Titolo: La maschera – Volume I
Autore: Paola Poggioli – Axaly
Editore: Fedelo’s Editrice
Num. Pagine: 431
ISBN: 9788896268148
Prezzo: 19,60 €
Voto:
Trama:
Città Verde. Un centro portuale ricco, frenetico, abitato da elegante nobiltà e facoltosa borghesia, numerose confessioni religiose e teatro di scambio tra le più grandi città del continente. Un luogo affascinante di cui Shyar ha visto l’altra faccia della medaglia, quella che non si racconta, anche se ha solo quindici anni. Orfano, è stato cresciuto alla Casa di Miseria della città, ed è venuto per lui il tempo di essere mandato a servizio presso un qualche nobile. Un lavoro che ritiene tedioso ed insignificante, perché Shyar ha un carattere strano nonostante le sue umili origini: freddo, altero ed insolente. Un’indole che lo ha reso famoso con gli orfani del quartiere. D’aspetto esile ha la pelle bianca, ricci neri e occhi di un verde-grigio tanto distaccati da manifestare disinteresse per ogni cosa; finché quegli stessi occhi non si posano sul suo nuovo padrone: Xewonyan Ventridys. Il solo mago della città e unico personaggio allo stesso tempo temuto, ammirato ed odiato dall’aristocrazia, la quale fa a gara per accaparrarsene i favori. Shyar diventa il servo personale dell’uomo. Lo Stregone dei Veleni è un individuo oscuro ed imperscrutabile: tanto affascinante e pungente con le donne –suo unico vizio–, quanto pericoloso, crudele, arrogante, imprevedibile e tetramente seducente. L’interesse di Shyar non solo si accende, ma divampa in un sentimento che diviene ossessione ed agonia per un uomo che lo devasta, dice di non volerlo, ma è inevitabilmente attratto da lui.
Recensione:
La Livin si addentrò circospetta all’interno della pagine, con una scacciacani in mano in attesa che la trama la ghermisse e la trascinasse nel folto della boscaglia. Vagò tra promontori sconnessi e in spiazzi insanguinati, ma giunse l’alba e la trama infine non giunse, disegnando un’unica stella votiva nel cielo che si schiariva.
Questa bella introduzione è per dirvi che se volete leggere un fantasy gay che abbia una buona struttura, che vi coinvolga e che vi faccia immedesimare ed entrare nel romanzo fino a farvi dimenticare come vi chiamate… qui non c’è materiale per voi.
Premessa indispensabile: La maschera è stato progettato per essere un romanzo yaoi. Con yaoi non si intende il classico libro a sfondo gay o slash – che ha personaggi sia principali che secondari, un’ambientazione rifinita e curata che a volte può a sua volta diventare protagonista, uno scopo da perseguire, e che ha soprattutto una story-line complessa – bensì un’opera che ha il fine ultimo di vedere scene di sesso tra i personaggi maschili, niente di più e niente di meno.
Nei manga yaoi le trame sono risibili e spesso – non sempre, precisiamo – non sono intessute con grande impegno, i capitoli sono dichiaratamente volti al vedere la coppia fornicare e tutto ciò che accade prima o dopo è cornice, sfondo, dettaglio.
Lo yaoi è una pietra miliare della cultura figurativa nipponica, è un mercato riconosciuto e circoscritto da determinati paletti commerciali e sociali, che ha proprie regole e proprie formazioni.
Quando però si associano le parole yaoi e libro la cosa crea scompenso intellettuale, e l’unica domanda da farsi è: perché cavolo scrivere un libro yaoi se si sa già che non avrà nemmeno un briciolo di trama?
Non me ne vogliano le fènz dello yaoi, ma un fumetto è una cosa, un libro è un’altra, e un genere limitato – e spesso inconcludente perché fine a se stesso – come lo yaoi dovrebbe limitarsi a essere immagine, non parole.
Perché ciò che ne nasce è proprio La maschera, che di parole ne poteva usare la metà e il risultato sarebbe stato il medesimo.
Ma visto che io mi sono fatta del male nel leggere questa roba, adesso anche voi vi farete del male nel riviverla con me.
