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[Recensione] La lezione del canarino di Raffaele La Capria

Creato il 29 luglio 2012 da Queenseptienna @queenseptienna

[Recensione] La lezione del canarino di Raffaele La CapriaTitolo: La Lezione del canarino
Autore: Raffaele La Capria
Editore: Il Sole 24 Ore su licenza Arnoldo Mondadori Editore
Pubblicazione: maggio 2012
ISBN: 9771973564394
Numero pagine: 80
Prezzo: € 2,00 (non vendibile separatamente dal quotidiano)
Voto:[Recensione] La lezione del canarino di Raffaele La Capria

  

Contenuto: È una raccolta di racconti gentili, nei quali regna uno spirito animalista delicato, intimo, non dell’ultima ora. Non so se sia facile da reperire, io mi sono imbattuto per caso in questo volumetto, scartabellando tra gli scaffali di una biblioteca comunale.  Le storie di questa raccolta si inseguono e si incardinano in un unico discorso, volendo è quasi un saggio le cui argomentazioni e i nessi si ricorrono, si rinsaldano strada facendo.
Viene enunciata in primo luogo una legge fondamentale, elementare quanto disattesa. Se fosse regolarmente osservata suonerebbe quasi banale: “Non si può fare quel che si vuole a chi è in nostro potere”.
E’ un principio che a ben guardare fa il paio con la legge del più forte, che gli umani prendono come pretesto per costruire intorno a loro una società verticale, gerarchica, giusta perché, dicono, in natura funziona così. Perché è chiaro che in natura vige la legge del più forte, ma non nel modo in cui viene comunemente intesa.
Per esempio: se è necessario cibarsi di carne, non lo si faccia alla leggera, ma si comprenda che è un continuo rinnovarsi di un peccato originale, il cui peso si fa paradossalmente insostenibile quando non sia avvertito come tale. L’autore racconta allora di un re che per ovviare a ciò formulò una terza legge (tra le due sopra riportate): “che si uccida con le proprie mani l’animale di cui ciascuno si ciberà, senza limitarsi di farselo servire nel piatto”. Lo si guardi negli occhi, si comprenda fino in fondo il suo sacrificio, si stringa un patto di appartenenza, si intuisca quanto ci accomuna e quanto ci differenzia.


Il passaggio successivo è rilevante. La sorte degli animali è anche la nostra , la sorte del creato è anche quella di coloro che lo popolano. Quale sia la nostra, non lo sappiamo, come non lo sanno loro, gli animali, i quali affrontano il loro destino senza ribellione, senza battere ciglio. Aspettano. Aspettano come aspetta l’asino, o qualunque altra bestia da soma, la percossa o il peso che spezzano la schiena. Denunciano in silenzio la loro immensa solitudine nel mondo creato da Dio, che è anche la nostra. L’unica differenza siamo noi che li riempiamo  (il silenzio e la solitudine) di chiasso e di parole, perdendone il senso, la sacralità. 

Sull'utilità e il danno della storia per la vita

Gli animali non conoscono il passato e nulla attendono dal futuro, vivono il presente come fosse un momento eterno. Non distinguono un prima, un dopo,  non hanno storia, come argomentava a suo modo una dissertazione di Nietzsche.
Basta pensare a questo per rendersi conto della tortura degli animali da circo o dei leoni stipati nella gabbia di uno zoo:

“Non erano soltanto annoiati, erano disperati e volevano morire”

Nonostante le similitudini che si possono costruire, la distanza con l’uomo è tale che “niente, nessuna pietà e nessun gesto avrebbe potuto colmare”. Vi è una maestà inavvicinabile di queste creature, votate alla gioia e alla sofferenza, di fronte alle quali si pongono senza battere ciglio:

“Ogni animale non si aspetta niente, non lo sfiora neppure l’idea che la sua sofferenza possa essere riconosciuta…”, come il gabbiano di un racconto che, affamato, tiene “l’occhio fisso sul mare deserto di pesci”.

L’indifferenza della Natura e delle creature stesse davanti alla propria sofferenza  cosa nasconde se non la traccia di un peccato contro il quale, proprio perché originale, non si può nulla? L’autore l’ha chiarito all’inizio: l’uomo non è colpevole tanto di averlo compiuto, quanto di averlo dimenticato:

“…piccola sfinge sulla pancia (il gatto), sembra tenero e fiducioso, ma l’occhio tondo e imperscrutabile mi fa pensare all’abisso incolmabile che si aprì  tra l’uomo e l’animale nella notte dei tempi e ruppe la sacra unità del mondo primigenio”

Chi presenterà il conto finale se non le piccole grandi divinità che per ora rinnovano, mute, un sacrificio che noi ci ostiniamo a ignorare?


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