Ed è quello di giudicare un film di cui non si è letto il libro solo, e giustamente, in quanto film mentre, nel caso abbiamo letto il testo da cui la pellicola è tratta, ne parliamo quasi sempre confrontandolo al libro.
Ed è una predisposizione mentale impossibile da togliersi di dosso.
Io, ad esempio, non riesco a parlare de Le Particelle Elementari senza confrontarlo con l'enorme (in senso qualitativo) libro di Houellebecq. E non è giusto perchè il 70% dei film sono sceneggiature derivate, e se questo onesto e bel film deve essere sminuito da me per colpa dell'inevitabile confronto con quel mostro di parole scritte, allora tutti gli altri film dovrebbero avere lo stesso trattamento.
Anzi, in verità nessuno dovrebbe averlo, visto che ogni film deve esser preso per quello che è, ossia un'opera che sussiste da sola.
Proverò quindi a giudicare il film senza troppi paragoni, ma non sarà facile.
In realtà vorrei provarci anche perchè, ieri, quando ho visto che LaEffe trasmetteva il film, mi sono fiondato immediatamente in libreria a (ri)comprare il libro con l'intenzione poi, magari, di parlarne qua nel blog. Ecco, meno cose dirò qui del libro quindi (senza riuscirci credo), più ne avrò da dire dopo.
Chiariamoci subito, Le Particelle Elementari è un ble film.
Chi non conoscesse il libro (riferimento N°1) potrebbe anche definirlo un ottimo film.
Il regista è stato bravo soprattutto nel riunire tutta la meglio gioventù della recitazione tedesca (anche perchè questo è un film di persone e dei loro rapporti, non tanto di intreccio) e nel creare un montaggio davvero convincente.
Ha preso la bellissima Martina Gedeck (Le vite degli altri, la Banda Baader Meinhof), Franka Potente (Lola Corre, i Bourne, i Che) e il per me grandissimo Moritz Bleitbreu (Munich, Soul Kitchen e il The Experiment tedesco), assicurandosi gran parte del risultato finale.
Due fratellastri, Bruno e Michel, sono accomunati dall'esser stati abbandonati da piccolissimi dalla madre hippie, una donna che ha dedicato la propria vita soltanto al piacere più sfrenato.
Uno, Bruno, è cresciuto con delle turbe sessuali impressionanti, roba da cercare di farsi masturbare da una sua studentessa (è professore) o da farlo lui stesso eccitandosi con la propria madre.
L'altro è tutto l'opposto, uno scienziato di altissimo livello, un uomo che cerca di racchiudere l'intera vita in formule matematiche. Una persona che mai ha amato e mai ha provato passioni, se non quelle per la propria materia.
Uno l'opposto all'altro, tanto dirompente e (auto)distruttivo l'uno, quanto trattenuto e freddo l'altro.
Li accomuna un altro aspetto, l'infelicità delle proprie esistenze.
Vi assicuro che cercare di affrontare le tematiche che un soggetto come questo tira fuori è impresa improba. E preferisco farlo quando, se ci riesco, parlerò del libro. (lo ammetto, questa è una rece non rece, sono molto trattenuto nello scrivere)
Diciamo solo che il film è un ottimo dramma, con tinte anche grottesche e divertenti, che cerca in qualche modo di far venire fuori il messaggio di quanto la vita sia una fredda entità quasi completamente affidata al caso, un collage di esistenze che si trascinano infelici e alle quali accadono cose perlopiù terribili.
La felicità, la speranza, la serenità sono montagne quasi impossibili da raggiungere e, proprio quando pensiamo di essere in cima, una valanga ci riporterà a valle.
Michel che trova l'uccellino morto in gabbia e lo butta nella spazzatura è l'immagine simbolo di questo film (la freddezza della morte, la prigione in cui viviamo, la nudità e inutilità del corpo morto gettato, non a caso una scena simile si ripeterà anche dopo, quando in modo grossolano e irrispettoso verrà riesumato il corpo della nonna).
Viviamo di pulsioni sessuali irrefrenabili, il sesso è veramente il motore di tutto.
Oppure viviamo l'opposto, vite "matematiche" fuori da qualsiasi pulsione vitale. Non è un caso che Michel stia lavorando sulla clonazione, ossia sulla riproducibilità in massa del genere umano. Ma è un genere umano senza umanità, riprodotto in laboratorio.
Però nel film quel cinismo, nichilismo e assoluta freddezza che trovavamo in Houellebecq (2) viene qui un pò mitigata.
Ad esempio in quei flash back in cui il colore prende vita, come se nei ricordi potessimo veramente raggiungere quello che nella vita di tutti i giorni non abbiamo la forza di vivere.
O come nella colonna sonora che dà emozione e prova a instillare vita nel film. (il libro (3) è un libro senza colonna sonora, se mi passate l'espressione)
O come quel finale in cui ci sarà un suicidio in meno rispetto al libro (4), particolare da non sottovalutare, importantissimo, perchè cambia completamente il messaggio di fondo.
Tutto però è freddo, il sesso, lo studio, i rapporti vitali di causa-effetto. Facciamo sì cose che ci fanno sembrare di esser vivi, viviamo sì nell'eccesso (vedi la comunità di Bruno) ma è un eccesso soltanto apparente, che nasconde tanti piccoli inferni individuali dentro.
Le donne, forse solo loro, hanno ancora quella fiammella viva di passione, amore e voglia di credere in qualcosa.
Ma il destino è beffardo.
E lo è sempre, come quello che ha colpito i nonni di Bruno, uno morto per funghi e l'altra per un brodo bollente cadutole sopra.
E il padre di Bruno chirurgo plastico (silicone e allungamento del pene, altri freddi e banali modi dell'uomo per migliorare la propria condizione), e la madre morente sopra la quale urlare il proprio fallimento e disperazione, e quei calcoli tutti esatti che Michel scopre dopo anni di avere realizzato.
Ha trovato la sua quadratura del cerchio, il suo senso della vita, in dei freddi calcoli matematici.
Forse, lui è felice così.
E in una spiaggia, uno dei luoghi forse più evidenti ed evocativi della banalità della fauna umana (non è un caso che sia ultima immagine del film) forse nell'orizzonte si intravede qualche piccola speranza.
Ma l'uomo ne esce davvero come piccola cosa comunque.
E persino una gatta sembra guardare disgustata un ragazzo che si trastulla l'uccello.