I personaggi
Xewonyan Ventridys. Un nome, una garanzia. Di non riuscire a pronunciarlo bene.
Xewonyan, che d’ora in poi per comodità chiamerò in altri modi perché questo raggruppamento di sillabe tipicamente fantasy mi sta a noia, è un superfigo senza motivo.
Lui è lo Stregone dei Veleni, ma non si sa perché lo sia. Lui è bellissimo, ha un corpo meraviglioso, una forza prodigiosa, un carisma innato, nessuna donna può fare a meno di desiderarlo ma allo stesso tempo il suo fascino incute una paura tremenda negli antagonisti, pur senza farci capire il perché, senza raccontargli un qualche aneddoto, è così perché è così. Le creature di sesso femminile sono così abbagliate dalla sua avvenenza che nessuna fa caso alla sua presunzione, alla sua maleducazione, alla sua meschinità, niente di niente.
Perfetto per contratto.
L’amico Xew soffre di una gravissima sindrome bipolare che nel romanzo vorrebbe essere giustificata da un brandello di spessore psicologico, ma la spiegazione viene liquidata malamente in poche righe, ed è talmente banale, ridicola e scontata che di gran lunga preferisco il sano bipolarismo curabile con psicofarmaci.
Il nostro paziente è uno psicopatico arrogante, borioso, che ha un serio problema di gestione della rabbia, ha una mentalità di stampo distopico che gli fa credere che i suoi subordinati siano schiavi e non individui, quindi ne dispone come meglio crede, uccidendoli, ferendoli, maltrattandoli, stuprandoli, facendo loro del male… se mi state per dire che ciò avviene perché è il world building vi dico subito che no, il mondo entro cui si svolge La maschera è un accennato periodo medievale da sword & sorcery dove la vita dei poveri vale sì poco, ma non così poco. Difatti Shyar è l’unico che deve subire angherie allucinanti.
E comunque no, è così solo perché l’autrice a quanto pare trova sensuale la possessione a 360°, mentre io penso che sia una cosa da disagiati mentali.
«Non fissarmi così sorpreso. È la verità, odio sentire i tuoi singhiozzi ed i tuoi lamenti. Io che non mi sono mai curato di chi calpestassi anche solo per accaparrarmi una caraffa d’acqua adesso sono ridotto a farmi degli scrupoli a punire un servo subordinato e ribelle come te.»
Anch’io odio l’idiota, ma te sei simpatico. Proprio un simpaticone.
Seppia – Shyar. Quando lo lessi per la prima volta pensai che il soprannome Seppia fosse irridente, un epiteto con accezione negativa giusto per evidenziare la condizione di orfano e quindi di reietto del ragazzo, invece no. Seppia perché il magnifico colore dei suoi occhi ricorda il fulgido inchiostro in cui ci si potrebbe anche specchiare. Ah-ah. Logico, no?
Shyar è l’altro paziente che soffre di insostenibile leggerezza dell’essere, con un QI a una cifra e un’autodistruttiva sindrome borderline (Freud avrebbe fatto i salti di gioia in casa con questi due) che lo fa comportare come l’idiota che sembra essere.
L’idiota è un quindicenne qualunque che per guarda caso è una fonte, ovvero è un prisma che catalizza energia magica e quindi lo psicotico di cui sopra decide di tenerlo stretto a sé per usufruirne/proteggerlo/scopacchiarselo/usarlo come punching ball/dissanguarlo/umiliarlo come meglio crede. L’idiota è anche bellissimo. Così a caso.
Lui è l’uke (il passivone) della situazione, indi per cui si trova continuamente addosso le mani di chiunque, gente che gli vuole bene e che gli vuole male, e pare che tutti vogliano portarselo a letto in un modo o nell’altro – quando è chiaro che solo lo psicotico Xew avrà questo grande onore.
«Temo che sia il tuo maledetto influsso di sorgente a dannarmi lo spirito; che potere puoi mai avere se riesci ad irretire persino me? Che luce puoi emanare se anche così sfigurato sei in grado di far sospirare metà delle donne perbene di questo palazzo, e languire di desiderio l’altra metà?»
