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Recensione: Le Streghe di Salem di Rob Zombie
Creato il 05 maggio 2013 da Alessandro Manzetti @amanzettiLa storia in sintesi: la protagonista, Heidi Hawthorne è una DJ di una stazione radio della cittadina statunintense di Salem (Massachusetts), celebre per il processo delle streghe del 1692, che viene rievocato nelle scene di apertura del film. In questa radio dove lavora Heidi (Sheri Moon Zombie) arriva una scatola di legno che contiene un misterioso disco in vinile. Il pacco è firmato dai Signori. Prende vita la parte soprannaturale del film; il veicolo, il maelstrom della pellicola è rappresentato dalla musica disturbante contenuta in quel vinile, che desta in Heidi, e in altre donne della città, visioni e arcani richiami da un lontano passato. Un passato che trova il modo per rendersi di nuovo protagonista a Salem, attraverso Heidi e un carontico trio di sorelle che vive nel suo condominio. Il riferimento a Salem può far sospettare il film di banalità o abuso di certi temi, viste le tante opere (in letteratura e nel cinema) ispirate al processo delle streghe, a partire dalla Lettera Scarlatta di Hawthorne, dal quale Rob Zombie prende in prestito il cognome per la sua protagonista (e compagna di vita). Effettivamente la storia è l'anello debole di questo film, che impedisce di parlare di un capolavoro, ma la regia, la fotografia, la musica, la chiave narrativa, la originale narrazione psichedelica, ci fanno guardare oltre le pecche della trama e di alcuni dettagli trash e grotteschi. Alla fine del film, a botta calda, ho condiviso con l'amico Antonio Tentori le forti emozioni ispirate dall'interessante percorso psichedelico proposto da Rob Zombie con le sue Streghe di Salem. Antonio ha trovato una ottima definizione, quella di "horror lisergico" per sintetizzare l'anima del film, il suo nucleo innovativo. Proprio questa componente affascina terribilmente, presentandosi ai nostri sensi in una perfetta fusione di immagini e musica che, insieme a un sapiente uso della macchina da presa e l'atmosfera surreale di una splendida fotografia, mostrano il talento di Rob Zombie e la qualità indiscutibile di questo film. L'esperienza, per capirci, è quella di ingoiare per cena un bel pezzo di pejote nero, una qualità sconosciuta che Rob Zombie ha scovato da qualche parte e ci fa assaggiare. Non so se quel che ho vissuto e ciò che ho incontrato durante la proiezione possa essere paragonato a un incontro con Mescalito (lo confesso, ho letto Castaneda) ma non posso affermare con sicurezza di essere rimasto sulla poltrona rossa della sala per un'ora e mezza. Rob Zombie mi ha portato lontano, non solo con gli occhi. Il suo mondo allucinato è coinvolgente si tocca e sembra reale. Proprio quando sembra più assurdo e folle. La regia è accutata, per chi ama il cinema non è difficile risalire alla formazione di Rob Zombie vivendo le sue scene, le sue inquadrature. Lo stesso regista ci mostra il suo background, volutamente, dai riferimenti al cinema italiano (Bava ma anche Fulci) al grande amore per Stanley Kubrick, che si dipana in pieno nelle scene del corridoio del condominio di Heidi, che ci portano in un luogo di mezzo, tra l'inquietudine di The Shining e l'onirico di Eyes Wide Shut. L'angocia e la compomente visionaria che Rob Zombie riesce a evocare, una volta che mette in campo il soprannaturale, sono ereditate da David Linch, per la interpretazione di una realtà parallela, di un mondo con tante porte. Qualcosa che ricorda anche alcune strutture narrative di Polanski. Ma Rob Zombie ci mette molto del suo, e l'intepretazione "lisergica" della regia, come direbbe Tentori, è integralmente sua, un approccio originale e personale che pur dipanandosi da una ragnatela di conoscenze e passioni, tra le quali la musica, trova il suo sviluppo, la propria strada. Il concerto rock che finalizza il culmine della storia, una delle tante interpretazioni originali e insolite proposte dal film, è gran bella farina del sacco di Rob Zombie. Questo accade solo quando esiste il vero talento. Assistiamo troppo spesso, nel cinema di genere, a vie di mezzo, a semplici emulazioni e visioni di seconda mano. Non è assolutamente il caso delle Streghe di Salem di Rob Zombie. Discorso a parte merita la musica, ci mancherebbe altro, parlando di Rob Zombie. Qui la "farina" di Rob Zombie, della quale parlavo prima, si fa apprezzare nella sua grandezza. Straordinaria la scelta e l'assemblaggio di brani stranianti come quelli di John 5 e Griffin Boice (sentite qui), in una danza infernale con classici della musica come il Lacrimosa del requiem mozartiano, indossato splendidamente da Heidi in una kurbickiana scena del concerto dei Signori. L'uso di sequenze cartoon, che si offre come cerniera di mondi e emozioni diverse, e la predisposizione multimediale del film, che riesce a coinvolgere tutti i sensi, completano l'approccio cinematografico innovativo e integrale di Rob Zombie. Il cast è buono, spiccano la protagonista (Sheri Moon Zombie) l'amico Herman (Jeff Daniel Phillips) e Lacy, una delle tre sorelle (Judy Geeson). Sotto tono altri attori, come lo studioso Bruce Davison e Dee Wallace. Insomma, molti attendevano il capolavoro di Rob Zombie; questo film, smontato dalla critica, sembra aver mancato il bersaglio, ma di poco. Una trama davvero lisergica, fuori da ogni schema, avrebbe potuto riuscire nell'intento. Pensando anche ai ritorni economici di questo progetto, probabilmente l'appeal del nome Salem sul cartellone ha suggerito al regista e ai produttori di cercare la via di mezzo, ma come dicevo prima sulla regia, non è questo il modo per andare lontano, nonostante il grandissimo talento. Ma il gran colpo è vicino davvero, complimenti Rob Zombie. Non dimentico che fare grande cinema di genere con un budget di 1,5 miliori di dollari non è affatto facile. Aspetterò con ansia un nuovo pejote nero e un nuovo oscuro Mescalito. Stavolta però senza i paramenti di nessuna leggenda o clichè di genere, e con tutti attori di livello, senza compromessi.
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