Titolo: La lingua perduta delle gru
Autore: David Leavitt
Editore: Mondadori
Traduttore: Delfina Vezzoli
ISBN: 978880459502
Num. Pagine: 336
Prezzo: 10,00€
Voto:
Trama:
“I miei genitori sono gente aperta. Non resteranno annientati dalla notizia” pensa Philip Benjamin, il protagonista di questo romanzo nel momento in cui, a venticinque anni, si appresta a rivelare alla famiglia la propria omosessualità. Eppure per Rose e Owen, piccoli intellettuali nella sfavillante New York degli anni Ottanta, la scoperta delle inclinazioni amorose del figlio apre una crepa dapprima sottile, poi sempre più profonda e insanabile, nel delicato equilibrio affettivo familiare, costringendoli a fare i conti con la propria più intima natura, le proprie scelte, le proprie responsabilità. Ma in questo paesaggio familiare desolato, in questo sfacelo di relazioni personali, Philip, e non solo lui, saprà individuare la strada per la costruzione di una vita sentimentale flessibile, realistica, libera, ma saldamente ancorata all’autenticità e alla sincerità.
Recensione:
Un libro noioso. Si tratta del primo romanzo vero e proprio dell’autore, pertanto una giustificazione ce l’ha, glielo concedo.
Lo stile è già riconoscibile, con le sue digressioni che spaziano e si diramano come tanti fili di ragnatela, personaggi secondari ben costruiti, ambientazioni precise. Peccato che sia tutto troppo.
Le digressioni – peculiarità che in altri romanzi successivi è persino un punto di forza – qui sono un universo di infodump che si occupa di ogni singolo dettaglio fino a rasentare l’insignificante e l’inutile ai fini della storia stessa, cose che sarebbero risultate interessanti se prosciugate o narrate a pillole, ma tutte insieme, mostrando al lettore qualche wall of the text veramente avvilente, diventa lagnoso e viene spesso da chiedersi a che diamine servano tutte queste cose che si stanno leggendo. E la risposta arriva prontamente alla fine: nulla.
Anche le descrizioni del paesaggio cittadino, i diversi quartieri, le strade, i differenti boulevard, sono esagerate, ridondanti, eccessive; non c’è nemmeno un po’ retorica e disegnano una serie di paesaggi urbani decadenti, grigi e tristi con una schiettezza che distrae, e di nuovo chi legge alza gli occhi al cielo perché onestamente sono informazioni del tutto superflue.
La storia, spogliata di tutte queste accozzaglie primordiali, è interessante, intricata e gloriosa come tutta la produzione di Leavitt. Un padre con un segreto che tiene stretto da anni, e che solo coi tempi moderni sembra prendere sempre più coscienza; un figlio omosessuale alle prese con un amore difficile e il fidanzato dei suoi sogni, con tutto ciò che ne segue; una madre che sta in mezzo alle due cose, una donna normale spaventata dai cambiamenti, che tende spesso a ricacciare indietro la realtà. Il tutto mescolato in un intreccio che sarebbe potuto essere coinvolgente, mozzafiato se solo appunto non ci fossero state troppe cose in mezzo a spegnere l’attenzione e l’interesse.
Il romanzo, complessivamente, è comunque godibile, leggibile, i protagonisti sono persone che attraggono per le loro sfaccettature, i loro caratteri complessi e diversificati in cui ci si può immedesimare o anche biasimare, vicende di ordinaria stranezza che fanno sorridere o anche sollevare le sopracciglia, ma nulla di più. Non l’ho trovato eccessivamente romantico – se non proprio nell’ultimo pugno di pagine, leggendo di Philip e Brad, e della confessione del padre – né particolarmente d’atmosfera, e non vi ho trovato nemmeno un grande messaggio intrinseco. Insomma, un libro da leggere, ma che non emoziona granché.