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[Recensione] Minchia di re – Giacomo Pilati

Creato il 08 agosto 2013 da Queenseptienna @queenseptienna

[Recensione] Minchia di re – Giacomo PilatiTitolo: Minchia di re
Autore: Giacomo Pilati
Editore: Mursia
ISBN: 9788842544203
Num. Pagine: 196
Prezzo: 13,00€
Voto: [Recensione] Minchia di re – Giacomo Pilati

Trama:
In una piccola isola siciliana tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento si consuma la storia di Pina, una ragazza che per sfuggire a un destino di sottomissione e inseguire un sogno d’amore si trasforma in uomo con la complicità silenziosa di un intero paese. Pina diventa Pino e la sua nuova identità la consegna a una nuova esistenza dove tutto ciò che a una femmina sarebbe proibito diventa possibile: la libertà, il potere, l’amore per un’altra donna.

Recensione:
Dopo pochine pagine dall’inizio ero scettica su quanto avrei potuto apprezzare questo romanzo, e il motivo è tra i più banali: la prosa è mischiata a numerosi elementi di dialetto siciliano, così come la costruzione sintattica di molte frasi, che mi hanno fatto inciampare un poco nei primi capitoli.
Poi, mano a mano che entravo in confidenza con la narrazione e che la storia prendeva forma, ho cominciato a farmi guidare dall’intreccio e dal racconto di Pina che più cresceva e più era in grado di delineare vicende controverse, urticanti, drammatiche, e anche tragicomiche.
Minchia di re è ambientato in una delle regioni in cui il maschilismo è più tradizionalista, inveterato, pressante, dove le neonate sono malvolute e le donne servono solo accanto al focolare, dove sono gli uomini a tenere le redini di tutto ciò che conta, e la società patriarcale è ferrea, un monolite che pare impossibile sradicare.

No, tu sei di tuo padre e tuo padre è come Dio, lo rappresenta dentro le quattro mura della tua casa. Se non ubbidisci a tuo padre non vuoi bene al nostro signoruzzo e lui poi ti manda all’inferno.

È in questo clima che nasce Pina, figlia dell’uomo che dirige gli operai nelle cave di tufo e che dà loro da mangiare e di che vivere. Pina ha la lingua lunga e svelta, fin da piccola riflette poco prima di dire ciò che pensa, e per questo la sua giovinezza passa tra l’indifferenza degli affetti e le percosse, fino al giorno in cui viene gettata in una cantina in cui rimane per due anni e in cui forse sarebbe rimasta per sempre, se solo la famiglia non avesse accettato la sua rinascita.
È in quel momento che Pina capisce che è l’apparenza che conta, non la sostanza, e che quando il potere – ovvero suo padre, il signorotto dell’isola, e il sacerdote della chiesa – afferma una cosa, tutti coloro che stanno sotto l’accettano incondizionatamente.
Pina si renderà conto di essere come la minchia di re, un pesce che in un dato periodo dell’anno cambia sesso e diventa una viola di mare, per poi tornare maschio dopo aver deposto le uova. Si renderà conto che l’unico modo per poter amare Sara è dover uccidere una parte di sé per poi rivivere come Pino, come uomo, vestire panni maschili e comportarsi come se fosse sempre stato così, fino alla morte.
Questo è un romanzo forte, denso di significato, in cui la verità è solo un velo che può essere scostato, tinto, arricciato, in cui il relativismo della realtà è più che mai emblematico in una società che ancora oggi si aggrappa a etimi coniati secoli fa e il cui significato è mutato nel tempo assieme alle persone e alle abitudini.
Minchia di re parla di quanto poco basti per stravolgere un’esistenza, parla di quanto sia più importante la parola piuttosto che il suo significato intrinseco, parla di quanto sia più facile cedere all’ipocrisia per mantenere un’immagine affondata nel passato invece che ammettere che il futuro è in continua diversificazione.
Un bel romanzo che disegna una cultura che purtroppo oggi non è stata ancora abbandonata completamente, correnti di pensiero difficili da svellere in cui ogni essere vivente, ogni categoria di persona, ogni genere è catalogato e appositamente confinato entro paletti ben definiti, e guai a travalicarli, perché la natura è una sola, e se non si è come gli altri, si è malati. Dove eppure basta poco, pochissimo – giusto la parola di un padrone – per far voltare tutti dall’altra parte e far sì che non ci sia più nulla di strano.
Un libro che consiglio per il perfetto esempio di imperialismo che dimostra, una storia d’amore e di riscatto, di realizzazione ed evoluzione, che insegna che è quello che abbiamo dentro che ci rende ciò che siamo, e che non basterà cambiare vestito o mentire per farcelo dimenticare.


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