Tu, il figlio che non avrò, mi chiedo quali sarebbero stati i tuoi tratti se ti avessi dato la luce: angolosi come quelli di mio padre o morbidi come quelli di quest'uomo, S. che ho amato per cinque anni, con una stupefacente costanza.
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Editore: Barbès
Collana: IntersectionsTraduttore: Tommaso GurrieriData di pubblicazione: 18/07/2012Prezzo: 12 Euro
Pagine: 96pp.
ISBN: 978-88-6294-318-5
Sinossi: In una società in cui la sfera privata è diventata uno spettacolo permanente, l’immagine di perfezione della donna obbliga a essere madri, ad avere e ad amare dei figli. Scrivendo a un figlio che non avrà mai, Linda Lê si emancipa da questa imposizione sociale e culturale e racconta, con tutto l’amore possibile, perché ha deciso di non entrare in questo schema, perché ha deciso di non avere un figlio, scelta tanto più difficile e dolorosa perché il suo uomo, S., vorrebbe averlo. E l’autrice, in questo libro che ha sollevato un acceso dibattito in Francia, lo spiega raccontando con grande sincerità la propria infanzia, una madre onnipresente e forte, un mondo tutto al femminile, una vita che l’ha portata a creare un desiderio di sé diverso da quello che è richiesto dal mondo. Karen Blixen scriveva «Non si può andare a cercare il Graal con un passeggino». Linda Lê vede di fronte a sé un figlio che non saprebbe amare, un destino che la porterebbe ad abbandonare tutto ciò che costruisce la sua identità, e di fronte a un sistema in cui l’espressione della libertà diventa intollerabile allo sguardo di un mondo che esige una conversione al sistema familiare, la scrittrice rifiuta ogni forma di durezza, ogni pretesa di una regola costruita da chiunque altro che non se stessa. Al contrario, è tutta la dolcezza del proprio amore che lei offre a questo figlio che non esisterà mai, ma che vive continuamente, in ogni istante, nel suo luminoso immaginario.
Recensione: Nel 1975 Oriana Fallaci scrisse una delle sue maggiori opere, Lettera a un bambino mai nato, dedicata al figlio, poi perso. L’opera, dichiaratamente femminista, affronta i temi fondamentali del movimento degli anni sessanta e settanta — se si considera il suo secondo sviluppo; il primo, infatti risale al XIX secolo. Esso cerca di far valere i diritti delle donne e il suo riconoscimento «effettivo» nella società. Tra i tanti temi dibattuti, per lo più relativi all’educazione e al ruolo di moglie e di madre, l’aborto è quello che ha fatto «scalpore»; famose e importanti furono, infatti, le estenuanti battaglie relative alla legge n.149 del 1978. Il romanzo della Fallaci si colloca esattamente sulla scia del femminismo e, di più, interiorizza il suo carattere ideologico.Questa riflessione è importante affinché si possa comprendere un testo come quello scritto dall’autrice vietnamita, Linda Lê, Lettera al figlio che non avrò. Si tratta del primo lavoro tradotto e pubblicato in Italia dalla casa editrice Barbès. Infatti, l’autrice è conosciuta soprattutto all’estero per le sue opere in lingua francese.Al di là del titolo, certamente analogo rispetto a quello della Fallaci, anche la Linda Lê ha scritto un libro — che ha tutte le caratteristiche tipiche del saggio breve — in cui espone le ragioni principali che l’hanno portata a non desiderare un figlio.
«Non saprei rinunciare a quello che amo, non mi potrei mai annullare per un altro essere, mi costerebbe troppo. Non credo che si debba diventare madre solo per rispondere a uno schema socialmente diffuso. Senza contare che procreando, spesso, ci si scorda di essere ancora donne amanti o mogli. Ma il rischio maggiore, per me, sarebbe quello di riversare su un figlio le aspettative deluse, le aspirazioni frustrate, un ideale di perfezione: che carico per un bambino.»
Parole, queste, che fanno discutere ma che, allo stesso tempo, sono fondamentali per comprendere i motivi per cui la donna — prima ancora che scrittrice — ha scelto di non essere madre e di non vivere, in prima persona, le gioie — ma anche le difficoltà — che ne derivano. In effetti, in una società in cui la sfera privata si riversa su quella pubblica e, anzi, ne è influenzata notevolmente, anche la maternità è diventata — ma lo era già in passato — un «terreno fertile» su cui discutere e imporre i ruoli sociali. È la società a imporre i modelli — talvolta improbabili — che la compagine femminile farebbe bene a raggiungere. La donna deve necessariamente incarnare l’immagine della perfezione; «obbligata», com’è, a essere «madre e moglie impeccabile». Dunquenon sempre, e non tanto, riesce a coniugare il ruolo di madre con quello di lavoratrice. Il lavoro, infatti, toglie molte energie ma soprattutto tempo a disposizione per la cura della casa e dei figli. Con ciò non si vuole, di certo, intendere che si debba «necessariamente» scegliere una delle due strade, ma in un’ottica femminista prevale questa «corrente di pensiero». La situazione mostra, perciò, quanto la società sia condizionante e, di più, tenta di spettacolarizzare la maternità. La Big Mother del libro della Lê non è altro che la personificazione della società stessa che, proprio come farebbe il Big Brother orwelliano, controlla costantemente le donne. Tuttavia, la scrittrice si emancipa da questa impostazione sociale e culturale:
«Concentrata su me stessa, bibliolatra, inesperta, non avevo la minima nozione della struggle for life. Né madre né moglie, mi sfiancavo nell’essere un’inventrice della letteratura senza aderire a nessuna parrocchia. Eremita, andavo fuori di testa a forza di fare il vuoto intorno a me» (pag.43).
La sua decisione dipende, in gran parte, dall’amore e dal rispetto per le generazioni future. È una scelta sofferta, tanto più che il suo compagno S., vorrebbe avere un figlio. Ma, secondo l’autrice, un uomo non può comprendere appieno il ruolo della donna e le sue effettive responsabilità. Con Lettera al figlio che non avrò, Linda Lê ha sollevato un acceso dibattito in Francia; tuttavia espone le sue idee con la massima sincerità, motivando la sua decisione in funzione del proprio vissuto: «una madre onnipresente, un mondo tutto al femminile, una vita che l’ha portata a creare un desidero di sé diverso da quello che è richiesto dal mondo.», questi sono i motivi principali della sua scelta. L'autrice, quindi, rifiuta ogni pretesa regola e preferisce la dolcezza dell’idea di avere questo figlio ipotetico, alla durezza di una società che non potrà esserle d’aiuto. E, in fondo, come afferma anche Oriana Fallaci:
«Perché avrei dovuto, mi chiedi, perché avresti dovuto? Ma perché la vita esiste bambino! Mi passa il freddo a dire che la vita esiste, mi passa il sonno, mi sento io la vita. Guarda s’accende una luce. Si odono voci. Qualcuno corre, grida, si dispera. Ma altrove nascono mille, centomila bambini, e mamme di futuri bambini: la vita non ha bisogno né di te né di me. Tu sei morto. Forse muoio anch’io. Ma non conta. Perché la vita non muore» (da Lettera a un bambino mai nato).
Le due scrittrici, in realtà, vivono diversamente la possibile condizione di maternità. Tuttavia credono che la vita — reale, o per lo meno il suo pensiero — sia incessante nella mente e, soprattutto, nel cuore di chi pensa che qualcosa di straordinario sia possibile.
(A cura di Maila Tritto)
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