L’idiota non manca di presentare qualche tratto tipicamente GaryStuesco.
Il cretino all’incirca dopo 20 pagine di romanzo si scopre perdutamente innamorato dell’amico Stregone Pazzo, e la motivazione è il peggior tentativo di adduzione di sindrome di Stoccolma che io abbia mai letto.
Xew è un sadico esasperante imprevedibile che non perde occasione di umiliarlo da soli o in pubblico, e Shyar cosa fa? Si maledice ma gli piace da matti tutta quell’attenzione. Viene ripetutamente violentato, percosso con la forza e trattato malissimo dal boss, e lui cosa fa? Stringe i denti e si fa pare mentali su quanto Xew in realtà sia un uomo solo e tristo e che in realtà potrebbe ricambiare i suoi sentimenti. Xew gli leva metà del viso per marchiarlo come sua proprietà, e lui cosa fa? Invece di convincersi a levare le tende si fa fare una maschera attirando così ancora di più l’attenzione sulla loro condizione di squilibrati.
L’idiota è un idiota perché ha anche un carattere da idiota. Nel romanzo Shyar viene descritto come un ragazzo forte, coraggioso, sveglio, impertinente, ribelle, indipendente, ma togliendosi le fette di salame dagli occhi è facile accorgersi che non è nient’altro che un bamboccio piagnucoloso e privo di spina dorsale, con forti tendenze masochistiche.
Ha un padrone collerico, isterico e che gli ha già ripetuto ottomila volte cosa dovrebbe o non dovrebbe fare o dire, e l’idiota come si comporta? Fa e dice senza remora, del tutto ingenuamente, frignando poi sul brutto carattere dell’amico Xew e autocommiserandosi per qualunque minima cosa, quando è lui il primo a essere la causa dei suoi mali.
Invece si mise a piangere. Tutta la paura e la vergogna scossero il suo corpo sottile in singhiozzi violenti. Le lacrime scesero come cascate sulle sue guance, su quella bianca e liscia e su quella orribile e distrutta. Pianse sempre più forte, incapace di contenersi.
Questo sarebbe struggente se succedesse una sola volta. Non in ogni singolo capitolo. Ripeto: in ogni singolo capitolo.
Personaggi secondari. Un’unica accozzaglia di nomi messi lì come pretesto e veicolo per le patetiche interazioni dei primi due.
In libri veri i personaggi secondari sono elementi importantissimi perché hanno un impatto sullo svolgimento pur mantenendo un’esistenza a sé stante che non è dipendente dai protagonisti, bensì le loro vicende si incontrano e si intessono in modo da rendere la storia agli occhi del lettore imprevedibile, ampliata, costantemente sul punto di svoltare e prendere una direzione originale, arricchendo così le possibilità che avvengano colpi di scena.
Qui no. Qui si tratta di macchiette insipide prive di carattere, o buonissimi o cattivissimi, senza importanza alcuna.
Cosa succede
Non granché.
In questo libro di possono riconoscere due situazioni tipo, che si ripetono in loop fino alla fine. Vediamole un po’.
Situazione A. Shyar sta svolgendo il suo lavoro senza fare nulla di male, distratto dai suoi pensieri, i pochi momenti in cui sembra una persona che non andrebbe presa a sberle. Xew flippa per motivi suoi che a nessuno è dato sapere, e comincia a insultarlo, picchiarlo, mortificarlo in maniere che dipendono dal luogo e dalla circostanza.
La notte di diverse settimane prima, quando Xewon era entrato furioso nella sua stanza ed aveva visto i libri, Shyar aveva pensato che glieli avrebbe tolti. In realtà quello non era stato il suo primo pensiero. Prima c’erano stati in ordine: mi punisce, mi spella vivo, mi uccide. Invece Xewon lo aveva violentato. Una cosa che a lui non era neanche passata per la mente.
Eh, l’amico Xew è un tipo originale, mica come te.
