Nella casa, quella casa del compagno di classe banale ma socievole che ti accoglie in famiglia, nella casa borghese che regala un’infanzia bucolica e tempo libero immerso nel verde, quella casa dove ci si annoia e s’infrangono i sogni di gioventù, la casa dove prende vita una storia, la narrazione di un racconto che è l’inizio di un percorso di crescita, personale e del proprio lato creativo. Oggi entriamo “nella casa” di Francois Ozon.
Questa è la avventura di un professore di liceo di lingua e letteratura francese (Fabrice Luchini) che, in mezzo ad un mare di componimenti sgrammaticati, scorretti e che denotano scarsa voglia di apprendere i segreti e la forza della parola, viene sorpreso dal racconto di un allievo che non da mai problemi pur essendo molto riconoscibile: è Claude (un incredibile e a tratti inquietante Ernst Umhauer), il ragazzo dell’ultimo banco, colui che tutti può osservare senza venir mai notato (e visto) da nessuno.
Claude è un ragazzo con un talento nascosto: sa scrivere, riesce a intrigare il lettore ed ha una fervida immaginazione, gli manca solo un mentore, una guida, una persona che gli insegni ad esprimere il proprio essere e lo introduca ai piccoli segreti della narrativa. Sarà il professor Germain a seguirlo durante questo percorso impervio per amore verso la sua lingua, la letteratura, la scrittura e anche per un riscatto assopito da tempo.
Complici i pomeriggi trascorsi in casa del compagno Rapha (Bastien Ughetto), Claude riesce prima a conquistare tutti i componenti della famiglia che nonostante la sottile ironia tanto lo inebriano e poi ad ammaliare il suo professore e la di lui moglie (Kristin Scott Thomas). Il costante dentro e fuori dalle mura domestiche, senza sapere sino a dove si sia spinta la fantasia del narratore incuriosisce sempre più il lettore (dentro la pellicola) e lo spettatore (in sala) conferendo a questa commedia tinte noir che la rendono davvero irresistibile.
Il regista porta su grande schermo con leggiadria e maestria una pièce teatrale (Il ragazzo dell’ultimo banco di Juan Mayorga) che vale la pena recuperare: la lettura del tema semplice e un po’ canzonatorio di Claude è il pretesto grazie al quale conosciamo i protagonisti della nostra storia; il racconto ci descrive la noia che regna in molte dimore in cui non vi sono particolari problemi di sopravvivenza; l’evoluzione della narrazione segna la crescita emotiva, conoscitiva e comunicativa del ragazzo che va di pari passo con lo sgretolamento di ciò che ruota intorno a lui nel mondo reale.
Fantasia vs realtà, ma pure generazioni a confronto e stagioni della vita che si guardano e supportano vicendevolmente grazie alla vera trionfatrice di quest’opera: la parola, così potente, diretta, disarmante, intrigante, pericolosa e di enorme sostegno. Tutto questo e anche di più in una pellicola che sobriamente riesce a comunicare molto senza bisogno di spiegare nulla.
Il teatro della vita, il teatro delle emozioni, il teatro del racconto che non importa quanto sia veritiero fin tanto che riesce a intrattenere e sorprendere, perché la gente ha ed avrà sempre bisogno di storie, necessita di venire stupita ed emozionata altrimenti si tramuta nel “sultano di Sherazade”. Di sicuro un bello spaccato su adolescenza, amore, invidie, fantasie e realtà, ma soprattutto un immenso tributo alla parola, senza la quale saremmo persi.
Voto 7e ½. Intrigante, equilibrato, divertente, avvincente racconto per animi sensibili alla ricerca dell’evoluzione, insomma, semplicemente b-e-l-l-o: questo è cinema!