Il ritrovamento di un cadavere carbonizzato fa notizia. Se il corpo in questione risponde al nome di Phil Summer, leader del gruppo Chaos Manor, la notizia esplode come una bomba.
Se a questo aggiungiamo la professionalità e la caparbietà di Kathy Lexmark, vee-jay di un’emittente televisiva, otteniamo "Nessun futuro", un romanzo difficile da catalogare in un genere specifico ma non per questo meno d’impatto.
Il protagonista della storia non c’è, almeno non fisicamente, eppure la sua presenza aleggia dall’inizio alla fine mediante Kathy, decisa a fare luce sulla sua morte. Suicidio? La donna non è convinta della sua dipartita: la storia è piena di rockstar scomparse e sulle quali a distanza di anni si continua a fare congetture, da Jim Morrison, a Elvis Presley e a quella più recente di Michael Jackson. La Lexmark conosce benissimo i meccanismi che regolano lo show-business che deriva dalla scomparsa prematura di una celebrità. Dunque, attraverso le sue parole, prende vita Phil, e a volte, quasi la potenza del pensiero potesse evocarlo, un alito di soprannaturale potenza si manifesta come da sprone a continuare le ricerche.
La vee-jay, attraverso i racconti di Adam, bassista del gruppo, che fanno cenno a riti voodoo, e le parole di Frank Colan, un maturo fotografo di successo, coglie ogni più piccolo dettaglio fino a delineare i contorni di un’anima inquieta. Phil forse mal ha tollerato le maglie strette di un mondo che ha il potere di innalzare velocemente al successo e altrettanto rapidamente ripiombare nell’anonimato più assoluto. Su un piano parallelo si svolge la storia d’amore tra Kathy e Colan. Non una banale storia, ma un unirsi consapevole di personalità complesse, che difficilmente si lasciano intrappolare dalle convenzioni e dagli stereotipi; una storia avulsa da perbenismi, con tutte le ordinarie insofferenze che umanizzano i personaggi rendendoli quanto mai credibili. "Nessun futuro" è uno spaccato sulla società del consumismo, sull’apparire piuttosto che sull’essere, somministrato in maniera sottile ma incisiva, anche quando, quasi “di striscio”, accenna alle colonizzazioni camuffate da evangelizzazioni al solo scopo di sottomettere e distruggere interi popoli e la loro civiltà, come ad esempio gli Indiani d’America. La voce narrante compie un viaggio interiore oltre che fisico, e che sia femminile non è un caso: le sfaccettature, i pensieri inespressi, le piccole contraddizioni vengono colte diversamente dalla sensibilità della donna. Il linguaggio è asciutto, privo di orpelli, ma allo stesso tempo ricercato, i personaggi ben delineati, la storia è complessa ma strutturata in maniera lineare.
Un cocktail ben shakerato ma altamente alcolico, bisogna predisporsi bene alla lettura e quindi… mettetevi comodi per gustare Luigi Milani, la prova vivente che in Italia abbiamo ottimi scrittori e quindi la cultura non è morta, cova solo sotto la brace di una “mala editoria”.