[Recensione] Le età dell’amore di Carmine Rosano

Creato il 11 maggio 2012 da Queenseptienna @queenseptienna

Titolo: Le età dell’amore
Autore: Carmine Rosano
Editore: EEE
ISBN: 9788866900177
Numero pagine: 46
Prezzo: € 4,99
Lo potete trovare QUI.
Voto:

Trama:
Tre storie, tre coppie di amanti, tre età, ma un solo e unico sentimento, profondo, viscerale e immutabile: l’Amore, quello con la A maiuscola; quello che da ragazzino ti spinge a sfidare il pericolo per dimostrare alla ragazzina di cui ti sei invaghito che sei degno di lei e della sua ammirazione; quello che da uomo adulto ti spinge sull’orlo della follia, al punto che l’unica alternativa possibile ti sembra un atto estremo; quello che da uomo maturo ti porta, paradossalmente, a mettere in atto i comportamenti più ridicoli e infantili; l’amore, insomma, che porta al quasi totale annullamento di sé e dei propri desideri pur di soddisfare quelli della donna amata, un sentimento però di cui non è possibile fare a meno.
Il filo conduttore che attraversa e tiene insieme queste tre storie, così diverse eppure così simili, è appunto la completa dedizione alla figura femminile e la conseguente inesausta ricerca di una fusione intima e totale con la donna, che è vista come l’altro se stesso, la propria metà a cui ricongiungersi: questa per l’autore sembra essere la vera essenza dell’Amore.
Dal punto di vista strutturale il romanzo è organizzato in tre brevi atti episodici a sé stanti, intervallati da due intermezzi ancor più brevi, i quali si rivelano però funzionali all’indagine di una medesima declinazione del sentimento amoroso in tre periodi della vita diversi, la giovinezza, l’età adulta e l’età matura; con una scrittura semplice e uno stile lineare, l’intento dell’autore è pertanto quello di aprire una piccola finestra disincantata sul mondo e sull’esperienza amorosa, tratteggiando, da pittore qual è, più che altro brevi scorci, rapidi quadretti, quasi come se la pagina fosse una tela dipinta con veloci ma intense pennellate.

Recensione:
Cominciando a leggere la struttura tipica di un testo teatrale diviso in atti, come preannunciato dalla copertina, viene spontaneo pensare alle classiche unità di tempo, spazio e luogo proprie dei più classici libretti composti da prologo, atti ed epilogo. Invece si tratta di una serie di scene separate, tutt’al più collegate tra loro da un tanto semplice quanto velato particolare vagamente feticista, l’uso che la donna presente in ogni spezzone fa dei propri piedi e le sensazioni fisiche da essi generate.
Ogni frammento del testo mette sotto i riflettori differenti forme di amore e sottomissione, con personaggi diversi colti nell’arco di una vita intera ma accomunati da una posizione adorante ai piedi della persona che amano: dalle prime, timide esperienze giovanili al disincanto dell’età adulta.
È a mio parere un filone letterario e di pensiero messo molto in secondo piano, e anche nella vita reale chi sceglie di mettersi totalmente a disposizione di qualcuno da venerare come una divinità viene nella maggior parte dei casi considerato un fallito cronico o uno psicopatico. È difficile infatti spiegare cosa scatta nella mente di un uomo di carattere remissivo quando si trova davanti a una dominatrice capace di stregarlo con un solo gesto e portarlo al limite dell’estasi mentale soltanto comportandosi da “padrona”: si sente nelle vesti di un cavaliere cortese, mentre la “Dea” in questione non vede in lui più di un giullare o un servo facile da accontentare con un accenno di attenzioni.
Tutto questo è molto ben descritto in poche pagine dai toni sempre più malinconici che sconfinano anche nel noir, fino alla scelta della morte, dell’omicidio che è anche suicidio. In particolare l’ultimo atto innalza di molto i toni, avvicinandosi alla parabola discendente della vita: c’è chi per anni vive nutrendosi del ricordo di una persona ammaliante, rinchiudendosi in una voluta solitudine che protegge la memoria, e per combinazione dopo dieci, venti, trent’anni finisce per incontrarla di nuovo solo per rendersi conto che della donna amata non è rimasto più niente, che il tempo ha cambiato ogni cosa.
A livello stilistico è un libro breve ma denso, anche se ogni tanto l’editing non perfettamente curato lascia qualche virgola che distorce leggermente il senso della frase. Di sicuro non è una lettura scorrevole, ma dati i temi riflessivi e perlopiù privi di dialogo uno stile ermetico è forse la scelta più efficace per dare concretezza e credibilità a quanto viene descritto. Va letto con calma e con un occhio di riguardo per le sensazioni trattate: un gesto all’apparenza insignificante, come sfiorare per caso le dita della propria “padrona”, nasconde dietro di sé un universo di emozioni difficili da descrivere a parole. Proprio per questo mi è sembrato fin troppo breve, ma qui la mia opinione andrebbe troppo a scantonare nell’autobiografico; in generale, avrei magari apprezzato un approfondimento psicologico in più e una migliore descrizione dei vari protagonisti della scena, anche per prolungare la lettura di qualche minuto ancora.


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