Situazione B. Xew sta svolgendo una delle sue mansioni che non hanno spiegazione e nessun peso per la trama (sì, beh, quell’insieme di azioni che somiglia vagamente a una trama) e si sta facendo gli affari suoi, quando Shyar si comporta deliberatamente e consapevolmente da idiota, tipo facendo qualcosa che in precedenza Xew gli aveva detto di non fare, o dicendo cose che Xew gli aveva ordinato di non dire. Xew flippa per motivi che stavolta noi comprendiamo, e in tutta onestà in queste occasioni avrei volentieri aiutato lo Stregone psicotico a randellare Shyar perché tanta stupidità è avvilente.
«Tu! Misero sciocco moccioso! Non vuoi andartene? Dopo tutto quello che hai fatto ancora pretendi di volere o non volere qualcosa?». Gli avvicinò la torcia alla maschera così tanto che lui iniziò a sudare sotto la creta, «Hai pianto ed implorato, mi hai minacciato con un coltello, hai cercato di suicidarti e ora non vuoi andartene?», urlò, «Ti spedirò a calci fuori di qui se sarà necessario, o ti caccerò a suon d’incantesimi! Mi hai stancato, Shyar! Io detesto i ricatti morali, di qualsiasi genere! E chi ne fa uso per i propri scopi ottiene solo il mio disprezzo!». Rise, una risata priva di umanità e d’ironia, «Non sei neppure stato capace di sgozzarti; la prossima volta gettati da un balcone, ma fai in modo che sia ben alto e che la sua testa sia la prima cosa a sfracellarsi al suolo. Forse riuscirai ad impedire a chicchessia di tenerti in vita!».
Devo ammettere che dopo questa sfuriata ho voluto brindare con un po’ di Litio con l’amico Xew perché finalmente ha espresso il pensiero di qualunque persona dotata di buonsenso.
Queste due situazioni si mischiano e si reiterano l’una dopo l’altra in una tiritera inframmezzata da scene di sesso usato come punizione o – più raramente – come premio. Un amore che non ha ragione di esistere ma sboccia random per giustificare il perché Shyar sia così patologicamente attaccato a bellicapelli Xew, qualche scontro esterno per dare ossigeno a questa palude di futilità, e un finale che si è protratto di un centinaio di pagine di troppo quando sarebbe stato meglio per tutti – non solo per i lettori, ma anche per la storia stessa – che Shyar fosse riuscito nel suo intento di suicidarsi. Invece no.
Invece il simpatico Xew ha condannato a morte l’intera città per salvare il cretino, quando con la sua dipartita non solo i demoni distruttori non sarebbero stati liberati, ma anche gli stregoni brutti e cattivi (parenti di Xew, l’impronta comportamentale è la stessa…) sarebbero rimasti a mani vuote e niente di brutto sarebbe successo.
Coerenza: non pervenuta.
Lo stile
Sicuramente starete pensando “Liv, si sa che te sei una stronza e deprechi le storie che non ti garbano, ma non puoi sputare anche sulla scrittura, eh!”
Posso eccome.
Lo stile è banale, pacchiano, semplicistico e piatto.
Le scene di sesso vengono descritte in maniera meccanica, prettamente grafica, come se l’autrice, dimentica di dover scrivere un libro e non una sceneggiatura, avesse elencato uno per uno i passaggi dell’atto sessuale. La narrazione spesso si ripete, la terminologia è la medesima per ogni “amplesso”, che risulta un’esposizione fredda e svilente, troppo visuale e poco coinvolgente, con un lessico clinico che stronca sul nascere una qualsiasi parvenza di romanticismo o lirismo.
Di tanto in tanto troviamo una parola aulica visibilmente incastrata a forza in un contesto che non riesce a contenerla, le descrizioni sono mediocri, non trasmettono nulla e anzi impoveriscono quasi l’idea personale che il lettore è costretto a farsi mano a mano per far sì che le sue sinapsi non si addormentino.
Gli errori di world building sono così tanti che è difficile ricordarseli (e io avevo già le crisi epilettiche per ‘sto schifo).
