mondiale.

Adolf nasce il 20 aprile del 1889:

«Adolf? Che idea stupida! Perché Adolf?» voleva sapere Aloïs quando Klara lo pregò di rinunciare a Francesco Giuseppe.
«Mi piace questo nome, ecco tutto. Per una volta potresti far scegliere a me.»
Aloïs ci pensò a lungo, ma non conosceva nessuno con questo nome. Si strinse nelle spalle.
«Se ci tieni così tanto…»

Adolf è un bambino volubile, tenace e ostinato, difficile da governabile, pronto a primeggiare, a imporsi. Inoltre appare pigro e inconcludente, non sembra avere capacità particolari e presto sarà fonte di preoccupazione per il padre:

I suoi voti rasentavano lo squallore. Era diventato un vero buono a nulla, soprattutto in francese, in tedesco, in mate­matica, in geometria, in storia e in religione, in geografia, in fisica e persino in disegno; in realtà, avrebbe sicuramente ri­petuto l’anno. Il problema più grande era l’incapacità di concentrarsi, non riusciva a seguire i discorsi dei professori per più di due minuti di seguito… Prima o poi qualcos’altro catturava la sua attenzione e quando recuperava la concentrazione, aveva perso le tre o quattro frasi necessarie che gli avrebbero permesso di capire il resto della lezione. A quel punto faceva finta di seguire.

Eppure si lascia influenzare, almeno quando vuole. Non mancheranno dei compagni, persino ebrei (Josef Neumann, che lo aiuterà a vendere i suoi quadri). Con ciascuno sarà sempre una gara a primeggiare. Adolf è soddisfatto e sereno solo se è il primo. Non importa in cosa:

Capisci, Gustl, mio padre diceva sempre che quando sai davvero quello che vuoi, possiedi automaticamente la solu­zione.

Durante la lettura si dovrebbe a priori ignorare l’Adolf Hitler storico, in modo da capire che il romanzo parla di un adolescente qualunque, come ve ne sono (e ve ne erano) tanti.  La conclusione che ne consegue è piuttosto sconvolgente.

Non corrisponde molto al vero che le livre se demande pourquoi Hitler est devenu ce qu’il est devenu (il libro si domanda perché Hitler è divenuto quel che è divenuto). Piuttosto invita il lettore a porsi la domanda e a darsi una risposta. Non ce n’è una sola.

In questo caso il lettore è sovrano: può giustificare, comprendere, leggere, non leggere:

«“Tutto comprendere è tutto perdonare.” Cercare di capire Hitler, e gli eventi che trasformarono quel bambino innocente in un assassino di massa, significa ammettere la possibilità di perdonare Hitler.» Ron Rosenbaum, Il mistero di Hitler

Una cosa è certa. A fine lettura ci convinciamo che nel primo Novecento di ragazzi come lui ce n’erano a decine, a centinaia, a migliaia e che il posto occupato dal Führer difficilmente, senza Adolf, sarebbe rimasto vacante. I programmi stessi, le idee, i piani di Hitler già non gli appartenevano, non erano farina del suo sacco. Erano idee nell’aria che respiravano tutti e che (sia mai) respiriamo tutt’ora.

Fonti:

http://fr.wikipedia.org/wiki/Michel_Folco


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