Questa recensione sarà breve e decisamente diversa dalle solite. Non riesco a essere al cento per cento razionale, quando libri così mi ispirano quel sarcasmo che cerco spesso di metter da parte per guardarli in maniera oggettiva; ci ho provato, di sicuro ho fallito, ma va bene anche così ogni tanto, no?
Buona giornata, amici!
Titolo originale: The first time we met
Serie: Oxford blue #1
Autrice: Pippa Croft
Traduttrice: Valentina De Rossi
Editore: Newton Compton
Anno: 2015
Pagine: 352
Lauren Cusack, figlia di un senatore, sta lasciando Washington per le guglie sognanti di Oxford ed è pronta per questa sfida. Ora che è veramente una studentessa di master, Lauren è determinata a vivere al meglio ogni minuto. Ma poi incontra Alexander Hunt e tutto cambia. Alexander, un aristocratico di una bellezza devastante che quando è al meglio è pensieroso ed enigmatico. Lauren prova a resistere alle sue avances ma lui ormai lui ha posato lo sguardo sulla giovane americana, e quello che Alexander vuole, poi lo ottiene.La cautela cede presto a una strabiliante passione e Lauren è risucchiata nel mondo privilegiato di Alexander fatto di stile e fascino. Ma non è tutto oro quello che luccica e Alexander è un uomo con un oscuro passato, e il desiderio potrebbe non essere sufficiente per conquistare tutto.
Avrei voluto postare la recensione che ho scritto di getto su Goodreads terminata la lettura, ma poi ho pensato che no, qualche parola in più per questo romanzo va spesa, visto quanto è brutto. Ma non solo brutto, anche scritto male e pieno di farneticazioni che, se apertamente condannano lo stalker di turno, in realtà tacitamente portano ad accettare tutto quanto, dai regali consolatori ai comportamenti minacciosi come ormai nei romanzi rosa non si manca mai di fare. E mi fa dire una sola cosa: Pippa di nome e di fatto.
La protagonista de La prima volta che ti ho incontrato, Laurel, è talmente il prototipo della belloccia da fyccina da essere americana, biondissima, intelligente – credo che a un certo punto si faccia riferimento anche al suo QI ma non ne sono proprio sicura – e ricca, ma necessariamente deve avere qualche difettuccio che ce la renda umana: ecco che veniamo scoprire che è un po’ goffa e che ha qualche problema coi genitori che non la capiscono ma non è dato sapere di più. Ora che l’abbiamo resa più vicina, l’immedesimazione da parte delle lettrici è salva! Ad ogni modo, dicevo, è così il modello della solita protagonista banalotta che la prima sera ad Oxford se ne esce con una frase che palesemente ci mostra la sua furbizia assieme alla modestia che la caratterizzerà per tutta la narrazione: “Forse è una mia impressione ma mi sembra che tutti non facciano che guardarmi”. Non le passa neanche per l’anticamera del cervello che magari i compagni la fissano perché è la ragazza nuova, o perché se ne sta impalata
Non starò qui a dire quanto sia orrido che si continui a dipingere un omosessuale come una donna, perché affermazioni di questo tipo credo di commentino da sole e voglio ben sperare che lascino il tempo che trovano quelle discussioni idiote su chi faccia l’uomo nelle coppie gay. Dirò però che è squallido come passi per un comportamento normale, dovuto alla bellezza di Laurel, quello di due differenti soggetti maschili, di cui uno arriva addirittura a metterle le mani quasi negli slip non appena la conosce e l’altro a metterle un sonnifero nel tè: ragazze, sappiatelo, se vivete in questo romanzo e uno allunga le mani su di voi, ubriaco o sobrio che sia, è sintomo di un apprezzamento e dovreste esserne orgogliose. Ma pure tanto, quindi non osate pensare l’opposto.
Aggiungerò che mi ha urtato i nervi il modo in cui Laurel dimentica in un batter di ciglia un’aggressione, anzi due, solo perché si ritrova davanti il bono della situazione (anche se non ho ben chiaro come riesca a riconoscerlo a primo impatto dopo averne visto solo le chiappe ma tant’è): ovviamente ricco in maniera inquantificabile, chiaramente latin lover che seduce e lascia scie di cuori infranti al suo passaggio, naturalmente psicopatico in azione che sbuca in ogni dove, la segue come un segugio e le regala cose a caso prima ancora che le abbia parlato per più di due minuti. Inevitabile intuire come andrà a finire: sesso, litigi, sesso, litigi, e via dicendo, dove ogni volta si arriva allo scontro su problemi che mai vengono risolti ma semplicemente sopiti con scene di sesso di cui facevamo a meno – perché sono anche descritte con un linguaggio da far accapponare la pelle e ben lungi io dall’essere puritana -, finché non si ripresentano, ingigantiti, pronti a schiacciare e mettere di nuovo in crisi la coppia.
Procedimento vecchio, solite conclusioni, non c’è niente in questo romanzo che mi abbia convinta. E, stavolta, devo anche aggiungere l’aver trovato orrori grammaticali da far rizzare i capelli anche a Mastro Lindo: la congiunzione o con l’acca e il verbo avere senza si rincorrono un po’ per tutto il testo e mi hanno ulteriormente inorridita. Passi una scrittura davvero ma davvero povera, scarna al limite del telegrafico e incapace di coinvolgere a livello emotivo, il cui unico pregio è quello di scorrere via così veloce che nemmeno ci si rende conto, ma che in un testo possa trovare ripetutamente errori grammaticali mi fa seriamente mettere in dubbio la revisione del testo. Non lo accetto in un self, figuriamoci in un prodotto edito.
La serie Oxford blue è così composta: La prima volta che ti ho incontrato – The first time we met | The second time I saw you | Third time lucky
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