Titolo: Nascita di un ribelle – I regni di Nashira 1.5
Autore: Licia Troisi
Editore: XS Mondadori
Genere: Fantasy
ISBN: 9788852029738
Pagine: 78 (anche se il mio ereader ne contava 46)
Prezzo: 0,99€
Dato che Scrittevolmente non ha vinto il Macchianera Award come miglior blog letterario, sono svincolato dal mio voto di leggermi tutta la bibliografia di Terry Goodkind per sbeffeggiarne i personaggi cliché, le situazioni insensate e lo stile scadente. Ma soprattutto ciò significa che posso riprendere a leggere fantasy di qualità come… il nuovo racconto di Licia Troisi ambientato a Nashira.
Proprio così, esiste un I regni di Nashira 1.5, un racconto disponibile esclusivamente in formato digitale che la Mondadori sta usando per promuovere la sua collana di raccontini e anteprime in ebook a un prezzo che oscilla tra gli 0.99 e gli 1,99€, dimostrando di fatto che la Mondadori di editoria digitale non ha ancora le idee molto chiare.
Nascita di un ribelle, questo il meraviglioso titolo, non è un racconto che vede protagonista Talitha, ma racconta una storia ambientata su Talaria dal punto di vista di uno schiavo Femtita che si ritrova di punto in bianco a dover vivere senza padrone.
Sarà riuscita la Liciona nazionale a colmare le millemila lacune e insensatezze di world building del primo libro? Che rapporto ci sarà tra Eshar, il Femtita liberato, e Talitha, la Talarita ribelle? Sarà un passo avanti o uno indietro nello sviluppo della storia di Talaria?
Lo sapete cosa si dice dei libri di Licia Troisi, che di solito la cosa migliore è la copertina di Paolo Barbieri. Ecco, tornate all’inizio del post e guardate la copertina di questo libro. E ora ditemi, può essere veramente qualcosa di buono?
Che cosa succede
Cominciamo subito con un tratto distintivo delle storie della Troisi: uno stupido prologo in cui il protagonista sta disperatamente fuggendo da qualcosa di non meglio definito e, invece di concentrarsi sull’avere salva la pellaccia decide, di punto in bianco, di rivivere a beneficio del lettore gli eventi che lo hanno portato a quel punto.
Il nostro protagonista si chiama Eshar ed è uno schiavo Femtita. I Femtiti, lo menziono a beneficio dei fortunati che non conoscono I regni di Nashira o hanno resettato la memoria del primo libro della serie, sono schiavi dei Talariti e non possono sentire il dolore – anche se, curiosamente, Eshar sente, nell’ordine, la fatica e il freddo gelido della pioggia.
Dunque, la situazione è la seguente: c’è una piena causata dalle piogge abbondanti e gli argini del fiume stanno straripando, minacciando la fattoria. Eshar e altri schiavi stanno tentando di arrestare le acque ma sono sopraffatti e la fattoria viene inondata. Eshar evita di annegare per miracolo, e scopre che il suo padrone ha preso moglie e figli e sta scappando.
La Troisi è bravissima a caratterizzare personaggi. Con un’accetta.
Salì a bordo, ma Eshar lo afferrò per un braccio per impedirgli di chiudere lo sportello. Rabbrividì quando si accorse di quello che aveva fatto: toccare il padrone era proibito. «Padrone, nella casa ci sono ancora decine di donne e bambini, e solo voi avete la chiave…» insistette.
Molteno si divincolò: «Cosa vuoi che mi interessi? Tanto non avrò più una terra in cui possano lavorare, morirebbero comunque! E ora non farmi perdere altro tempo!»
E la scatola di cucciolotti! Non dimentichiamoci la scatola di cucciolotti, altrimenti i nazisti li uccideranno!
I cucciolotti. Michael Chabon non è riuscito a salvarli, saprà la Liciona nazionale fare meglio?
Il padrone di Eshar è essenzialmente identico al conte Megassa e alle suore dell’altro romanzo, perché la Troisi non ci prova neanche più a scrivere un antagonista che non sia solo la caricatura di un antagonista ma abbia, chessò, delle motivazioni. Tra parentesi, vi ricordate l’articolo sulle 10 cose che più mi fanno incazzare quando leggo un romanzo? Ecco, andate a rivedervi il punto tre. Sì, stavo pensando anche alla Troisi.