Gran parte del romanzo si svolge all’interno della loro dimora signorile. Il fatto che l’amico Stregone e il servo Shya vivano in una villa fa credere al lettore che Xew sia impaccato di soldi, dunque perché la dimora è:
1. mandata avanti soltanto da Shyar che nonostante sia un semplice ragazzo deve svolgere le mansioni di cuoco, cameriere, delatore, sguattero?
2. in decadenza? Soltanto poche stanze sono abitate e adoperate.
In realtà il motivo che si intuisce – non è mai stato chiarito, tutto è nebuloso, tutto è lasciato alle ipotesi – è che la dimora in antecedenza fosse appartenuta a qualche altro stregone prima di Xew, come dimostrano la biblioteca, i sotterranei, la tana della belva… Peccato che questi dettagli siano stati inseriti a casaccio, senza un precedente reticolato di base che potesse dar loro un fondamento: sono stati infilati perché utili all’occasione, il resto è stato arginato e sciorinato alla carlona.
Per non parlare dei comportamenti illogici che tengono Xew e i sopraccitati personaggi secondari che gli reggono il moccolo.
L’autrice ha preferito prendere un’ambientazione preconfezionata e l’ha fatta sua, ok, è un diritto suo e di quelli che amano lo sword & sorcery. Peccato che poi abbia stravolto le usanze, i costumi, le abitudini, le maniere dei ricchi nobili che in occasione della festa di matrimonio si sono comportati come popolino, facendo scenate plateali di fronte agli occhi di centinaia di presenti, lavando i propri panni sporchi in pubblico senza curarsi delle regole della buona società che invece vogliono che i problemi si tengano assolutamente privati.
Gli atteggiamenti sono stati volgarizzati e travisati, le personalità nobiliari – che in questo specifico background sono coloro che hanno sempre la situazione in pugno, che non danno spettacolo, che non fanno parlare apertamente di sé ed evitano di mettersi in imbarazzo per i loro modi irascibili o incivili – hanno fatto la parte degli animali da circo, Xew in testa.
Lo squallore.
Complice della bruttura della scrittura, nonché dei numerosi errori di forma, è il pessimo editing.
Indovinate? Le d eufoniche ci sono. TUTTE. E con TUTTE intendo anche la mistica apparizione dell’od, roba che credevo fosse stata rimossa dall’editor della Bibbia.
Editor: Mi sono accorto che nell’Apocalisse ci sono molti od…
San Paolo: Ah, lo sapevo, io gliel’avevo detto a San Pietro di non metterle! Tolga, tolga!
Editor: Le tolgo?
San Paolo: Sì sì, che fanno vecchio.
Nella narrazione non c’è armonia concettuale né stilistica, non ci sono figure retoriche degne di essere ricordate, i vocaboli a volte vengono persino usati a sproposito, e la padronanza del linguaggio è scarsa.
Ragaor sfoderò un sorriso obliquo, motteggiando un’espressione ilare.
Motteggiare è un verbo che descrive un’azione con un significato preciso, non serve come ausilio per altre particelle superflue che risultano ridondanti.
Il fuoco era dovunque, dilagante come un olio in un plastico per bambini.
Confesso di non aver capito la ragione per cui inserire una similitudine del genere, visto che avrebbero potute essercene centinaia più calzanti. Ma a ogni modo ci troviamo in un mondo medievale in cui la plastica e i materiali artificiali non esistono, quindi… perché adoperare una formula totalmente fuori luogo?
Mistero.
Cosa ne penso
Penso che se fosse stato un auto pubblicato mi avrebbe fatto meno impressione.
La maschera non è un romanzo, è una sceneggiatura rozza e grezza di uno yaoi, un’opera di origine NON occidentale che promuove una libertà di espressione adoperando una formula che richiama il vuoto dei contenuti, l’assenza dello scopo che non sia quello dello scopare, che mira a sconfiggere una mentalità che qui non c’è MAI stata, e che quindi non vede una causa.
Al di là di questo, da qualunque parte si guardi il libro si incontrano strafalcioni preoccupanti che mi hanno fatto rabbrividire per la loro morbosità.
