Titolo: La lettera scarlatta
Autore: Nathaniel Hawtorne
Editore: Newton Compton editore
Prezzo: 0,99 €
Num. pagine:127
ISBN: 978-88-541-5458-2
Voto:
Trama:
In una Boston più puritana che mai, la giovane Ester Prynne viene costretta a girare tra la gente con addosso il proprio peccato in bella vista: diventa l’espositore vivente di una grossa lettera scarlatta, che grava pesantemente sul suo petto. Questa imponente A di adulterio, è inoltre evidenziata inesorabilmente giorno dopo giorno dalla piccola Perla, frutto di quell’occasione di perdizione in cui nessuno ha mai visto chiaro. Chi è dunque il padre di Perla?
E lo spregevole Ruggero Chillingworth, cosa vorrà mai dalla ribelle Ester? Riuscirà l’oscuro dottore a curare l’atroce male di padre Dimmesdale?
Recensione:
Non posso credere che l’ho comprato per sfregio. L’acquisto è stato in bilico fino all’ultimo, fin quando non mi son detta: “va bè, che vuoi che sia… è un euro” e mi sono recata alla cassa, ancora indecisa. Non ero affatto convinta da quell’immenso fiume di parole compresso in un tascabile, scritto a caratteri più piccoli del solito per farcelo entrare tutto per forza. Perché 127 pagine a parer mio non bastano; temevo realmente di diventar cieca a leggerlo.
Invece eccomi ancora qui. Ragazzi, non temete la cecità: scende così rapido che non ne avete il tempo, davvero. Ho avuto la netta sensazione, a trama conclusa di aver perso un amico… ora sono inconsolabile. Raramente mi è passato tra le mani un capolavoro simile; leggetelo, leggetelo, assolutamente LEGGETELO.
Quanto gongolo quando riesco ad assegnare le cinque stelle non lo potete neanche immaginare!
Da dove inizio?! Dove finisco?
Breve avvertenza: tenete duro per le prime (10? non ricordo) pagine, che il nostro Nathaniel è un sacco prolisso. Prima di giungere alla lettera scarlatta vi farà tutta un introduzione sulla dogana, sui tizi che ci lavorano, cosa fanno, come vivono ecc… beh, non c’entra un cavolo: la vicenda inizia quando cominciate a leggere di pettegole che commentano l’errore di una bella donna che esce da prigione con una bimba in braccio. Non sanno nemmeno chi sia suo marito, ma l’additano comunque.
C’è innanzitutto da parlare dello stile: ampiamente descrittivo, risulta difficile da seguire inizialmente; vi assicuro che lungo la strada conquista. Io non ero convinta, finché questa frase qui mi ha lasciata a bocca aperta tipo Scream:
E quivi tutti i loro discendenti nacquero e morirono, mescolando alla terra la loro sostanza umana; tanto che ormai deve esserci una certa parentela tra la zolla e questa mia mortale carcassa che la calpesta.
Vale davvero la pena di sforzarsi per seguire i ragionamenti, di rileggere più di una volta per capire; perché presenta una capacità di comunicazione fuori dal comune: se non l’assaporate a pieno, godete solo a metà. L’autore ha quell’accattivante modo di rendere qualsiasi cosa così dannata e redenta allo stesso tempo; l’atmosfera di solennità si attacca anche alle pietre, fa in modo che persino esse vivano; che provino slanci, gioia, dolore.
Lo scrittore è così abile da sembrare in grado di maneggiare le anime: sa toccare le corde dei lettori con la più totale intensità. Prima ancora di entrare nel vivo della vicenda, mi son resa conto di quanto riuscisse a capire a fondo cosa si cela nel fondo dei cuori della gente. Le parole più belle le mette in bocca ad un aspirante scrittore che ha lavorato alla dogana e lì davvero riesce a esprimere l’inesprimibile: qualcosa che io non ho mai saputo comunicare senza essere fraintesa riguardo il lavoro e il benessere/malessere di quando accontentandoti dell’agio economico, perdi lo slancio artistico, le aspirazioni, quello spirito palpabile e vitale. Lo scopo.
Egli affronta la questione “impiego qualunque” come qualcosa che più che tenerti in piedi ti affossa. Mai letta una riflessione più affascinante e calzante, secondo cui la perdita del lavoro dovrebbe essere celebrata come una liberazione dell’anima.
Ora è proprio codesta speranza a paralizzare ogni suo sforzo di rinascita: a che scopo affaticarsi o incominciare la lotta, (…) quando tra poco un mucchio di monete uscite dalla tasca dello zio Sam gli ridaranno la gioia e la felicità? Basta aver assaporato per poco la dolcezza dell’impiego per ammalarsi di questo male; (…) se proprio non ha venduto l’anima, ha sperperato la parte migliore di sé: l’energia, il coraggio, la costanza, la verità, la fiducia in sé e tutto quanto concorre a formare un carattere virile.