Eshar allungò piano la mano. Aveva creduto che la vergogna sarebbe svanita dopo i primi giorni, ma ben presto si rese conto che non era così: mendicare gli costava esattamente come la prima volta. Un Talarita di passaggio gettò uno sguardo disgustato alla sua mano tremante: uno schiavo rimasto senza padrone rappresentava la forma di vita più ignobile, era considerato ancora meno di un animale. Gli gettò comunque un paio di spiccioli.
Due due punti in due frasi. E anche il numero 10 della classifica ce l’abbiamo. Continua così, Licia!
Ah, e anche due volte il verbo gettare, perché a fare l’editing pesa il culo.
Comunque, dopo essere sopravvissuto all’inondazione, Eshar si mantiene facendo il mendicante.
Era sovrappensiero, lo sguardo chino, quando un passante alto e massiccio lo urtò, scivolando subito via senza neppure guardarlo. Aveva il capo coperto da un cappuccio nero che gli mascherava anche il volto. D’istinto, Eshar controllò subito la cintura cui teneva legata la sacchetta con le monete: non c’era più. Era stato derubato.
Oh, no! Ma ora Varric prenderà Bianca, incoccherà un quadrello e colpirà lo scippatore alla spalle, infilzandolo nel muro del vic… ah, no, mi dicono dalla regia che quella è un’altra storia. Deludente, ma comunque più interessante.
No, in realtà lo scippatore è un Talarita di nome Almodio che offre a Eshar di diventare il suo schiavo, perché Eshar non sa che fare della sua vita ora che il suo primo padrone lo ha abbandonato.
Per cui Eshar diventa un apprendista ladro sotto l’ala protettiva di Almodio, e pare che se la cavi pure bene. Un paio di paginette dopo lo vediamo assistere Almodio nel furto di gioielli e monete d’oro a un ricco commerciante di profumi. Ma allora scusate, Almodio dovrebbe essere un ladro esperto, no? Un ladro esperto in grado di mettere a segno colpi di alto profilo, come il sopracitato furto di gioielli e monete. E allora perché cacchio si è preso la briga di scippare Eshar, un misero mendicante? Ah, già, perché la trama dice così.
Tuttavia il colpo non fila liscio come previsto e i due vengono riconosciuti da un Guardiano, che estrae il suo spadone a due mani e si prepara ad affrontare Eshar.
Eshar decise in un istante. Senza dire niente ad Almodio, corse verso il Guardiano sguainando il pugnale.
Questi, un Talarita di mezz’età dalla faccia truce e un ridicolo ciuffo nero che gli ricadeva sulla fronte, estrasse immediatamente lo spadone. «Tu… avevo visto bene, quindi!» Poi menò un fendente a due mani che il ragazzo parò col pugnale.
Come cosa come? Un pugnale che para un fendente menato con tutta forza da uno spadone a due mani? Cos’è, le braccia del Guardiano sono fatte di pongo?
Dopo l’improbabile scontro che vede Eshar vittorioso, lui e Almodio si godono un momento di pace. Un momento di pace che pare uscito da una fan fiction di bassa lega:
«Eshar, perché mi hai seguito? Eri un uomo libero, avresti potuto fare quel che volevi.»
Eshar sentì una fitta al cuore. «Non mi vuoi più con te?» chiese con voce tremante.
Almodio scosse ancora la testa. «No, non è questo. Mi piace come lavori, e sei un’ottima compagnia.» Eshar sorrise rassicurato. «Solo che non capisco perché ti ostini a sentirti inferiore a me.»
«Padrone…» disse Eshar, confuso. «Questa è la religione che mi hanno insegnato.»
«Combatti come me, sei diventato persino abile come me nel furto…»
«Questo non è vero.»
