Magazine Cultura

[Recensione] Mi chiamo Chuck – Aaron Karo

Creato il 17 settembre 2012 da Queenseptienna @queenseptienna

[Recensione] Mi chiamo Chuck – Aaron KaroTitolo: Mi chiamo Chuck. Ho diciassette anni. E, stando a Wikipedia, soffro di un disturbo ossessivo-compulsivo
Autore: Aaron Karo
Editore: Giunti
Traduttore: Marco Rossari
ISBN: 978-8809759800
Num. Pagine: 288
Prezzo: 12.00€
Voto: [Recensione] Mi chiamo Chuck – Aaron Karo

Trama:
Charles, detto Chuck, ha diciassette anni e si lava le mani continuamente, controlla anche cento volte di seguito che le piastre dei fornelli siano spente e non va mai a dormire senza aver fatto la pipì fino allo sfinimento. Ha un amico del cuore, Steve, l’unico a cui confida le sue stramberie e una sorella, Beth, bella, normale e piena di amici che lo ignora fino a negargli persino l’amicizia su Facebook. La sua giornata è costellata dalla ripetizione di gesti, regole maniacali che lui stesso si è imposto per non perdere del tutto il controllo di sé. E poi ci sono le Converse: ne possiede decine di paia di ogni colore che ha abbinato ai vari stati d’animo. Converse rosse: arrabbiato; gialle: nervoso e così di seguito. I genitori, però, sono sempre più preoccupati e, nonostante le rimostranze di Chuck, decidono di spedirlo da una psichiatra. L’arrivo di una nuova compagna di classe e il desiderio di aiutare il suo amico bullizzato convinceranno Chuck a prendere sul serio i suoi sintomi e a iniziare una terapia.

Recensione:
Un libro da cui mi ero aspettata qualcosa di più.
Di nuovo la vostra Livin si cimenta nella recensione di un libro che parla di una qualche strana malattia (Credevate che mi fermassi all’autismo?) e passiamo al disturbo ossessivo-compulsivo! Non guardatemi così, e soprattutto smettetela di dire che in mezzo a certa gente mi ci trovo bene.
Ad ogni modo, Chuck, il protagonista, è un diciassettenne con una patologia che lo costringe ad avere tante piccole manie – come controllare troppe volte che le piastre elettriche della cucina siano spente, assicurarsi per quattordici volte che il lucchetto dell’armadietto sia chiuso, fare una marea di liste solo per poi rifarle di nuovo, fini a se stesse. Dopo averlo scoperto quasi per caso grazie a Wikipedia, Chuck viene convinto dai suoi a iniziare una terapia che dovrebbe aiutarlo a guarire, anche se non sarà facile né tantomeno un percorso breve.
Ho apprezzato molto le descrizioni della vita di Chuck, la particolarità dei suoi comportamenti e il modo spigliato con cui venivano narrati, senza mai divenire pedanti o pietosi, ma continuando ad essere sempre esaustivi ed eloquenti. Quello che ho apprezzato molto meno – e che ha fatto abbassare di molto il voto che altrimenti sarebbe stato alto – sono stati i personaggi stereotipo e la storia banalotta.
Una sorella minore che è popolare, figa, gnocca, l’esatto contrario di Chuck; è inoltre una vera stronza senza cuore che se ne frega di quello che succede e passa il suo tempo su Facebook o flirtando coi bulletti del liceo.
Un migliore amico che fa da spalla, sempre pronto a consolare il protagonista, sostenerlo e sopportarlo, senza mai abbandonarlo. Beh, quasi mai.
Una nuova alunna arrivata nella stessa classe di matematica di Chuck, bellissima e dolcissima, perfetta, gentile, simpatica, e di cui ovviamente il nostro eroe si innamora.
Adesso non sto a spiegarvi come si svolge la vicenda, ma diciamo che ve lo potete immaginare quasi a menadito. Purtroppo la trama pecca di disarmante prevedibilità.
Avrei di gran lunga preferito qualcosa di più onesto, più crudo e realistico: nella vita le storie così tanto a lieto fine sono rarissime, soprattutto se si pensa che le persone con qualche anomalia comportamentale hanno molte più difficoltà degli altri, e gli altri – dal canto loro – non sono sempre così ricettivi e comprensivi. Penso che una storia forse un po’ più sofferta ma meno utopica avrebbe reso questo romanzo estremamente più valido.
Inoltre molti dei personaggi che si muovono tra queste pagine sono piatti, che sanno di già visto, con le caratteristiche tipiche di uno young adult nella media e conseguente scarso spessore psicologico, che ovviamente penalizza anche le sottotrame che si vengono a creare, rendendole banali e superflue. L’impressione è quella che l’autore si sia impegnato nel disegnare un protagonista in ogni sua sfaccettatura, emozioni, difficoltà, piccole vittorie – cosa che gli è riuscita – e abbia pensato che ciò bastasse per reggere la struttura dell’intera storia, senza preoccuparsi di aggiungere un punto di contatto tra lui e la normalità dei personaggi secondari se non in modo superficiale che non ha reso affatto l’idea. Purtroppo non bastava.
Mi chiamo Chuck comunque è un libro carino, perfettamente leggibile e divertente, che esplora un’altra delle tante facce diseguali dell’umanità. Un romanzo simpatico e divertente, nulla di speciale, e che sarebbe potuto essere un capolavoro se sviluppato meglio.


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :