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Recensione: La voce invisibile del vento di Clara Sánchez
Creato il 04 marzo 2015 da Chaneltp @CryCalvaQuanto è bello poter finalmente leggere così tanto *_*
LA VOCE INVISIBILE DEL VENTO
Garzanti | 361 pp. | €9,90 Spagna, località di Las Marinas. La luce si è ritirata verso qualche luogo nel cielo. Il buio della notte avvolge le viuzze del paese e il mare è nero come la pece. Julia ha perso la strada di casa: è circondata dal silenzio e sente solo la voce del vento che soffia dal mare, e profuma di sale e di fiori. Non ricorda cosa sia successo: era uscita a prendere il latte per suo figlio, ma sulla strada del ritorno all'improvviso si è ritrovata in macchina senza soldi, documenti e cellulare. In pochi minuti quella che doveva essere una vacanza da sogno si è trasformata in un incubo. Per le strade non c'è nessuno, le case sulla spiaggia sembrano tutte uguali e Julia non riesce a ritrovare l'appartamento nel quale l'attendono il marito Felix e il figlio di pochi mesi. Prova a contattarli da un telefono pubblico, ma la linea è sempre occupata. Tutto, intorno a lei, è così familiare eppure così stranamente irreale. Tra le vie oscure e labirintiche c'è solo una luce, quella di un locale notturno. A Julia non resta altra scelta che raggiungerlo, nella speranza di trovare qualcuno che l'aiuti. Qui, quasi ad aspettarla, c'è un uomo, un tipo affascinante, con la barba incolta e l'accento dell'Est Europa, che sembra sapere tante, troppe cose su di lei. Si chiama Marcus: Julia ha la sensazione di averlo già incontrato da qualche parte. Fidarsi di lui è facile. Eppure Marcus non è quello che sembra e nasconde qualcosa.
"Aveva scoperto che al risveglio gli sembrava di essere appena uscito da un altro posto dove vigono altre leggi fisiche, e dove uno può vedere se stesso mentre sta facendo qualcosa. A volte non si riesce neanche a ricordare quel posto, ma si sa che si è stati lì."
Un libro senza troppe pretese, una scrittura alquanto immatura e poco coinvolgente accompagnata da un filone narrativo che, sotto un altro riflettore, avrebbe avuto più luce e sfumature piuttosto che apparire come una tela monocromatica con appena qualche rigagnolo in risalto. Lontani sia dal tecnicismo di Oliver Sacks che dalla psicoanalisi di Freud, il sogno, e con esso la mente umana col suo castello labirintico di ingranaggi, connessioni, meccanismi di autodifesa e riparazione, riposano come protagonisti interessanti alla base del libro schiacciati tuttavia da una monotona voce che li racconta con poca convinzione e sentimento, quasi restando a distanza dai protagonisti stessi e dalla loro vicenda. Cosa rappresentano effettivamente i sogni? Siamo consapevoli di essere tra le braccia di Morfeo? Riusciremmo a distinguere la realtà dall'illusione? Julia non è in grado di farlo, si perde, non riesce a intravedere una via d'uscita, per quanto si sforzi sembra tutto così reale e contemporaneamente così vano ogni suo sforzo. Ma è soltanto finzione, una creazione onirica e surreale: in seguito a un incidente stradale, Julia entra in uno stato di "coma" durante il quale, non essendo consapevole di ciò che è realmente accaduto, continua a percorrere le strade di Las Marinas, sospesa sul ponte impervio della sua mente, riscontrando sensi di colpa e momenti taciuti del passato, senza aver più limiti, punti di riferimento, una conoscenza certa e reale, ma con l'unico scopo di ritrovare Felix e Tito. Proprio nel sogno spesso le nostre barriere decadono, le nostre paure diventano reali e i nostri sogni più taciuti sembrano essere chiari all'orizzonte: il Super Io perde potere e si lascia sopraffare dalla voce suadente dell' inconscio che, dagli angoli più remoti delle sbarre a cui è incatenato costantemente, emette una litania ipnotizzante che necessita di essere ascoltata, spesso vera quanto l'essenza stessa dell'uomo. Eppure questo senso di smarrimento, questa doppia realtà, che avrebbe potuto far risultare il libro più interessante, non riguarda il lettore: sin dalle prime pagine l'autrice infatti smonta, mattone per mattone, l'elemento avvincente e misterioso svelando, forse anche a causa dell'esigenza della doppia narrazione, l'elemento discriminante tra realtà e sogno sino a raggiungere un finale scontato, prevedibile, che lascia l'amaro in bocca. L'amaro di un libro mal costruito e mal scritto. Non c'è nulla che risalti, che attragga particolarmente l'attenzione del lettore. I personaggi sono piatti, statuette di legno incomplete privi di vita per buona parte della narrazione che si muovono senza particolari connotati: soltanto in alcuni momenti il lettore prova compassione per il povero Felix e complicità per Julia (odiata personalmente dal sottoscritto per il carattere infedele) e la madre Angelica (sembra che proprio la forza dell'amore materno sia in grado di riportare Julia indietro), mentre per il resto l'unico sentimento che aleggia è soltanto noia e indifferenza non essendoci nessun colpo di scena, nessun cambiamento drastico di direzione, nessuna novità, ma soltanto un continuo dilungarsi su descrizioni e attimi insignificanti. Eppure il sogno è qualcosa di imprevedibile, sempre nuovo, che non può sottostare a nessun controllo, che cambia scenari, musiche, voci, volti, pensieri e sensazioni.
"Si immagini un bosco molto esteso in cui i rami si incrociano uno con l'altro tanto da lasciare a malapena filtrare la luce. Si immagini una foresta tanto fitta che si riesce appena a penetrarvi, e un firmamento oscuro, insondabile e trapunto di piccole stelle. Proprio per il fatto che si trova dentro di noi, questo universo è ancora più difficile da esplorare."
VOTO:
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