Titolo originale: The Amazing Adventures of Kavalier and Clay
Autore: Michael Chabon
Editore: Rizzoli
Genere: Fiction storica, realismo magico
ISBN: 9788817101073
Anno: 2000
Pagine: 821
Prezzo: 11,90€
Gente, questa è roba seria. Michael Chabon è uno dei maggiori autori contemporanei, famoso per Il sindacato dei poliziotti yiddish, che ha vinto la tripletta di premi letterari del fantastico, ossia Hugo Nebula e Locus, e per quello che è unanimemente definito il suo magnum opus, il romanzo vincitore del premio Pulitzer Le fantastiche avventure di Kavalier & Clay.
Kavalier & Clay era da parecchio nella mia lista dei libri da leggere (assieme ai poliziotti yiddish), e sembra ora quasi ironico che, dopo tutto questo tempo e a lettura ultimata, il romanzo si sia rivelato una pessima lettura. Non perché sia scritto male – diamo a Chabon quello che è di Chabon: scrive come è lecito aspettarsi da un vincitore di premio Pulitzer – ma perché si tratta proprio di un brutto romanzo.
Anzi, blando più che brutto. Ecco, sì.
Com’è Le avventure di Kavalier & Clay? Blando. Non c’è molto altro da aggiungere.
Ma, per amore di reccy, aggiungiamocelo lo stesso.
Che cosa succede
Nel 1939, l’ebreo americano Sam Clay incontra per la prima volta il cugino Joe Kavalier, che è fuggito da Praga in una bara assieme al Golem e si è lasciato dietro tutta la sua famiglia. Joe è un escapista dilettante e un disegnatore più che in gamba. A Sam piacciono i fumetti, quindi il passo logicamente successivo è che Sam e Joe prendono accordi con un editore per pubblicare la loro serie a fumetti, sulla falsariga di Superman, che ha per protagonista un supereroe chiamato l’Escapista. E naturalmente è un successo.
In tutta onestà mi viene anche un po’ difficile spiegare per filo e per segno la trama, non perché sia astrusa o incomprensibile, ma perché, piuttosto, è estremamente dispersiva. E a un certo punto anche un po’ ridicola.
Si parte con il primo incontro tra Sam e Joe e a questa scena segue un lungo racconto non di come Joe sia arrivato dalla Cecoslovacchia agli Stati Uniti passando per il Giappone, ma di come abbia imparato l’escapismo, e poi – e solo poi – si parla della sua fuga. Che uno può anche dire: “Ok, ma l’escapismo è parte integrante non solo della storia, perché è dall’esperienza di Joe che Kavalier & Clay si ispireranno per creare l’Escapista”. Ok, però c’è bisogno di tediarmi per infiniti capitoli con minuziose descrizioni di sessioni d’allenamento e peripezie che, messe come sono, suonano solo come un lungo inciso? Ovviamente no, ma ovviamente a Chabon non interessa, perché Chabon deve vincere il Pulitzer, e il Pulitzer lo si vince coi virtuosismi stilistici.
Ok, dopo aver messo i suoi sogni di escapista nel cassetto, Joe deve vedersela con il fastidio di un’incombente invasione nazista. La famiglia Kavalier decide di utilizzare gran parte delle loro ricchezze (sono ebrei, quindi benestanti) per far espatriare il figlio negli Stati Uniti – che poi era la storia che questo flashback doveva mostrare, prima che l’annacquasse con quella luuuunga parentesi sull’escapismo – e separarlo, però, dal fratellino Thomas. Il (melo)dramma. Solo che – ovviamente – le cose non vanno per il verso giusto e – ovviamente – Joe deve trovare un nuovo modo per uscire dalla Cecoslovacchia. Lo fa grazie all’aiuto del suo maestro di escapismo, che lo chiude in una bara assieme, niente meno, che al Golem di Praga. Proprio così, dal niente spunta un elemento mitologico che non solo non avrà alcun peso nello svolgimento successivo della storia, ma che non sarà, se non incidentalmente e in un paio di casi, più nominato in seguito.
E il resto non è che sia da meno.
