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[Recensione] La poesia di Vasco Rossi di Antonio Malerba

Creato il 29 dicembre 2012 da Queenseptienna @queenseptienna

La poesia di Vasco Rossi. Una interpretazioneTitolo: La poesia di Vasco Rossi – Una interpretazione
Editore: Zona
Autore: Antonio Malerba
Num. Pagine: 88
Anno: 2012
ISBN: 9788864383156
Prezzo: 10,00 €
Voto[Recensione] La poesia di Vasco Rossi di Antonio Malerba

Nota: Articolo scritto in collaborazione con Federica Dotto

Contenuto: (dal retrocopertina) Ascoltando le canzoni di Vasco, ma anche leggendone le interviste e gli scritti, si ha la sensazione di una grande coerenza e profondità di significati. Tra i temi più sentiti: il sentimento del finito, la crisi delle verità, la vita come caos, il male di vivere, il valore consolatorio della musica.

Recensione:

Partiamo dalla canzone Sally , in epigrafe al libro e in particolare da un verso (QUI interpretata da Fiorella Mannoia):

[la vita] è tutto un equilibrio sopra la follia

Si tratta di parole profonde e illuminanti che giungono dopo una serie di periodi semplici, quasi banali, come una rivelazione inaspettata, buttata là con noncuranza.

Vorremmo ricordare le parole di Vecchioni nella canzone I poeti (che merita un articolo a sé, ci penseremo su):

I poeti son litri di vino bevuti per noia,/per scriver parole davanti al mattino,(…)

Vecchioni non ha una visione orfica della poesia: essa non ha il compito di svelare nulla, piuttosto quello di rendere la realtà più vera, più pulsante, fosse anche attraverso il sogno (Niente ha più realtà del sogno, cantava in Per amore mio più di vent’anni fa). É un monito che si fa invito a diffidare di predicatori e profeti.

Posto questo discrimine e riallacciandoci al titolo di questo saggio, in che senso si può parlare di poesia in Vasco Rossi? É un predicatore, un profeta, un casinista? Pensiamo di no.

Tornando al testo di Sallyla follia di cui si parla è il caos, confuso con quel nulla informe e privo di senso che è eternamente presente nella letteratura del Novecento. Fin qui niente di nuovo. Certo: dire che la vita è equilibrio sopra la follia rende, davanti ai nostri occhi, un’immagine bellissima, poetica, commovente e dolorosa insieme. Si crede di costruire, di dominare, di controllare la strada ma è la strada a indicarci la direzione, finché essa non svolta o si biforca. Cosa c’è sotto, su cosa poggia, quale abisso nasconde?

Abbiamo avuto forti perplessità nel binomio Vasco Rossi- Nietzsche. Ci sembrava all’inizio un pretesto: Nietzsche ha dato l’impronta a tutto il Novecento, disperdendosi tra decadentismo, qualche residuo di romanticismo, nonché nel coacervo di strade che hanno condotto al nazismo, al fascismo, a dottrine delle quali il filosofo non può comunque essere incolpato.

I tormenti di Vasco Rossi fino a che punto rispecchiano quelli del filosofo? Appartengono al numero di quelli che lungamente hanno turbato l’uomo (non solo) moderno: la certezza del continuo divenire (idea greca, eraclitea) che disgrega la realtà circostante e l’io che scivola nell’angoscia più profonda.

Anche il tema della dissoluzione del soggetto (capitolo 2) è troppo caro a tanta letteratura per riferirla solo a Nietzsche. La realtà è inconoscibile perché in costante mutamento e sfuggente a ogni tentativo di catalogazione. Non consente di trovare un nido, un rifugio nemmeno in se stessi, perché l’io si è disgregato in infiniti frammenti di vetro. Siamo figli di frammenti. Potremmo immaginare un bimbo che stringe una bella quantità di biglie nel pugno chiuso. Questa unità apparente (folle e capricciosa, perché no?), questo equilibrio precario sono rotti solo che egli decida di aprire la mano e disperderle tutte. Che sia questo il segreto della creazione? Talune finiranno lontanissime da lui, altre ai suoi piedi. Eppure ciascuna di esse porta con sé il ricordo di quella mano, del calore di quel pugno chiuso. Sono io quell’essere o è qualcun altro? E questo qualcun altro esiste o è un nulla soltanto? Ci sarà mai qualcuno dentro il nulla che mi risponderà? questo il terrore di Nietzsche.

La realtà è inconoscibile e sfuggente, nemmeno il pensiero ha sostanza alcuna, è solo una proiezione interiore del linguaggio. Le scoperte stesse di Nietzsche, per forza di cose, lasciano il tempo che trovano e non sono definitive.

L’unico perno, l’occhio del ciclone intorno cui tutto il resto turbina, è l’equilibrio instabile di un gioco di forze di segno contrario che si equivalgono, in una sorta di somma algebrica che produce lo zero. Che  questa somma algebrica rappresenti il nulla tanto celebrato e temuto? Che  sia questo gioco a somma zero la forza che ci tiene insieme e ci permette di esistere, anche se per poco? Temiamo il nulla senza sapere che, appunto, da esso origina la vita stessa e quel che noi siamo.

In Vasco Rossi, solo esaminando il verso della canzone sopra ricordata, e procedendo nella lettura di questo saggio, c’è qualcosa di più rispetto a Nietzsche.