Shyar è un ragazzino, l’amico Xew un uomo, un uomo forte e aitante dal carattere disturbato che ama malmenare e abusare sessualmente di un individuo inferiore a lui, questo perché – secondo il testo – lo ama ma ha paura di questo sentimento, perciò cerca di spegnere il fuoco dell’amore con la violenza.
Questo è uno dei concetti più assurdi, improponibili e deliranti che io abbia mai letto. Attuali? Sì, senz’altro. Ma questa questione è trattata con una leggerezza, con una frivolezza, con una stupidità che fa venire la pelle d’oca dal disgusto e dal nervoso.
«Posso darti piacere, posso elargirti momenti sereni se non propriamente belli. Ma non aspettarti solo quello. Ciò che dicevi ieri è la pura verità, potrò regalarti qualche parola gentile di tanto in tanto, ma se mi troverò di pessimo umore nulla potrà cambiarmi, o fermarmi, e allora tu dovrai subire. Capisci ciò che sto dicendo?»
Raccolse i pensieri, cercando di ragionare.
«Intendete dire che non siete abbastanza sano di mente da riuscire a mantenere un comportamento coerente?»
«È così».
Il disgusto e il nervoso ovviamente arrivano anche perché l’individuo di posizione inferiore, Shyar, accetta la sua condizione e anzi, pare divinizzare questo amore che prova. Ci sono punti in cui si rende conto che queste dinamiche sono malate, ma come prima il tutto viene liquidato in poche righe, una spiegazioncina alla Tanto è fantasy che in questo caso potremmo sostituire con Tanto è yaoi, e via, altro capitolo altra molestia!
Di colpo capì che Xewon era tutto ciò che aveva desiderato negli anni di orfanotrofio, e seppe che lo aveva perduto per sempre. L’indifferenza che lo aveva caratterizzato fin dall’infanzia sarebbe risorta dentro di lui ed avrebbe preso il posto di quell’amore contradditorio ed impossibile, ma proprio per questo così forte.
Ma un trenino non era più bello e non faceva meno male?
E va beh, tralasciando l’orribile messaggio che questa storia trasmette, potremmo concentrarci sulla trama logorante che è un ripetersi continuo degli stessi concetti, ciclicamente c’è un ribadire generale che non conduce a niente di concreto, che anzi è soggetto a numerose incoerenze che non hanno fondamento, come l’amore stesso di Shyar che è un sentimento messo perché appunto doveva per forza esserci una love-story come pretesto per vederli accoppiarsi, o come il brutto carattere di Tonio Cartonio versione Stregone dei Veleni – che da quel poco che si può intuire ha un’origine che affonda nel suo passato, ma che è così scontata e classica che San Paolo aveva detto all’editor di togliere anche quella.
Per concludere
Sono stata una lettrice di yaoi da adolescente, e posso affermare che per mia fortuna non mi sono mai imbattuta in una storia mal gestita e anormale come questa, dove la violenza fisica e l’umiliazione pubblica sono il metro di giudizio dell’affetto dal seme (attivo) per l’uke, e dove tra l’altro vengono motivate con una faciloneria che ha dello sconcertante.
Lo stile è insignificante, poco curato e infantile, il tono della narrazione pretende di essere elegante e ricercato quando in realtà è solo artificioso e non risulta naturale, rasentando il grottesco parodistico. Peccato che questa non è una parodia e anzi si vuole persino che venga presa sul serio.
Troppi punti esclamativi e regole ortografiche inventate a braccio, capacità espressive grossolane e primitive.
Francamente non mi interessa un cippa se questa roba è nata come yaoi, come forma di una qualsiasi bizzarra protesta italiana, come parto di un’immaginazione che avrebbe fatto meglio ad allevare alghe piuttosto che scrivere. Fa pena.
Fa pena dal punto di vista della storia, fa pena dal punto di vista formale, si salva soltanto il formato hardcover perché fa la sua porca figura nella libreria.
Tanto è yaoi non è una scusante.
Alcune opere dovrebbero rimanere nei cassetti.
O venire lette per Halloween. Perché convogliano il sonno dopo la paura.