«Diciamo quasi abile come me. E sei meglio della maggior parte delle persone che io abbia mai incontrato in vita mia. Tu sei il mio schiavo solo di nome. Ormai sei il mio complice. Il mio socio. Il mio amico…»
Ho una mente veramente zozza…
Torniamo alla trama. Durante uno scippo, Eshar viene battuto in astuzia e velocità da un’altra ladruncola. E lo shock è tale da fargli dimenticare le buone maniere e tirare fuori il gangsta da ghetto che c’è in lui.
Brutta ladra! pensò Eshar
West side, bitch!
Eshar raggiunge la ladra, che si chiama Lajke, e scopre che fa parte della Resistenza. Eshar ovviamente non comprende il concetto di resistenza e Lajke glielo mostra. La Resistenza è una comunità di Femtiti liberi che vive nelle fogne. Come faccia una città edificata su un albero a essere munita di rete fognaria è una domanda che non sto neanche a pormi, perché tanto è fantasy!
Sì, sono contrattualmente obbligato a usare questa immagine almeno una volta a recensione.
Grazie a Lajke scopriamo anche un po’ di retroscena sulla storia dei Femtiti, che si vanno a raggiungere alle poche (e a volte contraddittorie) informazioni prese da Il sogno di Talitha.
Gli avevano raccontato che un tempo i Femtiti vivano liberi, prima di essere puniti dagli dei per aver ucciso un drago ed essersene cibati, nonostante fosse stato loro proibito. Il castigo era stato terribile: avevano perso la percezione del dolore ed erano stati ridotti in schiavitù dai Talariti. Un giorno, però, sarebbero tornati liberi, quando il messia inviato dagli dei li avrebbe ricondotti al Bosco del Ritorno.
Ma, un momento… se i Femtiti stanno aspettando il ritorno di un leggendario messia che li liberi, a che scopo formare una resistenza per liberarsi da sé? Non è un controsenso? Secondo la leggenda, i Femtiti sono predestinati a essere liberati, perché non accettano passivamente il loro destino in accordo con il loro credo religioso? E, soprattutto, perché un semplice paragrafo in un racconto di quaranta pagine riesce a incasinare il world building più di quanto non abbia fatto un terribile romanzo di trecento e passa pagine? Mistero glorioso.
Mentre io cerco di raccapezzarmi, Lajke conduce Eshar al rifugio della Resistenza Femtita.
Il ragazzo sospirò e la seguì. Cadde con i piedi a mollo, in un tunnel sotterraneo alto poco più un braccio e mezzo. Era scavato nella roccia e sul terreno scorreva un ruscello maleodorante.
«Che puzza» disse Eshar tappandosi il naso.
«È il profumo della libertà, fratello»
Oh, Licia Troisi, vuoi proprio utilizzare tutte le frasi cliché del manuale, vero?
E nel capitolo successivo Eshar ha completamente accettato la missione della Resistenza e vinto tutte le sue laceranti remore sull’innaturalità del non avere un padrone e ora sta rubando a un Talarita assieme a Lajke.
Lajke gli strinse le mani guardandolo con i suoi occhi d’oro, che a Eshar non erano mai sembrati così belli. «Grazie. È stata una fortuna averti incontrato» disse.
Il cuore del giovane prese a galoppare. «Io… devo andare adesso. Almodio…»
Non riuscì a terminare. Lajke si alzò sulle punte dei piedi e lo baciò. Eshar le mise le mani sui fianchi e la tirò a sé, rispondendo con passione. E per qualche istante esistette solo quel bacio, mentre il mondo svaniva e nulla aveva più significato. Fu lei a staccarsi. Gli sorrise maliziosa e seguì il contorno delle sue labbra con un dito.
Ed ecco la prova definitiva che siamo davvero in una storia della Troisi: la stucchevole love story tra i protagonisti solo perché la trama dice così.
Dopo un breve e – devo ammettere – quasi toccante addio ad Almodio, Eshar si unisce alla Resistenza, il cui prossimo piano consiste nel mettere a segno un colpo niente meno che al Palazzo della Guardia.
Ma ovviamente le cose non filano lisce come previsto, i Guardiani intervengono e Eshar e compagnia vengono catturati e portati in prigione. Perché un Femtita anche solo sospettato di aver rubato un tozzo di pane viene bastonato a morte, ma non sia mai che con dei cospiratori che vogliono sovvertire l’ordine istituzionale si usino le maniere forti, sarebbe scortese!