Vasco Rossi non è un filosofo ma un poeta, e l’uso che fa del linguaggio è diverso da quello filosofico. Almeno in poesia, il linguaggio colma moltissimi vuoti, trasfigura la realtà. Se il linguaggio filosofico è riuscito a disgregare la realtà e l’individuo, il linguaggio poetico può percorrere una strada inversa. La realtà non dipende certo da quello che diciamo.

La poesia in Vasco Rossi è un linguaggio alternativo, più semplice, disincantato. Vi è l’ironia, il gioco, la lente magica che rovescia la vita svelando il non senso, la vanità delle regole, persino della morale e delle ideologie, dei concetti. Ma, è quello che ci interessa, è anche lo strumento che ci consente di mantenerci liberi, permettendo di ricreare un’esistenza secondo altre prospettive, come il gioco innocente di un bambino.

Nietzsche prima, e Vasco poi, pongono la loro attenzione sulla mancanza, nelle cose, della loro finalità ultima: la vita stessa è senza scopo, è costituita di eventi, di cose che accadono, che succedono. Illuminante la canzone Cosa succede in città: in pratica non dice niente, il testo è inconsistente, fragile. Eppure è trascinante, c’è tutto. Ha uno sviluppo sottotono, salvo qualche verso notevole spuntato per caso o per dispetto (quando c’ho il mal di stomaco con chi potrei condividerlo…).

D’accordo: la vita è senza scopo, ma nelle canzoni di Vasco sembra che la vita stessa sia lo scopo, cosa assai notevole.  In questo modo assume un suo significato quella sorta di canto entusiastico, bambinesco: guarda lì, guarda là, che confusione… Le pietre, più eterne di noi, non possono certo farlo.

Con la defezione della ragione viene meno il principio di causa e di effetto e la necessità di spiegare attraverso di esso la realtà circostante, priva di ordine e di centro. Cosa paradossale per un filosofo, Nietzsche manca di un sistema, di una dottrina di senso compiuto come quella hegeliana o kantiana. Non vi è nessuna verità da predicare ma soltanto l’accadere: c’è qualcosa non da spiegare, ma da raccontare. Ecco che invece di filosofare a vuoto si deve raccontare, narrare: quindi emerge la letteratura, l’arte.

Tornando a Cosa succede in città, questa in fondo è una canzone che non spiega niente ma racconta di qualcuno che guarda da una parte e dall’altra, e che racconta ciò che osserva. Se verità c’è, è quella dell’occhio che guarda, di chi racconta. Vasco Rossi è un testimone oculare di qualcosa che accade. Non ha importanza di che si tratti.

Tanti giri di parole, santo cielo, per scoprire, in fondo, l’acqua calda: il bambino, come anche un gattino, vive il presente senza curarsi di ieri e di domani, senza dannarsi l’anima pensando al mare caotico che lo circonda. Attraverso questo esempio si percepisce la saggezza di aggrapparsi a ogni attimo di vita: sia esso il gioco, il lavoro, la famiglia. Il nulla, se c’è, si nasconde dietro le inutili speculazioni che girano intorno alle cose senza comprenderle. Tutti i giorni ogni singola possibilità di felicità va afferrata perché rappresenta lo scoglio al quale ci si può aggrappare in quel continuo naufragio che è l’esistenza.

Il libro di Antonio Malerba è raffinato e colto, spinge alla riflessione. Lo puoi contestare, puoi storcere il naso, però non ti lascia indifferente. Questo articolo – forse uno dei più elaborati – ne è una prova. Il volume esige un piccolo sforzo di pensiero e la lettura tra le righe. Non è male immagazzinare in tredici capitoli il pensiero di Nietzsche (direi che non manca niente) attraverso le interviste e le canzoni di Vasco Rossi.

Il parallelismo che l’autore costruisce tra Vasco Rossi e Nietzsche non è pretestuoso, non solo perché il cantautore richiama il filosofo nelle interviste. C’è da dire piuttosto che Vasco ha scoperto in Nietzsche cose che già sapeva, (l’ha letto tardi, dopo): si tratta sempre di temi e problematiche di lungo corso, da tempo entrati nel comune sentire. Magari inconsapevolmente e non in forme così elaborate. Tutti i poeti, i cantautori, i filosofi, i registi sono figli di Nietzsche per il solo fatto di essere vissuti nel Novecento.  Vasco Rossi non ha scoperto in Nietzsche quei temi, ma ne ha trovato una forma più o meno compiuta, ricevendone conferma. Da decenni si parla di morte dell’anima, morte di Dio, della ragione e quindi di relativismo e di decostruttivismo. La scienza stessa è costruita su palafitte (ricordando il titolo di un saggio di Marcello Pera).

Anche mettere insieme poesia e Nietzsche sembrava all’inizio azzardato. Nietzsche in fondo non è un filosofo tout court ma uno scrittore, volendo persino un poeta che ha scelto nell’aforisma il modo congegnale di esprimersi. Quindi il titolo, in apparenza fuorviante, è centrato.

A conclusione ci permettiamo una piccola riflessione:

per quanto ci riguarda sarebbe ora di archiviare tutte queste paure irrisolvibili e di porre l’accento su quelle impalcature fragili che costruiamo ogni giorno sopra il caos. Ebbene sì: sono proprio questi equilibri sopra la follia a dare lo scacco al nulla, nel senso di accettarlo come parte di noi stessi. A eccezione di Vasco sembra che non se ne sia accorto nessuno.

 

Davide e Federica Dotto


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