Finalmente negli USA, Joe si unisce a Sam nel realizzare una serie a fumetti – la grande passione del cugino. E realizzare le proprie passioni tramutandole in una fonte di reddito è difficoltoso, per cui ora la storia ci porterà a seguire le mille peripezie che i due ragazzi dovranno affrontare prima di vedere la loro storia pubblicata, vero? Nope! Sam parla con l’editore, l’editore dice yes e l’Escapista vede la luce. Oh, il realismo…
Poi abbiamo Joe che si innamora di Rosa, ma ovviamente è troppo tormentato dal destino della sua famiglia per potersi impegnare al cento percento in questa relazione e poi – questa è da raccontare per bene perché è il punto in cui ho realizzato che Chabon mi stava allegramente prendendo per il culo, me e il resto dei lettori, inclusa la giuria del Pulitzer – c’è tutto il sottoplot del fratellino che deve espatriare. All’inizio Joe investe tutte le sue energie (e i soldi guadagnati con l’Escapista) per far tornare a casa Thomas, ma quando la guerra scoppia le sue speranze si assottigliano. A un certo punto, grazie a Rosa, Joe riesce ad accordarsi affinché il fratello venga trasferito negli USA a bordo di una nave che trasporta bambini e quindi si deve aspettare che Thomas, da Praga, arrivi in Portogallo, dove la nave partirà. Poi però nell’orfanotrofio portoghese in cui Thomas è momentaneamente alloggiato scoppia un’epidemia di non mi ricordo che malattia contagiosa e l’orfanotrofio viene messo in quarantena. Passa ancora un fottio di tempo e alla fine, grazie all’intervento di Elanor Roosevelt, niente meno, Thomas riesce a partire, ma è a quel punto che Joe viene raggiunto dalla notizia che la nave è stata affondata dai nazisti. Ripeto: i nazisti hanno affondato una nave carica di bambini uccidendo tutti i passeggeri. Immagino che ciò sia successo perché avevano mancato la nave che trasportava coniglietti e cagnolini batuffolosi. Cattivi nazisti, cattivi!
Una scatola di cagnolini, il nemico giurato di ogni nazista.
Intanto abbiamo Sam che cerca di venire a patti con la sua identità sessuale. Perché in un libro popolato di minoranze e outgroup un ebreo immigrato omosessuale è tipo una gallina dalle uova d’oro. Insomma, Sam conosce Tracy Bacon, che interpreta l’Escapista nell’adattamento radiofonico e se ne innamora, con tutti i conflitti del caso (e anche un luuuuuungo flashback sul suo rapporto con il padre, perché sì). Vorrei soffermarmi su questa relazione: un autore che letteralmente si fotte la rappresentazione del proprio personaggio. È l’unica cosa in tutto il romanzo che ho adorato – e che probabilmente non andava interpretata nel modo in cui io l’ho interpretata. Comunque, proprio quando Sam e Tracy pianificano di andare a vivere in California, la polizia fa irruzione nella villa in cui si stava tenendo una gayfesta a cui i nostri due struggenti e melodrammatici eroi stavano partecipando e li arresta tutti, tranne Sam che si salva facendo un soffocotto a un agente dell’FBI. Per inciso, sì, è questo lo “scioccante stupro ghei” si cui internet parlava. Non dirò che non è stato uno stupro, perché sarei nel torto, ma… scioccante? Really? Lo stupro in The Girl With the Dragon Tattoo è scioccante, internet, quello in Kavalier & Clay è l’equivalente di una recita natalizia dell’asilo delle suore. (Ironico, per altro, che su internet si possa accedere con la medesima facilità, da una parte, a recensioni che definiscono “scioccante” lo stupro gay di Kavalier & Clay e, dall’altra, a porno zoofilo con nani e clown.) Comunque sia – e scusate i mille incisi, manco fossi Chabon – Sam decide di non essere più gay e… smette di essere gay. E Tracy muore, perché la trama dice così.
Scoppia la guerra, Joe decide di arruolarsi per combattere i nazisti che gli hanno ammazzato il fratello (e i cagnolini e i coniglietti, non scordiamoci i cagnolini e i coniglietti!). Segue subplot #375782. È noioso e non ho voglia di addentrarmici. La guerra poi finisce e viene fuori che Rosa era incinta di Joe, ma poi Joe è partito per andare a combattere i Big Bad Nazi e lei è rimasta con le pive nel sacco. Ovviamente non si abortisce perché l’aborto è peccato anche se tecnicamente il Talmud dice che un feto non è una persona fino al momento del parto. E allora qual è l’unica cosa sensata da fare? Sposare il cugino nongay e mettere su famiglia, crescere il figlio mentendogli sul padre e sperare per il meglio. Poi Joe si fa vivo, a Rosa non sembra importare poi molto di essere stata impregnata e abbandonata come una vacca da monta e Sam è felice perché a) il suo socio è tornato, b) ora che c’è un altro personaggio eterosessuale nella vita di Rosa alla trama non serve più che lui rinneghi la sua identità sessuale e può tornare a essere gay!
E, bon, il libro finisce. Blandamente come era iniziato.
C’è chi ha amato questo romanzo. La motivazione che ho letto più di frequente è “se sei uno che ama i fumetti, questo è il romanzo che fa per te”.