Non avrebbe saputo dire da quanto tempo era imprigionato lì dentro, quando sentì che la serratura della cella veniva aperta. Lo stavano venendo a prendere. Non appena la porta accennò a girare sui cardini, d’istinto Eshar scattò in avanti urlando, nonostante avesse mani e piedi legati. L’esplosione di luce lo ferì come un colpo di Bastone, ebbe la sensazione che il cervello si perdesse in tutto quel bianco.
Oh, no, stanno venendo a prenderlo! Di sicuro i Talariti lo hanno tenuto in vita per torturarlo ed estorcergli le informazioni necessarie per smantellare la Res…
I suoi occhi ripresero a vedere, e nella luce accecante andò a disegnarsi un volto noto. Almodio. Per un istante Eshar pensò di essere morto. Forse nel regno sotterraneo degli dei, le Essenze che accoglievano i defunti avevano le sembianze delle persone amate.
Almodio gli prese il viso tra le mani, e quel tocco gli trasmise una sensazione così intensa che Eshar iniziò a convincersi di essere vivo.
«Almodio…» mormorò. Stentò a riconoscere la propria voce, arrochita dalle urla e disperata.
Oh, ciao Almodio. È bello rivederti. No, petta un momento, come hai fatto a intrufolarti nella prigione e liberare quello che senza dubbio è il prigioniero più sorvegliato della città?
Il Talarita gli sorrise. «Forza, non abbiamo troppo tempo» e si mise ad aprire i ceppi che lo tenevano legato. «Mi dispiace, ma vi è andata proprio male. Hanno preso tutta la tua gente nelle fogne.»
«Come?»
«Uno di voi ha tradito. Dicono sia stato un vecchio che non sopportava più di vivere senza padroni.»
Non… non fornirai una spiegazione per la tua comparsa, vero?
Almodio sospirò. «Eshar, ho dato tutto quello che avevo a uno dei Guardiani per portati fuori. Lui ha fatto uscire i suoi compagni con una scusa. Ma fra poco torneranno, e se ci trovano qui, per noi è finita. Hai capito?»
Tutto qui? Oh, vabbè, suppongo di dover essere lieto che, per lo meno, una spiegazione ci sia.
Poi tutto va come è lecito immaginarsi in una storia infarcita di cliché e situazioni già viste. Eshar e Almodio liberano Lajke, vengono raggiunti dai Guardiani e Almodio si sacrifica per salvare i due ragazzi, ma Lajke viene colpita da una freccia e muore poco dopo, quando lei ed Eshar sono in fuga nel Bosco del Ritorno. Sarebbe un finale triste e sconvolgente SE NON FOSSE GIÀ STATO SPOILERATO NEL PROLOGO!
Che cosa ne penso
Beh, per essere un racconto di neanche cinquanta pagine, Nascita di un ribelle contiene un numero eccessivo di cliché, situazioni senza senso e addirittura due buchi logici grandi come una casa. Ci vuole impegno per una cosa del genere.
Ma il racconto fa schifo? In realtà sì, però non tanto quanto Il sogno di Talitha.
Ad esempio, io non odio questo racconto. Certo, è prevedibile e banaluccio, ma, a onor del vero, la Troisi qui per lo meno ci ha provato a dare un minimo di personalità al protagonista (cadendo miseramente nella trappola della stereotipizzazione per quanto riguarda gli altri personaggi, comunque). Inoltre, in questo racconto il tema dello schiavismo e dell’identità Femtita è affrontato molto meglio di quanto non lo sia stato in Talitha, dove era solo un pretesto per far apparire la protagonista virtuosa e il resto dei personaggi kattivi senza kuore. Qui, seppure ingenuamente, le differenze di opinione tra Lajke, che non ha un padrone, ed Eshar, che di un padrone ha un bisogno quasi patologico, offrono addirittura spunti interessanti di riflessione.
Certo, poi il tutto è affogato in un mare di cretinerie, ma dalla Troisi, ormai, che cosa si può pretendere?