(…) Il mio terrore era che io dovessi invecchiare nell’impiego, riducendomi più bruto che uomo come il vecchio ispettore: era difficile infatti che fosse espulso un impiegato tranquillo come me e ancor più difficile che io trovassi l’energia necessaria a dimettermi.
Altro aspetto fondamentale: dimenticate assolutamente ogni sorta di distanza: la concezione con cui vengono valutati gesti e situazioni è lontana anni luce dalla nostra moderna, ma vi calate nei panni dei personaggi con una facilità impressionante. Ci state dentro neanche fossero un paio di jeans.
Voi siete Ester e soffrite con lei, respirate sotto il grave peso di quella lettera di fuoco che vi schiaccia, avvelena, uccide l’anima; vi umiliate davanti agli sguardi assassini e giudici della gente; ve la prendete col mondo, nonostante cerchiate solo accettazione da esso. Siete la bambina, per metà figlia del demonio, che vorrebbe solo la mano del padre; siete un prete dalla personalità complessa, tormentata, un funambolo dell’esistenza il cui equilibrio psicofisico è costantemente minacciato da un oscuro demone e non trova pace.
Siete l’atmosfera di peccato che contamina, ammorba l’aria, secca le persone e getta sgomento e terrore.
E’ un libro che non lo leggete soltanto; lo vivete e vi vien voglia di sbranarlo, assorbirlo. Vorreste quasi incidervelo addosso. Ora, non mi aspetto che al mondo intero faccia lo stesso effetto; ma personalmente mi ha spostato qualcosa dentro, mi ha graffiato l’anima e non lo dimenticherò.
non c’è uomo che a forza di portare una maschera, non finisca per assimilare a questa anche il suo vero volto.
La frase sopra citata si riferisce a Dimmesdale, personaggio che mi ha scavato a fondo: ragazzi, è un prete, ma io per tutte le pagine l’ho amato per la sua sensibilità, per l’intelligenza e per il suo modo particolare d’interiorizzare gli avvenimenti. Ce l’ho sempre avuta con i tipi problematici dai tempi di Eric di Rossana, devo ammetterlo; ma su di lui stilerei un trattato. E’ tormentato da qualcosa di così fitto e sottile, che se fosse stato un altro tipo di persona non l’avrebbe nemmeno avvertito. La sua volontà di non scendere al compromesso lo erode giornalmente; è un uomo dalla personalità così bisognosa di trasparenza e onestà, che i suoi mali interiori si riversano subito all’esterno, come se scappassero via da una finestra spalancata.
Accade che egli viene perseguitato da Chillingworth: col pretesto di aiutarlo s’insinua nella sua esistenza e vive a contatto con lui perennemente, torturandolo nell’intimo girando il dito nella piaga. La violenza di quella subdola tortura psicologica ha effetti devastanti. A parte che lo scienziato è raccapricciante di suo: appena scova Ester e viene a sapere del tradimento, senza troppo scomporsi le fa un discorso semplicissimo, che tuttavia, per la pacatezza controllata e morbosa (quasi da psicopatico) con cui viene pronunciato, terrorizza meglio di una minaccia più cruenta ed eclatante:
Io cercherò quell’uomo, come ho cercato la verità nei libri e nell’alchimia il segreto dell’oro. C’è, fra me e lui, una misteriosa simpatia che servirà a rivelarmi quell’uomo. Lo sentirò improvvisamente tremare, e tremerò io stesso il giorno in cui ci troveremo di fronte. Quell’uomo non può più sfuggirmi: è fatale che egli diventi la mia preda…>>.
Nonostante lo spavento provocato, l’uomo non immagina nemmeno quanto questo gioco malato potrebbe ritorcersi contro di lui…
Detto questo, non mi sembra poi così casuale che i due implicati nella vicenda siano uno scienziato e un prete; che Nathaniel abbia voluto con codesto espediente fornire una metafora concreta dell’eterna lotta scienza/religione, in cui la prima presenta un atteggiamento aggressivo volto a sfatare i dogmi della seconda?!
Anche se fosse, lo scrittore non decreta un vero vincitore, né è davvero interessato a dare il via a una dissertazione filosofica sull’esistenza o meno del peccato: anzi, su quello pone solamente dubbi impliciti (che vanno proprio letti a fatica tra le righe) e comunque non è lì che intende focalizzare l’attenzione del lettore. Il libro non è concepito nemmeno con l’idea di creare chissà quale suspance (come invece mi aspettavo); a parer mio l’intenzione primaria era, credenti o no, di far riflettere le persone sulle conseguenze delle azioni: il male ricompensato col male, altro non porta che ad altro male. Concetto semplice, essenziale; eppure vi assicuro che nemmeno al giorno d’oggi viene assimilato e compreso.
Con questa massima vi lascio, scrittevoli. Alla prossima… e leggetelo: è una meraviglia!