Ora, io non sono affatto un affezionato dei comics, ma sono tutte stronzate. Kavalier & Clay non è affatto un romanzo che rende omaggio al mondo dei fumetti. Il picco di autoindulgenza in tal senso è il momento in cui Sam stesso denigra il fumetto – lo ricordo: la sua grande passione – come forma letteraria perché, sostiene, “è un genere inferiore”. E, in ogni caso, se questo è veramente un romanzo che parla di una passione, perché allora Joe e Sam riescono a pubblicare l’Escapista e a raggiungere il successo in un lasso di tempo addirittura inferiore ai flashback dei primi capitoli? Che storia di passione è se il successo è lì a portata di mano? Dov’è il conflitto?
Che cosa ne penso
Sapete che vi dico, cari miei? Questo non è un omaggio ai fumetti. Infatti, ora che ci penso, è più simile a un altro genere narrativo che ha avuto grande successo quasi contemporaneamente alla golden age dei fumetti e che ha retto bene fino agli anni Ottanta-Novanta.
Stando al romanzo, l’Escapista ha visto la luce nel 1939, per riflettere la creazione di Superman, risalente al 1938. Ebbene, un altro prodotto di intrattenimento rivolto alle grandi masse e caratterizzato da una struttura narrativa aperta e di ampio respiro, nasceva proprio in quegli anni, non a opera di giovani disegnatori, ma di un’attrice fallita che si manteneva insegnando storia del teatro di nome Irna Phillips. Un giorno, una compagnia radiofonica chiese alla Phillips di creare un dramma della durata di quindici minuti da mandare in onda dal lunedì al sabato che parlasse dei problemi di una normale famiglia americana. Il programma, Painted Dreams, andò in onda dal 1930 al 1932. Non fu l’ultima volta che il mondo sentì parlare di lei. Nel 1937, due anni prima che Kavalier & Clay se ne uscissero con l’Escapista, Irna Phillips creò e sceneggiò un altro radiodramma intitolato The Guiding Light. The Guiding Light ebbe un successo stratosferico e andò in onda, in radio, fino al 1956, mentre si trasferì in televisione nel 1952 per restarci fino al 2009. Ha fatto anche una capatina da noi in Italia, su Rete 4. Forse vostra nonna lo guardava (la mia sì), forse lo conoscete con il titolo tradotto, Sentieri. Forse vi ricordate perfino la stucchevole sigla.
Esatto, Le Fantastiche Avventure di Kavalier & Clay non è un omaggio al fumetto, è un omaggio alla soap opera. Solo così si spiega il melodramma che permea le 821 pagine del libro.
Michael Chabon non voleva scrivere un tributo al mondo dei fumetti, voleva vincere il Pulitzer, ecco perché ha sfornato un romanzo sornione, piacione, che tenta sfacciatamente di accontentare tutti. Vuoi delle minoranze? Abbiamo ebrei, immigrati e perfino qualche gay. Vuoi del dramma? Abbiamo la struggente storia del fratellino che deve arrivare negli Stati Uniti e anche i nazisti, perché ogni romanzo è migliore (e immediatamente gradito alla critica) se ci metti dei nazisti. Vuoi una travagliata storia d’ammmoreH? Abbiamo pure quella. Vuoi del fantasy (ma non troppo che i romanzi di genere puzzano e non vincono premi letterari)? Ecco che il Golem di Praga fa un inutile comparsata. Vuoi l’atmosfera dei magici anni Trenta? Eccoti un po’ di name dropping: Salvador Dalì, Elanor Roosevelt, Stan Lee, Orson Welles. Sì, sono solo nomi messi così a caso, ma vuoi mettere quanta atmosfera fanno? Cioè, Joe e Sam vanno a una festa e alla festa c’è Dalì! Poco importa che la scena non avrà alcun impatto sul futuro della storia e sullo sviluppo dei personaggi, c’è un VIP, e quindi è automaticamente una figata, giusto?
In conclusione
Gente, io questo romanzo l’ho detestato più di un fantasy scritto col culo da una tredicenne italiana in overdose da Licia Troisi. Ho trovato ridicolo il modo in cui tentava disperatamente di farsi amare e lo stile inutilmente prolisso di Chabon ha fatto da colpo di grazia.
Ultimo chiodo sulla bara, la traduzione italiana. Che dire che è fatta con il culo è farle un complimento. Dico solo una cosa, perché mi è rimasta impressa: “football” diventa “calcio americano”.
Quindi, a mo’ di commento finale, riprendendo la quarta di copertina dell’edizione italiana:
Che rapporti ci sono tra il Golem di Praga, il Mago Houdini e un eroe dei fumetti di nome Escapista?
Assolutamente nessuno, se non la smania di un autore di vincere il Pulitzer.
State alla larga da questo romanzo, lo dico per voi.